Il ministero della Salute ha vietato la vendita delle mascherine U-Mask
Perché certificate da un laboratorio «privo di autorizzazione» e quindi con possibili rischi per la salute
Il ministero della Salute ha disposto il divieto di vendita delle mascherine U-Mask Model 2, un tipo di mascherina molto popolare e riconoscibile per una “U” stampata all’altezza della bocca. Il divieto e il conseguente ritiro dal commercio è arrivato dopo che i carabinieri del NAS (Nucleo Antisofisticazione e Sanità) di Trento avevano segnalato al ministero che le mascherine U-Mask risultavano come dispositivi medici in base alla certificazione di un laboratorio «privo di autorizzazione e sottoscritta da un soggetto privo dei prescritti titoli abilitativi (non in possesso di laurea)». Secondo il ministero ci sarebbero quindi «potenziali rilevanti rischi per la salute» derivati «dall’assenza di un regolare processo valutativo».
L’azienda ha risposto con un comunicato stampa in cui contesta il provvedimento e in cui anticipa che lunedì 22 febbraio presenterà alle autorità «nuove certificazioni di analisi, eseguite da uno dei pochissimi laboratori accreditati Accredia».
Nelle scorse settimane la Procura di Milano aveva già aperto un’inchiesta per frode indagando Betta Maggio, rappresentante legale della società produttrice delle mascherine: la U-Earth Biotech, che ha sede a Londra e una filiale a Milano. Inoltre il 15 febbraio l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) aveva avviato un procedimento contro l’azienda per pubblicità ingannevole. Secondo l’AGCM «al prodotto U-Mask da un lato è attribuita un’efficacia protettiva (per singolo filtro) di 200 ore di utilizzo effettivo o di un anno, che non sarebbe debitamente comprovata; dall’altro, questo tipo di mascherina sarebbe impropriamente comparato con dispositivi di protezione individuale (DPI) rispetto ai quali, secondo la presentazione sul sito web, “U-Mask ha un’efficienza superiore, paragonabile a un FFP3”. Invece U-Mask non è certificata come DPI ma risulta registrata presso il ministero della Salute come dispositivo medico di “classe I”».