Il mercato texano invece adotta un approccio diverso ed è fortemente legato al contenimento dei costi, che oggi sono del 10% sotto la media nazionale, e circa la metà di quelli della California, lo stato più popoloso degli Stati Uniti. La soluzione, dice l’Economist, sarebbe aggiungere fonti di energia (quindi anche le rinnovabili) investendo per migliorare quelle esistenti, a costo di alzare i prezzi per i cittadini texani ed evitare che blackout generali come quelli degli ultimi giorni possano ripetersi di nuovo.
Perché il freddo ha rotto la rete elettrica in Texas
I Repubblicani hanno attaccato le fonti di energia rinnovabili, ma i guai sono legati più che altro al gas naturale e alle scelte politiche del Texas
Negli ultimi giorni la forte tempesta di neve e il freddo che hanno interessato gli Stati Uniti hanno causato enormi problemi in particolare in Texas, dove in alcune zone le temperature sono scese sotto lo zero lasciando senza elettricità milioni di persone. Le conseguenze della tempesta assomigliano più a quelle di una calamità naturale che ai normali disagi causati da fenomeni simili, e sono spiegate principalmente dal fatto che in Texas solitamente gli inverni non sono molto rigidi. Ma i guai causati dal freddo hanno aperto comunque un dibattito che sta tirando in mezzo le energie rinnovabili, la dipendenza dal gas naturale e più in generale l’organizzazione della rete elettrica nello stato.
Le polemiche sulle energie rinnovabili
Viste le temperature raggiunte in questi giorni, moltissime persone in Texas hanno acceso il riscaldamento domestico nelle stesse ore. La grande domanda improvvisa di elettricità ha creato uno squilibrio rispetto alla capacità erogabile, costringendo l’Electric Reliability Council of Texas (ERCOT), la società che gestisce tutta la rete elettrica dello stato, a interrompere le forniture in alcune zone, a rotazione.
Molti politici Repubblicani hanno dato la colpa dei blackout alle fonti rinnovabili di energia, come le pale eoliche, che con la tempesta si sono ghiacciate e bloccate, interrompendo quindi la produzione di energia elettrica. Anche il Wall Street Journal ha pubblicato un editoriale in cui in sostanza attribuisce la colpa dei blackout ai mancati investimenti nell’energia prodotta da combustibili fossili. Questa tesi è stata portata avanti anche da molti commentatori nei programmi di Fox News (canale televisivo notoriamente conservatore) e dallo stesso governatore del Texas, il Repubblicano Greg Abbott.
«[Quello che è successo] mostra che i combustibili fossili sono necessari tanto per il Texas quanto per gli altri stati, per essere sicuri di riscaldare le nostre case in inverno e tenerle fresche d’estate», ha detto Abbott a Fox News. Dietro le parole di Abbott e di altri politici Repubblicani contro le energie rinnovabili c’è una questione politica ed economica che riguarda i primi provvedimenti sull’ambiente presi dal nuovo presidente degli Stati Uniti, il Democratico Joe Biden.
A fine gennaio, infatti, Biden ha firmato una serie di ordini esecutivi legati alla protezione dell’ambiente in netto contrasto col suo predecessore Donald Trump, noto negazionista del cambiamento climatico e particolarmente attento al settore delle estrazioni petrolifere. Tra questi provvedimenti il più importante è stato la sospensione dei nuovi permessi per trivellare il territorio federale, e il ritorno degli Stati Uniti negli accordi sul clima di Parigi. Nei giorni scorsi quindi il blackout in Texas è diventato un pretesto per i Repubblicani per attaccare le politiche ambientaliste che vuole adottare la nuova amministrazione Biden: con le fonti rinnovabili come bersaglio principale.
Cosa ha causato davvero i blackout
In realtà quello che è successo non è tanto da imputare alle energie rinnovabili, quanto alle centrali elettriche alimentate a carbone e gas naturale. Nonostante le pale eoliche si siano bloccate a causa del freddo, l’energia che avrebbero prodotto è comunque inferiore a quella delle centrali a combustibili fossili.
Martedì Dan Woodfin, dirigente dell’ERCOT, ha detto che gran parte dell’interruzione di energia elettrica è stata dovuta «a problemi al sistema del gas naturale». Secondo l’ERCOT martedì pomeriggio i gigawatt di potenza elettrica da fonti rinnovabili non disponibili sono stati 16, mentre quelli persi a causa di centrali a gas e nucleari sono stati 30. Mercoledì questi numeri sono saliti, ma è rimasta una netta differenza tra i due tipi di fonti: 18 gigawatt persi per le energie rinnovabili e 28 per le centrali a gas e quelle nucleari.
Le temperature gelide hanno infatti causato problemi tanto alle pale eoliche quanto alle centrali elettriche a gas naturale, causando ritardi nelle forniture. Alcuni impianti a gas si sono bloccati a causa del freddo, ci sono stati problemi alle condutture e alle linee di trasmissione dell’elettricità, e persino il reattore di una delle due centrali nucleari dello stato ha smesso di funzionare. «In breve – ha commentato il New York Times – in Texas c’è stata la tempesta perfetta». Secondo l’ERCOT l’80 per cento dell’energia che la rete elettrica dello stato è in grado di produrre d’inverno dipende dal gas naturale, dal carbone e dall’energia nucleare, e solo una minima parte proviene da fonte rinnovabili.
Il problema quindi riguarda principalmente l’incapacità del sistema elettrico del Texas di rispondere a una domanda di energia così ingente, tale da far crollare tutto il sistema. Nonostante alcuni sostengano che una tempesta di queste dimensioni fosse impossibile da prevedere, già la scorsa estate c’erano stati alcuni segni di falle nella rete elettrica texana, con numerosi cali di tensione dovuti alla forte domanda di energia per i condizionatori.
Come è fatta la rete elettrica in Texas
Uno degli aspetti più rilevanti è che mentre nel resto degli Stati Uniti le reti elettriche sono tutte collegate in due grossi sistemi interconnessi (“interconnection”) – grossomodo uno che copre gli stati dell’est e uno che copre quelli dell’ovest – il Texas ha una sua rete elettrica separata. Durante la sua storia, il Texas si è spesso dimostrato fiero del suo passato di stato indipendente e piuttosto resistente al governo federale. Lo stato ha voluto sviluppare una sua “interconnection” per avere autonomia energetica e non dipendere dal governo federale, ma questo significa anche che mentre le reti degli altri sistemi possono compensare eventuali picchi e cali di energia locali, dovuti a malfunzionamenti o semplicemente a elevate richieste momentanee, la rete del Texas è praticamente isolata.
Di conseguenza, come ha spiegato l’Economist, un altro motivo che può spiegare i blackout di questi giorni è il modo in cui è strutturata la rete elettrica texana. L’ERCOT sovrintende infatti alla produzione dell’elettricità nello stato, ma ci sono poi circa 300 aziende che si occupano di gestirla. In un mercato con così tanti operatori la concorrenza spinge le aziende a cercare di mantenere i costi bassi, per offrire ai consumatori prezzi migliori rispetto ai concorrenti. Perciò risparmiano, per esempio, sulle operazioni di manutenzione delle strutture in vista dell’inverno, che di norma non è mai eccessivamente freddo e si prevede non possa causare grossi danni.
Inoltre il sistema elettrico texano non si affida a quello che in gergo tecnico viene definito capacity market, ovvero “mercato della capacità”: un meccanismo che prevede che gli operatori stipulino contratti con aziende esterne per garantire l’approvvigionamento di energia elettrica, di modo da essere sempre in grado di coprire il fabbisogno. Affidarsi al capacity market funziona come una sorta di assicurazione che permette di avere sempre energia elettrica, ma potrebbe far alzare i costi delle aziende e i prezzi delle bollette dei consumatori.