Sta arrivando Chloé Zhao

La regista di “Nomadland” è acclamata soprattutto tra gli addetti ai lavori, per il momento, ma il 2021 potrebbe essere il suo anno

di Gabriele Gargantini

(Taylor Jewell/Invision/AP, File)
(Taylor Jewell/Invision/AP, File)

In questi giorni la regista Chloé Zhao è presa soprattutto da due tipi di attività: lavorare alla postproduzione di Eternals, il più atteso film Marvel dell’anno, e stare dietro alla promozione di Nomadland, che ha vinto il Leone d’oro al Festival di Venezia e che ha concrete possibilità di vincere gli Oscar per il miglior film e la miglior regia. A nemmeno quarant’anni, quest’anno Zhao potrebbe trovarsi quindi con un Oscar tra le mani e la regia di quello che, in condizioni normali, sarebbe probabilmente il film più visto dell’anno. «A Hollywood non c’è regista più richiesta di lei» ha scritto Vulture; «Chloé Zhao sta per diventare qualcosa di grande» ha scritto l’Atlantic.

Zhao non è solo Nomadland (che in Italia non arriverà prima di marzo) ed Eternals (atteso per la fine del 2021). Nel suo futuro ci sono già almeno altri due film: uno su Dracula e uno su Bass Reeves, il primo vicesceriffo nero nella storia statunitense. Nel suo passato ci sono scrittura e regia dei lungometraggi Songs My Brothers Taught Me e The Rider, usciti nel 2015 e nel 2017. E, prima ancora, un’infanzia cinese e un’adolescenza passata tra una scuola che sembrava Hogwarts e un monolocale in una città soleggiata con il nome scritto sopra una collina.

Chloé Zhao è nata a Pechino il 31 marzo 1982 e finché restò in Cina il suo nome fu Zhao Ting. Sua madre lavorava in un ospedale e suo padre fece carriera nell’industria dell’acciaio, dedicandosi poi al settore immobiliare. I due divorziarono e quando lei era già adolescente il padre sposò Song Dandan, una famosa attrice comica cinese, che da bambina Zhao aveva visto spesso in televisione.

In più di unintervista Zhao ha raccontato di essere stata una bambina ribelle: alle volte problematica e di certo pigra quando c’era da studiare. Era invece molto più interessata ai manga e, crescendo, a qualsiasi cosa che avesse a che fare con la cultura occidentale: in particolare Michael Jackson, MTV, e i film di Terminator e Sister Act.

A 14 anni, anche grazie alla relativa ricchezza accumulata dal padre, andò nel Regno Unito per studiare in una scuola privata: «una di quelle in stile Hogwarts» dice lei. Nel 1999, poco prima di finire le superiori, decise però di proseguire gli studi negli Stati Uniti, dicendo al padre di voler andare «dove c’era la scritta “Hollywood”» e prendendo in affitto un monolocale a Koreatown, quartiere di Los Angeles abitato prevalentemente dalla comunità coreana. «Conoscevo così poco» ha ricordato lei «e mi importava solo di Michael Jordan, Michael Jackson, Madonna e Prince».

Terminate le superiori Zhao andò a studiare Scienze politiche in Massachusetts, dopo che nei pomeriggi del doposcuola un professore delle superiori l’aveva fatta appassionare alla storia statunitense. Parlando con Deadline dei suoi primi anni in America, ha detto:

«All’inizio, in verità, fu musica più che cinema. E quando arrivai a vivere nella Downtown di Los Angeles sapevo pochissimo di come funzionava l’America, ma imparai in fretta, forse pure troppo. Solo non capivo le relazioni tra persone, etnie, identità e classi sociali. Troppe cose. Così mi ci dedicai con intensità nell’ultimo anno di superiori e nei quattro anni di università».

Poi si trasferì a New York, dove lavorò come promotrice di eventi e barista, e dove infine decise di studiare cinema alla New York University. Gail Segal, una delle sue insegnanti, la ricorda come una “outsider”, un talento grezzo in cui tuttavia già si intravedeva un grande potenziale. Tra gli insegnanti newyorkesi di Zhao ci fu anche Spike Lee.

Nei suoi anni newyorkesi affinò i suoi gusti cinematografici e si appassionò in particolar modo ai film di Wong Kar-wai e soprattutto al suo Happy Together, che ancora oggi riguarda ogni volta che deve iniziare a girare un suo nuovo film, «quasi come se fosse una cerimonia».

Dopo aver guardato e studiato, provò a fare. Incominciò con quattro cortometraggi realizzati tra il 2008 e il 2011 (Post, The Atlas Mountains, Daughters e Benachin) e poi si mise a programmare il suo primo film. Scelse però di farlo lontano da New York per due motivi: uno tecnico e uno personale. Quello tecnico aveva a che fare con il fatto che, a New York, faticava a trovare i giusti luoghi per girare; quello personale fu questo: «volevo togliermi di dosso tutte le identità che mi ero costruita, andare dove nessuno mi conosceva, così da poter capire chi ero».

– Leggi anche: Dorothy Arzner, regista

Per il suo primo film, fatto circa 15 anni dopo il suo arrivo negli Stati Uniti, Zhao andò così in South Dakota, nella riserva indiana di Pine Ridge, dove dopo una serie di ragionamenti, tentativi e ripensamenti finì per girare un film su un ragazzo Lakota che vuole andare a Los Angeles con la sua compagna, ma che si sente in colpa per dover lasciare la giovane sorella con la madre alcolizzata. Il film, Songs My Brothers Taught Me, fu girato dopo che Zhao aveva passato diversi mesi a Pine Ridge, e per la gran parte con attori non professionisti, per ottenere un risultato che secondo qualche critico era qualcosa a metà strada tra il documentario e il film di finzione.


Songs My Brothers Taught Me fu girato con un budget di circa 100mila dollari: 70mila li avevano in banca Zhao e Joshua James Richards, suo compagno e direttore della fotografia, gli altri 30mila li ottennero come forma di finanziamento. Una volta uscito, si fece notare al Sundance Film Festival e al Festival di Cannes, dove Zhao andò con i suoi due protagonisti. Il film non ebbe grandi incassi, ma lei si era comunque accordata perché i membri del cast potessero ricevere una fetta di ogni eventuale profitto (una cosa che in genere non si fa, specie se si lavora con attori non professionisti).

Nei mesi passati in South Dakota per il suo primo film, Zhao conobbe anche il cowboy Brady Jandreau, che divenne protagonista del suo secondo film: The Rider, uscito nel 2017. Parla di un uomo che è una star dei rodeo e che però deve rinunciare alla carriera in seguito a un incidente. Anche in quel caso gran parte degli attori, compreso Jandreau, non lo erano mai stati prima di quel film. E anche in quel caso si parlò di un film per certi versi documentaristico e per altri no: Jandreau, infatti, interpreta Brady Blackburn, un personaggio di finzione, e non se stesso; ma il padre e la sorella di Blackburn sono interpretate dal padre e dalla sorella di Jandreau.


Anche The Rider fu per la maggior parte finanziato da Zhao e addirittura girato con una troupe ancora più ristretta rispetto a quella di Songs My Brothers Taught Me. Il film, un western contemporaneo, piacque e si fece notare dagli addetti ai lavori: Bong Joon Ho, regista di Parasite, parlò di Zhao come di una delle registe che più avrebbero potuto segnare il cinema dei successivi decenni. E Barack Obama lo inserì nella lista dei suoi film preferiti dell’anno.

Dopo i suoi primi due film Zhao forse era ancora sconosciuta a molti, ma di certo si era fatta notare grazie a quelle che l’Atlantic ha definito «storie granulari di perseveranza umana». E grazie a quel successo arrivò la possibilità di girare Nomadland: un film che parla di una donna sessantenne che, vedova e senza lavoro, finisce – per necessità più che per scelta – a girare gli Stati Uniti occidentali alla guida di un furgone.


Nomadland è tratto da un libro di successo, girato in tante località e con protagonista Frances McDormand, vincitrice di due Oscar e decisamente agli antipodi di quello che è un attore non professionista. Tuttavia, in Nomadland recitano dei non attori: alcune delle persone che Jessica Bruder – autrice del libro da cui è tratto il film – incontrò a suo tempo, e poi altre che Zhao e la sua troupe hanno incontrato per strada, girando tra South Dakota, Nebraska, Arizona, Nevada e California. Dopo aver vinto il Leone d’Oro a Venezia il film deve ancora uscire: negli Stati Uniti in questi giorni, in Italia tra qualche settimana (ma ancora non ci sono certezze sul quando e sul come).

È invece atteso per novembre Eternals, che sarà il 26° film dell’Universo Cinematografico Marvel, con la non indifferente ambizione di rilanciare l’intera saga presentando una serie di nuovi personaggi, interpretati tra gli altri da Angelina Jolie, Salma Hayek, Kumail Nanjiani, Richard Madden e Kit Harington. Può sembrare una strana evoluzione di carriera, visti i precedenti lavorativi di Zhao, ma – come ha fatto notare Vulture – «è così che funzionano le cose a Hollywood, di questi tempi».

– Leggi anche: Fellini spiegato da Scorsese

Parlandone con l’Atlantic, Zhao ha spiegato di aver ricevuto la proposta per dirigere Eternals due giorni prima di iniziare le riprese di Nomadland. Ha anche paragonato questi due film ai suoi due cani – Taco e Rooster – specificando che vuole molto bene a entrambi (vive con loro, e con Richards, in una casa sulle montagne non lontano da Los Angeles). Come i suoi due cani – uno più vecchio, l’altro più giovane – Nomadland e Eternals vanno semplicemente «a due velocità diverse». Ha anche spiegato che per una regista come lei, cresciuta vedendo costosi e ambiziosi film d’autore come Il petroliere o Non è un paese per vecchi, fare film con budget ridotti è stata una necessità, non una scelta.

Più in generale, invece, Zhao ha raccontato di essere diventata regista perché voleva raccontare storie (da bambina attraverso i manga) ma anche perché si era accorta – dice lei – di non avere nessun particolare talento e di potersi quindi limitare a «scegliere i migliori professionisti di ogni ambito» per poi coordinare il loro lavoro. Tra le tante cose che deve fare chi dirige un film, Zhao preferisce senza dubbio il montaggio: «Quando scrivo una sceneggiatura, nella mia testa già sto montando le immagini» ha detto «e anche sul set sto sempre a pensare a cosa farò in fase di montaggio». E la cosa, evidentemente, le piace, perché ha aggiunto: «Tra tutti i posti in cui devo essere per un film, la sala di montaggio è il mio preferito».

Zhao nel settembre 2020 (Richard Shotwell/Invision/AP)

McDormand ha detto di lei che, visto il suo approccio immersivo e tenendo anche conto delle tantissime domande che fa, «di base è una giornalista» e che ha la rara abilità di «stare sul filo del rasoio tra i sentimenti e il sentimentalismo». Ha anche voluto far sapere che «è una persona in grado di indossare una giacca usata con sopra dei cuccioli di cane e di indossarla come se fosse di Valentino».

Kevin Feige, il capo dei Marvel Studios e quindi quello che l’ha scelta per Eternals, ha detto: «Chloé non fa solo piccoli e notevolissimi film personali, ma sa anche pensare in termini grandiosi, cosmici e giganteschi» e ha raccontato che l’idea che ha avuto per il film è la migliore che abbia mai sentito, aggiungendo che ha a che fare con una storia «grande, radicale e multimillenaria». Sempre in riferimento al suo modo di dirigere i film Gail Segal, la sua insegnante di cinema a New York, ha detto: «Chloé ha un cuore caldo, ma uno sguardo freddo».