I dati utili per valutare l’efficacia della campagna vaccinale
Sono soprattutto i nuovi ricoveri, perché i numeri dei contagi hanno ancora molti problemi
Negli ultimi giorni l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) ha iniziato a diffondere le prime valutazioni sull’efficacia della campagna vaccinale contro il coronavirus in Italia. Non è stato ancora pubblicato uno studio approfondito, come in altri paesi, ma sono disponibili alcune considerazioni basate sulla correlazione tra i ritmi di somministrazione e l’andamento dei contagi rilevati nelle prime categorie vaccinate, cioè gli operatori sanitari e le persone con più di 80 anni. Cercare di capire gli effetti della vaccinazione di massa è importante perché con la possibile riduzione dei nuovi contagi e dei ricoveri il governo potrà valutare misure di prevenzione meno restrittive rispetto alle chiusure decise finora.
Anche in altri paesi, come nel Regno Unito, ci si sta chiedendo quali siano i criteri più adatti per verificare gli effetti delle vaccinazioni su milioni di persone: i dati che finora si sono dimostrati più sicuri sono l’andamento dei ricoveri, dei decessi e dei nuovi contagi relativi alle categorie già vaccinate. Serve attenzione, però, perché l’inizio delle somministrazioni ha portato nuovi problemi nel monitoraggio quotidiano dell’epidemia.
Per capire se la campagna vaccinale sta funzionando, infatti, servono un metodo di analisi stabile e soprattutto dati affidabili. Quelli che mostrano il ritmo di somministrazione dei vaccini sono piuttosto solidi perché la loro raccolta è semplice. Al contrario, e come già verificato nell’ultimo anno, i dati dei contagi giornalieri sono incerti e dipendono da molte variabili come la capacità di eseguire un numero sufficiente di tamponi, oppure dai diversi criteri di gestione dell’emergenza adottati dalle regioni.
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Le prime valutazioni in Italia
Durante la conferenza stampa di venerdì 19 febbraio Silvio Brusaferro, presidente dell’ISS, ha mostrato un grafico che evidenzia l’andamento dell’incidenza dei contagi delle persone con più di 80 anni e di tutto il resto della popolazione italiana. Nelle ultime due settimane, l’incidenza dei contagi tra le persone anziane è diminuita.
Brusaferro ha spiegato che il calo è dovuto all’inizio della campagna vaccinale. «È un segnale positivo, che ci aspettavamo. La decrescita coincide con la partenza della campagna vaccinale. È un primo segnale che mostra l’importanza che aderire attivamente a questa campagna abbia riflessi anche sull’andamento dell’incidenza».
Un’altra analisi ha preso in considerazione l’andamento dei contagi tra gli operatori sanitari.
Sabato 20 febbraio, l’ISS ha pubblicato un tweet con un grafico che mostra la proporzione dei casi rilevati tra gli operatori sanitari sui casi totali in Italia. Il grafico era stato incluso nel bollettino di sorveglianza integrata dove si legge che «da metà novembre la percentuale di operatori sanitari ha superato il 5 per cento del totale dei casi. Dalla metà di gennaio si osserva un trend in diminuzione dei casi tra gli operatori sanitari verosimilmente attribuibile al completamento del ciclo vaccinale in una buona percentuale di soggetti appartenenti a questa categoria».
👩⚕️#COVID19 E PERSONALE SANITARIO
📉Da metà gennaio diminuisce proporzione di casi su totale segnalazioni positivi (superava 5% da novembre)
💉Verosimilmente a causa del completamento del ciclo vaccinale in una buona percentuale della categoria🔍Dati 👇https://t.co/nORqls1NBv pic.twitter.com/9fTItSUkfg
— Istituto Superiore di Sanità (@istsupsan) February 20, 2021
I limiti dei dati
A prima vista, come detto anche da Brusaferro, questi grafici sembrano essere un primo segnale dell’efficacia della campagna vaccinale, un risultato presumibile e atteso da tutti. Ma per avere la certezza che questi andamenti siano dovuti agli effetti del vaccino serviranno studi più approfonditi, perché i dati analizzati hanno molti limiti.
La lacuna più evidente riguarda il numero di vaccinazioni alle persone con più di 80 anni. Nel momento in cui scriviamo, è stata somministrata la prima dose a 339.367 anziani, il 7,6 per cento di 4,4 milioni di persone. È una percentuale molto bassa, che difficilmente può avere inciso sull’incidenza dei contagi. Inoltre le differenze nelle tempistiche di somministrazione tra le regioni non consentono di avere dati affidabili per determinare una correlazione tra la vaccinazione e l’andamento dei contagi.
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I problemi relativi agli operatori sanitari invece riguardano i dati del monitoraggio quotidiano: in molte regioni l’emergenza sanitaria causa ritardi di notifica che non consentono di avere aggiornamenti tempestivi: è un’incertezza evidenziata anche dal bollettino di sorveglianza integrata dell’ISS. Quando si parla dei casi verificati tra gli operatori sanitari, infatti, si legge che il «numero è verosimilmente sottostimato in quanto questa informazione può richiedere tempi più lunghi per un suo consolidamento».
Sempre nel bollettino si sottolinea che «a causa della forte pressione sui dipartimenti di prevenzione si continuano a registrare dei ritardi nella notifica e nell’aggiornamento tempestivo delle informazioni dei casi individuali, che rendono il quadro più recente in parte sottostimato sia per le nuove diagnosi che per i decessi».
Il monitoraggio dei nuovi contagi tra gli operatori sanitari, inoltre, può essere influenzato dalla stessa campagna vaccinale. In molte regioni, per esempio, dopo la somministrazione della seconda dose è previsto un cambio dei criteri di test. Negli ospedali del Lazio, gli operatori sanitari vengono sottoposti a un test sierologico e non più a un tampone molecolare, come nei mesi precedenti. In Veneto, invece, la frequenza dei tamponi molecolari è stata estesa da 8 a 15 giorni. Nonostante questi limiti, il calo dell’incidenza avvenuto tra gli operatori sanitari è attribuibile agli effetti della vaccinazione, ma serviranno nuovi dati per verificare l’impatto con più precisione.
Dove i dati sono più solidi
Dove la campagna vaccinale è in una fase molto più avanzata, come in Israele e nel Regno Unito, sono stati pubblicati studi che esaminano soprattutto il numero dei casi sintomatici, dei nuovi ricoveri e l’andamento dei decessi. Sono questi i dati ritenuti più affidabili per capire gli effetti del vaccino.
Secondo un’analisi di Eran Segal, biologo computazionale dell’Istituto Weizmann per le Scienze di Rehovot, in Israele i ricoveri causati dalla COVID-19 stanno diminuendo in modo significativo tra gli anziani. Tra le persone con più di 60 anni i casi gravi sono diminuiti del 65 per cento rispetto al picco del 19 gennaio. Anche nel caso di Israele, vanno considerate altre variabili: per esempio il lockdown, che ha sicuramente influito sull’andamento dei contagi.
Israel: Since the peak in mid-Jan.
60 y/o & above (vaccinated 1st):
77% fewer cases
65% fewer severely ill
63% fewer deaths55-59 (vaccinated 2nd):
68% fewer cases
44% fewer severely ill0-54:
54% fewer cases
15% fewer severely ill pic.twitter.com/uiNxh2GRNT— Eran Segal (@segal_eran) February 22, 2021
Nel Regno Unito, invece, ha ricevuto molta attenzione uno studio pubblicato dall’università di Edimburgo, in Scozia, che ha monitorato 1,1 milioni di persone vaccinate tra l’8 dicembre e il 15 febbraio. Lo studio mostra che il vaccino di Pfizer-BioNTech ha ridotto il tasso di ricoveri dell’85 per cento quattro settimane dopo la somministrazione della prima dose. Con il vaccino di AstraZeneca invece il calo è stato del 94 per cento. «Questi risultati sono molto incoraggianti e ci hanno dato validi motivi per essere ottimisti per il futuro», ha detto Aziz Sheikh, professore dell’università di Edimburgo che ha condotto lo studio.
Un calo delle ospedalizzazioni si può osservare anche in tutto il Regno Unito grazie ai dati diffusi dal Public Health England, l’agenzia governativa del dipartimento della salute. I dati, analizzati dall’Economist, mostrano che dal 22 gennaio, giorno in cui è stato registrato il picco di decessi (1.164 in una media mobile su sette giorni), c’è stato un calo del 64 per cento di nuovi decessi.
Britain is the first big country to show similar results to Israel, where a jump start on vaccinations led to falling deaths and hospitalisation rates https://t.co/9BTdhcMHjr
— The Economist Data Team (@ECONdailycharts) February 23, 2021
I decessi sono diminuiti del 66 per cento tra le persone di età pari o superiore a 85 anni, del 62 per cento tra quelle tra i 65 e gli 84 anni e del 60 per cento nel resto della popolazione. La stessa proporzione è evidente nel caso dei ricoveri ospedalieri. Nonostante la tendenza ormai chiara e una notevole quantità di dati affidabili, l’Economist e molti altri osservatori britannici sono ancora cauti e parlano di “prove crescenti” dell’efficacia del vaccino.