Gli scandali sulle campagne vaccinali in Sudamerica
Stanno riguardando Perù, Argentina e Cile, e stanno coinvolgendo migliaia di persone, tra cui politici e figure pubbliche
Nell’ultima settimana in tre paesi dell’America Latina – Perù, Argentina e Cile – sono emersi grossi scandali sulle rispettive campagne vaccinali contro il coronavirus. Diverse inchieste giornalistiche hanno raccontato come in tutti e tre i paesi siano state vaccinate segretamente persone che non appartenevano alle categorie considerate prioritarie o più vulnerabili.
Il primo scandalo a essere raccontato è stato quello in Perù, chiamato “vacunagate” (“vacuna” in spagnolo significa vaccino). Secondo le ricostruzioni fatte finora, in Perù quasi cinquecento persone, tra cui due ministre, l’ex presidente peruviano Martín Vizcarra e numerosi funzionari pubblici, sono state vaccinate in segreto contro il coronavirus prima che iniziasse ufficialmente la campagna vaccinale nel paese, quindi con settimane di anticipo rispetto al personale sanitario e alle fasce più vulnerabili della popolazione. Sembra che nemmeno l’attuale presidente peruviano, Francisco Sagasti, ne fosse a conoscenza.
Circa un quarto delle persone a cui è stato somministrato il vaccino prima del tempo facevano parte dell’amministrazione pubblica. Oltre a Pilar Mazzetti, ex ministra della Salute, e Elizabeth Astete, ex ministra per gli Affari esteri, si sono dimessi anche otto funzionari del ministero della Salute e otto del ministero delle Relazioni esterne.
Con più di 1 milione e 280mila casi di contagio accertati e oltre 45mila morti su una popolazione di circa 32 milioni di persone, il Perù è uno dei paesi col tasso di mortalità più alto.
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Il caso sulla somministrazione irregolare dei vaccini in Argentina è venuto fuori pochi giorni fa, dopo la scoperta che il giornalista Horatio Verbitsky era stato vaccinato fuori dal programma.
L’Argentina è uno dei pochi paesi ad aver autorizzato il vaccino russo Sputnik V assieme a Venezuela, Ungheria, Emirati Arabi Uniti, Iran e appunto Russia. La somministrazione delle prime dosi di vaccino era iniziata lo scorso dicembre, e come nella maggior parte dei paesi del mondo era destinata in via prioritaria agli operatori sanitari. Il ministero della Sanità argentino aveva detto di aver trattenuto un certo numero di dosi di vaccino «rimanenti» per i suoi funzionari, fornendo poi una lista di 70 persone a cui era stato somministrato. Secondo un’inchiesta della Nación, però, il ministero aveva bloccato almeno 3mila dosi che sarebbero state somministrate ai funzionari pubblici e ai loro conoscenti, oltre che a figure politiche e imprenditori, che non ne avevano diritto.
In Argentina si sta discutendo molto dello scandalo, che i giornali hanno chiamato “Vacunatorio VIP”. Il presidente argentino, Alberto Fernández, ha chiesto e ottenuto le dimissioni del ministro della Sanità, Ginés González García, e ha ordinato di aprire un’inchiesta per verificare le responsabilità sull’accaduto.
A oggi in Argentina, un paese di circa 45 milioni di abitanti, sono stati accertati più di 2 milioni di casi di contagio e oltre 51mila morti per cause legate alla malattia provocata dal coronavirus.
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Si sta parlando di un “vacunagate” anche in Cile, un paese di circa 19 milioni di abitanti in cui sono stati accertati più di 800mila contagi e 20mila morti per cause legate alla COVID-19. Il Cile è uno dei paesi che stanno procedendo in maniera più efficace con la somministrazione dei vaccini contro il coronavirus: ha prenotato 90 milioni di dosi di vaccino, sia da Pfizer-BioNTech e AstraZeneca che da Sinovac e Johnson & Johnson, e in più dovrebbe riceverne altre attraverso il programma COVAX, che ha l’obiettivo di mettere a disposizione circa 2 miliardi di dosi di vaccino entro la fine dell’anno per i paesi a medio e basso reddito.
Secondo un’analisi dei dati forniti dal dipartimento nazionale di Statistica e Informazioni sulla Salute cileno, però, più di 37mila persone in Cile avrebbero ricevuto il vaccino prima che il programma di vaccinazione lo prevedesse: in particolare si parla di 9.023 persone tra i 18 e i 39 anni, 9.071 tra i 40 e i 49 anni e 17.365 tra i 50 e i 59 anni che non rientravano in alcuna fascia di priorità.