Una canzone di Sergio Endrigo

Lavorare con parole di poche sillabe non è sempre un trucco

(LaPresse)
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Bryce Dessner dei National ha annunciato un disco di musica classica.
Sono dieci anni che aspetto che qualcuno di bravo faccia un disco di cover di Renato Zero.

Io che amo solo te
A volte chi scrive i testi delle canzoni ricorre a parole di una o due sillabe per arrabattarsi e riempire la metrica con facilità: è un po’ come far combaciare un mosaico, più i pezzi sono piccoli più aderiscono meglio. Il risultato visto da lontano è più un pateracchio ma pazienza.
Però non è sempre così: Io che amo solo te sono cinque parole e sette sillabe, meravigliose. “Riconoscimi Giosuè” sarebbe stato più ricercato, ma stavolta non ne valeva la pena.
Io-che-amo-solo-te.
E che incipit stupendo.

C’è gente che ha avuto mille cose.

Sergio Endrigo la pubblicò nel 1962, a 29 anni, e ci cominciò i suoi successi, anche se faceva il cantautore già da un po’ di anni. Quando la citai in Playlist ci misi due considerazioni contrapposte.
«Splendida e umile dichiarazione d’amore in faccia a voi viziati mai contenti e mai soddisfatti. “Io ho
avuto solo te, e non ti perderò, non ti lascerò, per cercare nuove avventure”. Certo, se fossero stati tutti come te, ancora pensavamo che il mondo fosse piatto».

E tra l’altro, è celebrata come una canzone dell’amore eterno, per l’esibita devozione, ma “quel che resta della mia gioventù” non sembra un periodo di tempo straordinariamente lungo e generoso da offrire, no?

Dopo, l’hanno cantata in tanti, e la canzone è bellissima, ma sembrano sempre altri che cantano la canzone di Endrigo.


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