Perché l’Europa è in ritardo coi vaccini
Stati Uniti e Regno Unito sono riusciti a vaccinare molte più persone: si sono presi qualche rischio in più e non hanno badato a spese
L’Unione Europea è piuttosto indietro rispetto agli Stati Uniti e al Regno Unito nella somministrazione dei vaccini contro il coronavirus, e con l’attuale ritmo di vaccinazioni difficilmente colmerà il distacco in tempi brevi. I ritardi e le forniture inferiori al previsto da parte dei produttori di vaccini hanno messo in difficoltà i paesi europei, ma secondo diverse analisi circolate nelle ultime settimane le cause sono più profonde e derivano dall’approccio seguito dalla Commissione Europea, più cauto e orientato a contenere i costi rispetto a quanto fatto da altri paesi.
Meno della metà
Negli Stati Uniti il 13,4 per cento della popolazione ha già ricevuto almeno una dose dei vaccini contro il coronavirus, nel Regno Unito il 26,7 per cento (al momento della pubblicazione di questo articolo).
I principali paesi dell’Unione Europea seguono con un marcato distacco: al momento della pubblicazione di questo articolo, Germania e Spagna sono al 4,2 per cento, mentre Francia e Italia al 3,9 per cento. In tutto il mondo, il paese che ha vaccinato più di tutti in rapporto alla popolazione è Israele: oltre il 50 per cento dei suoi abitanti ha ricevuto almeno una dose del vaccino contro il coronavirus.
Stati Uniti – Unione Europea
Molti fattori hanno influito sulla marcata differenza tra l’andamento delle vaccinazioni negli Stati Uniti e nell’Unione Europea, ma secondo le analisi più condivise il ritardo europeo è derivato soprattutto da lunghi processi decisionali legati alla necessità di mettere d’accordo i governi di 27 paesi, in modo da avere un unico sistema di prenotazione e acquisto dei vaccini con a capo la Commissione Europea. Questa soluzione ha permesso di evitare che i paesi più piccoli e con minore potere contrattuale rimanessero senza vaccini, subendo la concorrenza dei più grandi e attrezzati, e al tempo stesso ha consentito di ottenere prezzi più bassi, sacrificando però la velocità di azione.
All’inizio di marzo del 2020, il governo degli Stati Uniti aveva avviato una prima serie di incontri con alcune aziende farmaceutiche e di biotecnologie, per capire modalità e tempi per lo sviluppo dei vaccini contro il coronavirus e per comprendere quali politiche e programmi di finanziamento adottare per accorciare i tempi. Erano state coinvolte anche alcune aziende europee, suscitando qualche preoccupazione tra le istituzioni dell’Unione Europea: il timore era che la politica di finanziamenti e prenotazioni molto aggressiva degli Stati Uniti potesse dirottare risorse, lasciando l’Europa indietro nelle strategie per contenere la pandemia.
Ancora prima di marzo, gli Stati Uniti avevano attivato i primi contatti con alcune grandi aziende farmaceutiche, con collaborazioni per lo sviluppo dei vaccini e la verifica della loro sicurezza ed efficacia. Nelle settimane seguenti, l’azienda tedesca di biotecnologie BioNTech aveva annunciato una collaborazione con la statunitense Pfizer, una delle più grandi aziende farmaceutiche al mondo, segnando un ulteriore sbilanciamento verso gli Stati Uniti in quella che all’epoca veniva definita la “corsa al vaccino”.
Velocità
A metà maggio dello scorso anno l’approccio del governo degli Stati Uniti sui vaccini divenne ancora più evidente: finanziare pesantemente le aziende interessate, accelerare il più possibile lo sviluppo e la produzione dei vaccini, senza pensare troppo alle possibili implicazioni e conseguenze soprattutto nel caso di qualche fallimento.
Queste politiche si concretizzarono in “Operation Warp Speed”, letteralmente “Operazione a velocità di curvatura”: un riferimento alla serie di fantascienza Star Trek dove sono definiti in questo modo i viaggi a una velocità superiore a quella della luce. L’iniziativa fu finanziata con 10 miliardi di dollari e gestita a livello federale, rendendo possibili in tempi rapidi finanziamenti alla ricerca e prenotazioni per centinaia di milioni di dosi dei vaccini, che ancora non esistevano.
Nell’Unione Europea le iniziative intorno ai vaccini procedevano a rilento, in parte a causa della burocrazia e di alcuni regolamenti europei. Nel frattempo, Commissione e governi nazionali osservavano i piani delle aziende farmaceutiche che si stavano impegnando nello sviluppo dei vaccini, cercando di capire quali fossero quelle su cui puntare per procedere con le prenotazioni e assicurarsi di avere dosi a sufficienza.
Divisi o insieme
Constatati i ritardi e il rischio di arrivare a soluzioni inconcludenti come era avvenuto con l’acquisto centralizzato delle mascherine, tra fine maggio e inizio giugno, Francia e Germania avevano iniziato a valutare di agire per conto proprio, possibilità che si era poi concretizzata in una sorta di alleanza per i vaccini che aveva coinvolto anche l’Italia e i Paesi Bassi. I quattro paesi avevano annunciato di avere stretto un accordo preliminare con AstraZeneca per la fornitura di 300-400 milioni di dosi del suo vaccino. L’annuncio dell’accordo, molto vago, era avvenuto poco dopo l’approvazione da parte degli stati membri del piano di acquisto centralizzato dei vaccini presentato dalla Commissione Europea.
Il rischio che alcuni dei più grandi e ricchi paesi dell’Unione facessero per conto proprio fu sventato nei giorni seguenti, quando la Commissione presentò una soluzione per accelerare le procedure burocratiche per negoziare con le aziende farmaceutiche. La Commissione offrì inoltre ai membri dell’alleanza un posto ciascuno nel gruppo di lavoro incaricato di contrattare sotto la Direzione generale per la salute e la sicurezza alimentare (DG SANTE), appena riorganizzata.
Il processo per organizzare la struttura di prenotazione e acquisto, e per mettere d’accordo gli stati membri, richiese tempo e fece sì che fosse operativa in ritardo rispetto agli Stati Uniti. Dopo settimane di incertezze e non pochi tentativi di contrattare con i singoli paesi europei, le aziende farmaceutiche compresero che le trattative sarebbero state gestite in maniera centralizzata e con minori possibilità di sapere che cosa ci fosse nei contratti delle loro concorrenti.
Cautele
Il gruppo di lavoro sotto DG SANTE, con a capo Sandra Gallina già vicedirettrice generale della Direzione per il commercio, decise di seguire una via più articolata e con maggiori cautele rispetto a quella intrapresa dagli Stati Uniti. L’obiettivo era di ottenere una gamma di vaccini piuttosto ampia, in modo da non essere vincolati a un singolo produttore, di avere prezzi bassi e vincoli di responsabilità per le aziende farmaceutiche nel caso in cui qualcosa fosse andato storto. Diversi produttori volevano esattamente il contrario.
Sul punto della responsabilità delle aziende farmaceutiche, gli Stati Uniti avevano tagliato corto grazie al PREP Act, una legge in vigore dal 2005 che prevede una sorta di protezione legale per i produttori dei vaccini e dei farmaci nel caso in cui qualcosa vada storto nel mezzo di un’emergenza sanitaria. Altre leggi statunitensi offrono ulteriori garanzie e possono essere invocate dalle aziende coinvolte per limitare i danni.
Le aziende farmaceutiche si aspettavano un trattamento simile in Europa, ma la Commissione Europea non era disposta a offrire particolari garanzie, temendo che eventuali problemi sanitari derivanti dai vaccini avrebbero influito negativamente sulla rilevante quantità di cittadini europei scettici sulle vaccinazioni. Dopo settimane di confronti, che portarono via altro tempo e risorse, si raggiunse una mediazione: le aziende che avessero venduto i loro vaccini senza trarne profitti avrebbero ottenuto maggiori tutele legali, mentre le altre ne avrebbero ricevute meno.
Questo orientamento incise tra la fine dell’estate e l’inizio dell’autunno nella definizione dei contratti, soprattutto man mano che iniziavano a essere disponibili gli esiti dei test clinici sui vaccini in fase di sperimentazione. Pfizer-BioNTech e Moderna, per esempio, iniziarono ad avere maggior potere contrattuale quando divenne evidente che i loro rispettivi vaccini fossero più efficaci del previsto nel prevenire la COVID-19.
Prezzi
I contratti stretti tra Unione Europea e aziende produttrici sono riservati, ma alcune cifre sono comunque trapelate e sembrano dimostrare il successo di Gallina nel mantenere bassi i prezzi di acquisto. Una dose del vaccino di AstraZeneca costa meno di 2 dollari nell’Unione Europea contro i 4 dollari negli Stati Uniti, dove una dose di Pfizer-BioNTech costa 20 dollari contro i 15 dollari nell’Unione Europea.
Diversi analisti ritengono però che i contratti più convenienti non costituiscano un particolare vantaggio, specialmente se per ottenerli si è perso tempo. Il risparmio sarebbe marginale rispetto all’enorme impatto economico dei lockdown in vigore in numerosi paesi europei, dove si sono accumulati i ritardi nelle vaccinazioni.
Regno Unito e rischi
Non facendo più parte dell’Unione Europea, il Regno Unito ha concordato per conto proprio le forniture di vaccini e soprattutto ha autorizzato molto velocemente i vaccini di Pfizer-BioNTech, Moderna e AstraZeneca, secondo i detrattori prendendosi qualche rischio in più rispetto a Stati Uniti e Unione Europea.
In una recente intervista, la responsabile fino allo scorso anno del gruppo di lavoro sui vaccini per il Regno Unito, Kate Bingham, ha spiegato che la velocità è stata importante non solo nella fase di stipula dei contratti. Bingham ha mantenuto uno stretto rapporto con le aziende farmaceutiche, ascoltando quali fossero le loro necessità per fare prima, per produrre la documentazione richiesta dalle autorità di controllo e più in generale per dare assistenza nello svolgimento dei test clinici. Il Regno Unito ha inoltre previsto maggiori tutele legali per le aziende coinvolte, che hanno di conseguenza lavorato in un contesto più amichevole.
Bingham ha riconosciuto di essersi presa qualche rischio in più, sapendo che avrebbe permesso di ottenere più velocemente i vaccini: «Il Regno Unito ha adottato un approccio molto strategico: assicurarsi rapidamente i vaccini. L’approccio europeo sembra sia stato più orientato all’approvvigionamento, quindi centrato sull’assicurasi di avere i vaccini al miglior prezzo».
Autorizzazioni
Il vaccino di Pfizer-BioNTech fu autorizzato l’11 dicembre negli Stati Uniti e una decina di giorni dopo nell’Unione Europa. Il ritardo europeo fu dovuto alle modalità di presentazione e di analisi della richiesta che avrebbe pesato sull’avvio delle somministrazioni in Europa iniziate solamente tra il 26 e il 27 dicembre, quasi due settimane dopo l’avvio delle vaccinazioni negli Stati Uniti e tre settimane dopo il Regno Unito.
Il ritardo aumentò ulteriormente nelle prime settimane di quest’anno, quando Pfizer-BioNTech annunciarono una riduzione nelle forniture europee a causa di alcuni lavori di potenziamento da svolgere nel proprio stabilimento produttivo in Europa. A questo si aggiunsero i rallentamenti nelle consegne del vaccino di AstraZeneca, inferiori a quanto inizialmente concordato a causa di problemi produttivi.
Le valutazioni sui ritardi europei circolate finora si basano comunque su valutazioni formulate con il senno di poi, talvolta sulla base di elementi che non potevano essere noti o prevedibili ancora pochi mesi fa. Se il vaccino di Pfizer-BioNTech o quello di Moderna si fossero rilevati poco efficaci o avessero causato problemi, ora gli Stati Uniti non avrebbero a disposizione altre soluzioni per contenere la pandemia, mentre l’Unione Europea disporrebbe almeno del vaccino di AstraZeneca e di un numero congruo di prenotazioni di dosi.
Negli Stati Uniti ci sono inoltre problemi nell’equa distribuzione dei vaccini tra la popolazione, con gli abitanti nelle aree più ricche che riescono ad accedere più facilmente alla vaccinazione rispetto a chi vive nelle zone povere. Il problema riguarda soprattutto gli afroamericani e la comunità latina, con ulteriori complicazioni legate a un sistema sanitario pubblico molto debole se confrontato con il settore privato.
Seconda dose ritardata
Tornando al Regno Unito, il dato sugli individui vaccinati va comunque messo nella giusta prospettiva. L’alto numero di prime dosi somministrate è stato reso possibile dalla scelta del governo di privilegiare la prima dose sulla seconda, prevedendo che questa sia somministrata fino a 12 settimane di distanza dalla prima. Ciò ha reso disponibili più dosi per le prime vaccinazioni, ma ha anche implicato l’adozione di una strategia non verificata con i test clinici.
I risultati preliminari sugli effetti della campagna vaccinale britannica sembrano indicare la validità dell’approccio, ma occorreranno mesi per avere conferme ed essere certi che un ritardo nella somministrazione della seconda dose non esponga al rischio di avere una protezione parziale e che potrebbe favorire l’emergere di nuove varianti del coronavirus.
Cooperazione
La strategia europea, con i suoi difetti e i suoi ritardi, ha comunque consentito agli stati europei più piccoli o deboli di avere accesso ai vaccini in modo paritario rispetto agli stati più grandi, con maggiori risorse non solo economiche, ma anche organizzative nella gestione delle attività sanitarie.
L’aumento delle forniture previsto per i prossimi mesi, reso possibile anche dalla disponibilità di nuovi vaccini come quello di Johnson & Johnson, dovrebbe consentire di accelerare le campagne vaccinali in Europa.
Il quadro su quali paesi occidentali abbiano fatto meglio degli altri e quale strategia abbia pagato di più diventerà più chiaro tra circa un anno, nella speranza che per allora la maggior parte della popolazione sia stata vaccinata determinando un sensibile rallentamento della pandemia.