Gli atleti che parteciperanno alle Olimpiadi vanno vaccinati?
Se ne sta discutendo per la posizione ambigua del Comitato olimpico internazionale, che finora non ha stabilito regole certe
A circa cinque mesi dalla data fissata per l’inizio delle Olimpiadi di Tokyo, in Giappone, il Comitato olimpico internazionale (CIO) non ha ancora dato una linea chiara sulla vaccinazione contro il coronavirus per chi dovrà partecipare alle competizioni. La posizione del CIO è stata definita per lo più ambigua. A inizio febbraio, infatti, il comitato aveva pubblicato i manuali con le regole sullo svolgimento dei Giochi: se da una parte specificava che non avrebbe reso obbligatoria la vaccinazione per gli atleti, dall’altra diceva di avere chiesto ai Comitati olimpici nazionali «di impegnarsi attivamente con i rispettivi governi» per garantire la copertura vaccinale.
La questione sta facendo molto discutere, sia perché ogni paese ha le sue regole e i suoi tempi relativi alla campagna vaccinale, e coordinare tutti potrebbe risultare estremamente difficile, sia perché in carenza di vaccini dare priorità a sportivi giovani e sani potrebbe comportare un rallentamento seppur minimo delle vaccinazioni nei confronti di persone vulnerabili. Il numero degli atleti e dei membri delle delegazioni nazionali da vaccinare sarebbe relativamente piccolo, se confrontato con le dosi di vaccino somministrate quotidianamente in un paese (in Italia siamo sulle 90mila al giorno). La questione rimane comunque molto delicata, soprattutto per la difficoltà che molti governi continuano ad avere nell’ottenere rapidamente le dosi sufficienti di vaccino destinate alle fasce più deboli della popolazione.
In tutto questo, c’è sempre il rischio che i Giochi olimpici vengano nuovamente rimandati a causa della pandemia, dopo avere subìto un primo rinvio nell’estate del 2020.
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Nell’ultimo anno diversi campionati e competizioni sportive hanno affrontato lo stesso problema a cui si trova oggi di fronte il Comitato olimpico internazionale: cioè decidere che misure adottare per permettere il naturale svolgimento delle gare garantendo allo stesso tempo la sicurezza di atleti, staff tecnici e giornalisti, tra gli altri. Lo scorso anno, per esempio, il campionato americano di basket della NBA era riuscito a portare a termine il campionato creando una specie di “bolla” da cui gli atleti (e non solo) non potevano uscire. Altri campionati o competizioni avevano scelto una strada più morbida, con tamponi frequenti per verificare l’eventuale positività degli sportivi.
Nelle ultime settimane la discussione su quali misure prendere in vista delle Olimpiadi, e in particolare rispetto al vaccinare gli atleti, è diventata piuttosto accesa.
Dick Pound, un avvocato ed ex nuotatore canadese che fa parte del CIO da molto tempo e che ha ricoperto diversi ruoli dirigenziali, ha detto apertamente in più occasioni che sarebbe da pazzi non vaccinare gli atleti prima delle competizioni. Secondo Pound, gli atleti dovrebbero avere la priorità nella campagna vaccinale nei rispettivi paesi. Anche il CIO ha assunto pubblicamente posizioni simili, pur non arrivando a introdurre l’obbligo.
Il Wall Street Journal ha chiesto ai Comitati olimpici nazionali di venti paesi che parteciperanno alle Olimpiadi cosa intendano fare sulle vaccinazioni degli atleti. Tra i più importanti che hanno risposto, solo la Germania e i Paesi Bassi hanno detto esplicitamente di non avere intenzione di affrontare il problema con i propri governi almeno finché non si sarà finito di vaccinare i gruppi a rischio. L’Italia ha rimandato la questione perché era ancora nella fase di transizione tra il governo Conte e il governo Draghi. Molti paesi hanno risposto di voler aspettare fino all’ultimo momento per prendere una decisione.
Il tempo a disposizione, comunque, non è moltissimo, considerato che tutti i vaccini disponibili oggi richiedono la somministrazione di due dosi a distanza di alcune settimane, e che dopo la seconda dose servono un altro paio di settimane perché siano del tutto efficaci (i tempi potrebbero accorciarsi con l’approvazione di vaccini che richiedono una sola dose). I Giochi dovrebbero iniziare il 23 luglio: per vaccinare gli atleti in tempo utile, la prima dose dovrebbe essere somministrata almeno due mesi prima, quindi entro la terza settimana di maggio.
Per quella data la situazione delle campagne vaccinali nei paesi sarà molto disomogenea. Alcuni paesi potrebbero non avere ancora avuto accesso ai vaccini, o essersi garantiti pochissime dosi; anche i paesi più ricchi e che vaccinano più persone ogni giorno potranno difficilmente considerarsi già a buon punto (gli Stati Uniti non hanno ancora vaccinato il 10% della popolazione, e sono molto avanti rispetto ai paesi europei).
Non si tratta solo delle fasce a rischio: se a maggio scuole e negozi dovessero essere ancora chiusi o aperti a intermittenza, il rischio è che la scelta di dare la priorità agli atleti diventi oggetto di grandi critiche verso i governi. Allo stesso tempo, c’è anche chi pensa che vaccinare gli sportivi potrebbe servire da modello per incentivare le vaccinazioni in generale, considerando i dubbi nutriti oggi da molte persone sull’efficacia e sicurezza dei vaccini contro il coronavirus.
La delegazione dell’Italia avrà circa 300 atleti, e sarà seguita da tecnici, medici, fisioterapisti e altro personale, aveva spiegato in un’intervista a Repubblica Giovanni Malagò, il presidente del CONI (Comitato olimpico nazionale italiano). Sarebbe quindi un gruppo abbastanza consistente da vaccinare e Malagò aveva detto che lo sport non avrebbe potuto chiedere al governo di avere la priorità.
In altri paesi si è già iniziato ad adottare una politica diversa. L’Ungheria, per esempio, ha iniziato a vaccinare 868 persone tra atleti e allenatori, compresi 150 che parteciperanno alle Olimpiadi invernali di Pechino nel 2022. Non è chiaro però se e quando altri paesi seguiranno questo esempio.
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