I diamanti non sono così rari
È una credenza dovuta alle strategie commerciali e promozionali di De Beers, che a partire da fine Ottocento costruì un mito che dura ancora oggi
I diamanti sono la pietra preziosa più nota e desiderata, ma la ragione non dipende dal fatto che siano le gemme di maggiore valore, né le più brillanti (non lo sono): bensì dalle strategie commerciali della società il cui nome è stato a lungo sinonimo dell’intera industria dei diamanti, la De Beers. A questa azienda si deve anche la falsa credenza secondo cui i diamanti sarebbero rari. Ovviamente, le miniere di diamanti non si trovano dappertutto e il numero di queste pietre preziose non è infinito, ma l’idea che ce ne siano pochi si è diffusa perché per decenni la De Beers ne ha messo da parte una grossa riserva, vendendo solo una parte di quelli estratti. Tenendo così alti i prezzi, e al tempo stesso alimentando il mito intorno ai diamanti.
Un tempo i diamanti erano effettivamente rari e sugli anelli di fidanzamento di chi poteva permettersi di acquistare delle gemme c’erano soprattutto rubini e zaffiri. Le cose cambiarono circa 150 anni fa: intorno al 1870 in Sudafrica furono scoperte enormi miniere di diamanti, che così diventarono più diffusi e meno costosi.
Per evitare che i prezzi scendessero troppo, i principali investitori del settore decisero di allearsi, fondando la De Beers, che deve il suo nome a una delle prime miniere di diamanti sudafricane. Tra gli azionisti della società c’erano Cecil Rhodes, un politico che ebbe un ruolo rilevante nell’evoluzione del colonialismo britannico (lo Zimbabwe un tempo si chiamava Rhodesia a causa sua) e delle politiche segregazioniste in Africa, e la ricca famiglia Rothschild. Crearono la De Beers per fare cartello contro altri estrattori di diamanti e diventare un monopolio: grazie alle sue grandi disponibilità finanziarie la società aveva la capacità di comprare non solo la maggior parte dei giacimenti minerari, ma anche molti dei diamanti che venivano estratti altrove. In questo modo quasi tutti i diamanti che venivano estratti passavano per la De Beers, che dunque aveva il potere di fissarne i prezzi. E non solo.
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Dalla sua fondazione nel 1888 e fino agli anni Novanta, la De Beers controllò tra il 75 e l’85 per cento del traffico di diamanti grezzi nel mondo. Questo le permetteva di non venderli tutti: per decenni accumulò in un deposito di Londra un gran numero di diamanti grezzi. Così facendo ne vendeva meno, ma dato che poteva controllare il numero di quelli disponibili sul mercato ne stabiliva anche il prezzo. All’aumentare della domanda, ne vendeva in percentuale maggiore, ma mai in misura tale da dare l’impressione che i diamanti fossero una merce comune. Quando la domanda diminuiva per via del contesto economico generale – ad esempio durante la crisi economica mondiale iniziata nel 1929 – comprava i diamanti da chi voleva venderli, per poterli poi rivendere in modo vantaggioso non appena le pietre fossero tornate a essere richieste.
Per questo, pur comparendo sulle dita di un numero sempre maggiore di fidanzate e mogli, i diamanti si fecero la fama di pietre rare. Tale nomea a sua volta faceva il gioco di De Beers, perché aumentava la desiderabilità delle pietre: era insomma anche una efficacissima strategia di marketing.
Al tempo stesso l’azienda portò avanti anche un’altra operazione di marketing, una di quelle di maggior successo di tutti i tempi: grazie al lavoro dell’agenzia pubblicitaria americana N.W. Ayer, convinse consumatori di tutto il mondo che per chiedere in moglie una donna servisse un anello con un diamante sopra. Come spiega un citatissimo articolo dell’Atlantic del 1982 – “Avete mai provato a vendere un diamante?” del giornalista investigativo Edward Jay Epstein – De Beers e N.W. Ayer inventarono il concetto di diamante. Cioè pietre rare, di valore ed essenziali per dimostrare il proprio amore a qualcuno. Molti giovani uomini furono persuasi che solo un diamante e le sue dimensioni potessero trasmettere la misura del loro amore (oltre che del loro successo personale e professionale), e molte giovani donne furono convinte che senza diamante non fossero abbastanza amate.
De Beers e N.W. Ayer portarono avanti questa operazione di convincimento in due modi. Innanzitutto si servirono di uno slogan molto efficace: «A Diamond is Forever», «Un diamante è per sempre», ideato dalla pubblicitaria Frances Gerety alla fine degli anni Quaranta e da allora sempre usato dalla De Beers. Da un lato dire che un diamante è «per sempre» legava l’immagine dei diamanti al concetto di amore eterno, rendendo le pietre più desiderabili da chi avrebbe potuto riceverle, dall’altro trasmetteva l’idea che i diamanti non andassero rivenduti, ma piuttosto conservati in cassaforte e poi dati in eredità a figli e nipoti. Anche questo concetto faceva comodo alla De Beers, per continuare a mantenere il controllo sul numero di diamanti in circolazione.
La promozione di questa idea di diamante ebbe successo anche grazie al mondo dello spettacolo. La De Beers cominciò a regalare dei diamanti ad attrici e attori, per fare in modo che sulle riviste di spettacolo si dicesse che la tale stella del cinema l’avesse ricevuto dal proprio partner. N.W. Ayer proponeva alle riviste e ai giornali storie e fotografie in cui persone famose indossavano gioielli con i diamanti, con tanto di dettagli sulle dimensioni delle pietre. Nel 1946 ad esempio forniva a 125 diversi quotidiani un servizio settimanale in cui diffondeva descrizioni dei gioielli indossati dalle attrici famose che erano state fotografate di recente. E poi faceva in modo che i diamanti si vedessero anche al cinema: la celebre canzone “Diamonds are a Girl’s Best Friend”, cantata da Marilyn Monroe in Gli uomini preferiscono le bionde (1953), è solo uno dei tanti esempi con cui fu trasmessa la desiderabilità dei diamanti. Negli anni il cinema di Hollywood ha diffuso nel mondo una sua idea di amore romantico, e i diamanti ne hanno quasi sempre fatto parte.
La strategia di marketing insomma funzionò molto bene. Nel 1939 la De Beers vendette diamanti negli Stati Uniti per 23 milioni di dollari; nel 1979 erano diventati 2,1 miliardi di dollari. Negli anni Novanta però l’azienda dovette adattarsi a nuove circostanze internazionali. Prima di tutto il crollo dell’Unione Sovietica permise ai produttori di diamanti siberiani di iniziare ad esportare i loro prodotti autonomamente. Le tecnologie satellitari poi permisero di trovare più facilmente nuove miniere: accadde ad esempio in Australia, che nel 1996 decise di vendere i suoi diamanti senza collaborare con la De Beers.
Intanto altre miniere in giro per il mondo decidevano di abbandonare il cartello della De Beers, che imponeva loro condizioni economiche spesso difficili da accettare. Anche le autorità antitrust iniziarono ad attaccare la società, obbligandola ad abbandonare il suo comportamento monopolistico: nel 2000, un anno dopo la morte di Frances Gerety, annunciò di aver smesso di accumulare diamanti grezzi nella sua riserva per poter tornare a vendere diamanti negli Stati Uniti. Oggi, la De Beers controlla appena un terzo del mercato. Anche i paesi in via di sviluppo, dove un tempo le società del settore facevano il bello e il cattivo tempo, hanno aumentato il loro controllo su chi estrae i diamanti nel loro territorio. Il governo del Botswana, ad esempio, è proprietario del 15 per cento di De Beers.
Finora la maggiore concorrenza non ha fatto cambiare più di tanto i prezzi, perché le altre società si sono adattate a quelli di De Beers. Ma in futuro, se la desiderabilità dei diamanti dovesse calare o l’interesse per quelli sintetici dovesse aumentare, i prezzi potrebbero diminuire. A quel punto la De Beers sarebbe di nuovo in una posizione vantaggiosa perché continua ad avere grandi riserve di diamanti grezzi, pur avendo smesso di farle crescere.
Non si sa quale sia la massa totale di tutti i diamanti presenti sulla Terra, ma è certo che non sono tra le gemme più rare: di rubini, zaffiri e smeraldi ce ne sono di meno, diversamente da quello che saremmo indotti a pensare. Ciò che sappiamo su come si formano le gemme suggerisce addirittura che i diamanti siano le più comuni in natura, e non solo sulla Terra: si pensa infatti che se ne possano trovare anche altrove nello Spazio, ad esempio dentro una stella della costellazione del Centauro, la nana bianca BPM 37093. Si stima che il suo nucleo si sia cristallizzato in un enorme diamante: se così fosse, con 4mila chilometri di diametro (quello della Terra è di 13mila chilometri scarsi), sarebbe certamente il diamante più grosso di cui siamo a conoscenza.
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