I dati della settimana sul coronavirus in Italia
L'andamento dei contagi si conferma stabile e la presenza delle varianti sta incidendo soprattutto a livello locale
Nell’ultima settimana l’andamento dei contagi mostra che l’epidemia da coronavirus è in una fase di andamento stabile. Dal 12 al 18 febbraio sono stati registrati 82.009 casi di positività, il 4,6 per cento in meno rispetto al monitoraggio di venerdì scorso. I dati dicono che nelle ultime settimane il numero dei nuovi positivi non cala, nonostante le misure restrittive entrate in vigore in alcune regioni. L’andamento è stabile a livello nazionale, ma in molte regioni è in crescita l’incidenza dei casi dovuti alle varianti del coronavirus.
Una settimana fa sono stati pubblicati i risultati di un’indagine rapida avviata dall’Istituto superiore di sanità per individuare la prevalenza della variante chiamata “inglese” sui casi totali registrati nelle ultime settimane. Dall’indagine è emerso che rappresenta il 17,8 per cento delle infezioni da coronavirus. È una stima basata su un numero limitato di campioni, e i dati regionali non sono stati diffusi, ma il lavoro dell’Istituto superiore di sanità servirà anche a tenere sotto controllo la presenza delle varianti in Italia.
Giovedì è stata annunciata un’altra indagine per verificare l’impatto di altre varianti, soprattutto la “brasiliana” e la “sudafricana”. Le varianti, più contagiose, hanno causato un rapido aumento dei contagi in alcune aree. È uno dei motivi che hanno spinto alcune regioni a istituire zone rosse locali per evitare un’ulteriore diffusione del contagio.
Un dato relativamente confortante riguarda l’andamento dei decessi: nonostante rimangano sopra la soglia di duemila a settimana, nell’ultimo mese hanno registrato un calo costante e significativo. La mortalità è uno degli indicatori più accurati per mostrare i benefici delle misure restrittive, pur con qualche settimana di ritardo. L’andamento dei decessi e prima ancora quello degli ingressi in terapia intensiva saranno dati essenziali per valutare anche l’impatto della campagna vaccinale. Nonostante sia iniziata da quasi due mesi, è però ancora presto per avere dati sufficienti a capire se stiano ottenendo i benefici sperati.
Nell’ultima settimana sono state introdotte nuove zone rosse locali, cioè limitate ai confini comunali o provinciali, dopo quelle che erano entrate in vigore quasi due settimane fa e che scadranno nei prossimi giorni. In Lombardia, per esempio, sono state disposte chiusure nei comuni di Bollate, in provincia di Milano, Castrezzato, in provincia di Brescia, Mede, in provincia di Pavia, e Viggiù, in provincia di Varese. Le misure restrittive delle zone rosse locali sono molto simili alle regole previste dalle zone rosse regionali: non si può uscire di casa se non per motivi di lavoro, salute o urgenza, molte scuole sono chiuse così come negozi, bar e ristoranti.
Le zone rosse locali dovrebbero impedire la diffusione del contagio su scala più estesa. Un obiettivo che sembra essere stato centrato in Umbria, una delle regioni dove la situazione era più critica a causa della presenza delle varianti “inglese” e “brasiliana”. La zona rossa è stata introdotta in tutta la provincia di Perugia e anche in alcuni comuni della provincia di Terni. Nell’ultima settimana, in Umbria, sono stati registrati 253 casi ogni 100mila abitanti, ma il dato è in calo dell’11% rispetto ai sette giorni precedenti. L’andamento cresce, invece, in Abruzzo: 231 casi ogni 100mila abitanti nell’ultima settimana, con un aumento del 21% rispetto ai sette giorni precedenti.
Migliorano, invece, sono i dati della provincia autonoma di Bolzano: l’incidenza sulla popolazione rimane molto alta – 631 positivi ogni 100mila abitanti – eppure questo dato è in diminuzione del 24% rispetto all’ultimo monitoraggio. Sono i primissimi effetti della zona rossa introdotta da un’ordinanza della provincia autonoma due settimane fa.
Lo stesso andamento si può rilevare nell’infografica del numero settimanale e assoluto di nuovi positivi. Dopo una crescita nell’ultimo mese e mezzo, è calato il numero dei contagi settimanali in Campania, anche se è presto per fare valutazioni. Il trend è in costante diminuzione, invece, in Sicilia e in Veneto.
Nella mappa che mostra l’incidenza in tutte le province italiane vengono evidenziate alcune particolari aree critiche all’interno delle regioni: le province emiliane, la provincia di Brescia in Lombardia, Salerno in Campania, oltre alla provincia di Perugia già in zona rossa, Chieti e Campobasso in Molise. Sono le regioni di cui il Comitato tecnico scientifico sta valutando i dati con attenzione per la possibile introduzione di nuove misure restrittive.
Il confronto tra due indicatori – casi settimanali per 100mila abitanti e variazione percentuale rispetto ai sette giorni precedenti – evidenzia una situazione delicata in Abruzzo, già in area arancione, e nella provincia autonoma di Trento. Sia la Sardegna che la Valle d’Aosta hanno valori molto vicini alle soglie dell’area bianca. Per determinare le misure restrittive, però, vengono analizzati anche altri dati come il tasso di occupazione nei reparti di terapia intensiva, la presenza di focolai o di un numero significativo di contagi nelle RSA.
Il tasso di occupazione delle terapie intensive è uno dei parametri più utili per capire l’impatto della presenza delle varianti in molte regioni. Non è ancora chiaro se le varianti siano più pericolose, ma è già noto che molte siano più contagiose. Con più contagi, aumenta la possibilità che più persone si ammalino e debbano essere curate nelle terapie intensive.
Da ormai due settimane l’Umbria ha un tasso di occupazione – al 60,3 per cento – ampiamente sopra la soglia di allerta fissata al 30 per cento dall’Istituto superiore di sanità. Come nell’ultimo monitoraggio, la Basilicata è la regione con il tasso di occupazione più contenuto, al 6,8 per cento.
In questa visualizzazione, invece, è possibile consultare tutti i dati relativi agli ingressi settimanali in terapia intensiva. Questo parametro è stato introdotto a dicembre e aiuta a capire l’andamento del numero di casi in gravi condizioni. Il semplice dato chiamato “terapie intensive”, che aveva avuto molta considerazione fino allo scorso autunno, mostra invece il saldo tra gli ingressi e le uscite, quindi può essere indicativo per il tasso di occupazione e non per valutare la variazione nel tempo dei casi gravi.
Negli ultimi sette giorni, la regione con la più alta incidenza di decessi rispetto alla popolazione è l’Umbria: 8,6 ogni 100mila abitanti. C’è stato un netto calo, invece, in Friuli Venezia Giulia che dai 13,9 morti ogni 100mila abitanti è passata a 6,1. Dati in crescita anche in Molise dove sono stati registrati 6,5 morti ogni 100mila abitanti.
Il tasso di positività dei tamponi mostra un andamento piuttosto stabile. È sempre molto difficile valutare l’affidabilità di questo indicatore che è sottoposto alle variabili dovute ai diversi criteri adottati nelle regioni. In Lombardia, per esempio, è stato introdotto nuovamente l’obbligo di confermare la negatività con un tampone. Questa disposizione potrebbe portare, nelle prossime settimane, a un aumento del numero di tamponi eseguiti.
Martedì, inoltre, il ministero della Salute ha pubblicato una nuova circolare che introduce una modifica ai criteri di utilizzo dei test antigenici rapidi: al contrario di quello che era stato previsto a inizio gennaio, d’ora in avanti sarà necessario eseguire un secondo tampone, molecolare o con un diverso tipo di antigenico, per confermare la positività rilevata dal test antigenico.
Nell’ultima settimana il numero di tamponi eseguiti ha superato la soglia di 1,8 milioni. Ne sono stati eseguiti 1 milione e 819mila. Le persone testate sono state 604mila.
Al momento la campagna vaccinale è tra la fine della fase 1, che ha coinvolto gli operatori sanitari e gli ospiti delle RSA, e l’inizio della fase 2 con il coinvolgimento delle persone con più di 80 anni. Negli ultimi giorni sono iniziate le somministrazioni in molte regioni italiane e questo cambio di fase ha causato un parziale calo del numero di dosi somministrate ogni giorno.
Per la prima volta dall’inizio della campagna vaccinale, le regioni stanno monitorando l’organizzazione dei punti vaccinali e del sistema di prenotazione che deve programmare due appuntamenti: uno per la somministrazione della prima dose e il secondo per il richiamo a tre settimane di distanza, nel caso del vaccino di Pfizer/BioNTech, a 28 giorni nel caso di Moderna e a 12 settimane di distanza per AstraZeneca. Le regioni che più di altre stanno mantenendo un ritmo alto di somministrazione sono la Valle d’Aosta, che comunque ha numeri contenuti, la provincia autonoma di Bolzano e la Toscana.