La diplomazia fatta coi vaccini
India, Cina e Russia stanno sfruttando la pandemia per estendere le loro aree d'influenza o risolvere le crisi con i paesi amici
Cina, India e Russia stanno sfruttando i vaccini contro il coronavirus a fini diplomatici per estendere le loro aree di influenza, o recuperare rapporti in crisi con i paesi amici. Negli ultimi mesi, hanno donato milioni di dosi all’estero o avviato contratti molto vantaggiosi per fornire a basso costo i vaccini prodotti dalle loro aziende. In alcuni casi, la diplomazia dei vaccini ha portato India e Cina a competere in paesi confinanti e strategici per entrambe, con qualche beneficio per i governi locali che si sono ritrovati con molte più dosi di vaccino del previsto e a un costo esiguo.
In India la produzione del vaccino di AstraZeneca sta procedendo speditamente, grazie all’impegno del Serum Institute, uno dei più grandi produttori al mondo di vaccini. Dallo stabilimento escono ogni giorno 2,5 milioni di dosi, più di quanto il sistema sanitario indiano riesca a somministrarne giornalmente. Ciò rende possibile l’impiego di parte delle dosi per effettuare donazioni all’estero, o per vendite a prezzi vantaggiosi nei confronti dei paesi verso i quali l’India ha particolari interessi.
Doppia opportunità
Nelle scorse settimane il governo indiano ha per esempio annunciato la donazione di un milione di dosi di vaccino al Nepal, 2 milioni al Bangladesh e di 1,5 milioni al Myanmar. La donazione al Nepal è tra le più importanti, soprattutto per il suo significato politico.
Il Nepal ha poco più di 28 milioni di abitanti ed è pizzicato tra India e Cina (Tibet), paesi tra loro rivali: ha quindi un valore altamente strategico per entrambi.
Negli ultimi anni il governo nepalese aveva cercato di emanciparsi un poco dall’area d’influenza indiana, avvicinandosi alla Cina con alcuni progetti che fanno parte della “Nuova via della seta”, l’ambiziosa iniziativa cinese per costruire infrastrutture che favoriscano i commerci. La politica di allontanamento dall’India non era però piaciuta a parte della maggioranza di governo nepalese, ed era diventata uno degli elementi nella perdita di consenso e sostegno politico per il primo ministro K.P. Sharma Oli.
I vaccini sono diventati l’occasione per un riavvicinamento tra India e Nepal. Dopo un incontro organizzato nella capitale indiana Nuova Delhi con una delegazione diplomatica nepalese, l’India ha promesso la donazione di un milione di dosi al Nepal. Nel frattempo, il governo nepalese sembra abbia rallentato il processo di autorizzazione del vaccino cinese di Sinopharm.
Porto e vaccino
Un altro terreno tradizionalmente di confronto tra India e Cina per ampliare la propria area d’influenza è lo Sri Lanka, dove ci sono numerose opportunità economiche. Una di queste riguardava la costruzione di un nuovo terminal nel porto marittimo della capitale Colombo, che doveva essere portata avanti dall’India. Il progetto esisteva da tempo, ma il governo aveva deciso di riconsiderarlo, mentre altri progetti finanziati dalla Cina erano andati avanti senza problemi.
Il mese scorso una delegazione indiana aveva organizzato una visita nello Sri Lanka proprio per fare pressioni sul governo e promuovere la ripresa dello sviluppo del terminal. L’India aveva intanto inviato mezzo milione di dosi di vaccini contro il coronavirus, stringendo un accordo con il governo srilankese per l’acquisto di 18 milioni di altre dosi.
I media indiani avevano raccontato la notizia parlando di una nuova stagione di stretta collaborazione con lo Sri Lanka, ma pochi giorni dopo la situazione era nuovamente cambiata. A fine gennaio il governo cinese aveva promesso la donazione di 300mila dosi nell’ambito di un nuovo tentativo di riavvicinamento. A inizio febbraio, il governo dello Sri Lanka aveva infine sciolto le riserve sul terminal a Colombo, annunciando di avere escluso l’India dalla sua realizzazione.
Critiche e contrattempi
La Cina ha iniziato a promuovere molto i propri due vaccini all’estero, anche se sono stati espressi dubbi sulla loro efficacia rispetto alle soluzioni più utilizzate in Occidente, come i vaccini di Pfizer-BioNTech e di Moderna. Sinovac e Sinopharm hanno stretto accordi con una ventina di governi, anche su spinta del governo cinese interessato non solo a migliorare alcuni rapporti diplomatici, ma anche a mostrare di voler contribuire a contenere una pandemia iniziata nei suoi confini.
Alcuni contrattempi stanno però mettendo a rischio le iniziative della Cina. Paesi come la Turchia e il Brasile, che hanno concordato la fornitura di milioni di dosi, hanno criticato le aziende produttrici cinesi per la lentezza con cui forniscono le dosi e il necessario per somministrarle alla popolazione. A questo si uniscono i dubbi circa l’efficacia dei vaccini, probabilmente al di sotto delle aspettative.
Alla fine dello scorso anno, il governo della Turchia aveva sostenuto che entro fine 2020 sarebbero arrivati 10 milioni di dosi del vaccino di Sinovac. Le consegne hanno però subìto diversi ritardi e i primi 3 milioni di dosi sono arrivati solo a inizio gennaio. Il governo cinese ha spiegato i ritardi dicendo che una maggiore quantità di vaccini si era resa necessaria in Cina, a causa del nuovo aumento di casi positivi in alcune aree del paese.
Anche in Brasile ci sono stati sensibili ritardi nelle consegne del vaccino di Sinovac, sia per motivi organizzativi, sia burocratici. Il governo brasiliano ha chiesto alla Cina di accelerare i processi, ma intanto a fine gennaio ha annunciato di avere risolto un problema con l’India per la fornitura di almeno 2 milioni di dosi del vaccino di AstraZeneca, prodotte dal Serum Institute.
Il governo delle Filippine ha prenotato dosi del vaccino da Sinovac, ricevendo critiche per essersi impegnato economicamente per l’acquisto di dosi dall’utilità incerta. Altri paesi clienti di Sinovac hanno dovuto affrontare la scarsa fiducia da parte della popolazione nei confronti del produttore cinese, con il rischio di non riuscire a raggiungere gli obiettivi di vaccinare la maggior parte della popolazione a rischio.
Il New York Times segnala che nelle ultime settimane i media cinesi, sotto lo stretto controllo dello Stato, hanno iniziato a diffondere informazioni per sminuire l’efficacia e l’affidabilità dei vaccini di Pfizer-BioNTech e di Moderna, sostenendo che i vaccini cinesi siano migliori. Parte di questo materiale è stato poi riutilizzato dai gruppi organizzati contro le vaccinazioni, soprattutto negli Stati Uniti.
Sputnik V all’estero
La Russia si è inserita nella diplomazia dei vaccini, promuovendo il proprio vaccino Sputnik V, che dopo alcuni dubbi iniziali sollevati dagli esperti si è rivelato sicuro ed efficace nel prevenire la COVID-19. Il governo dice di avere ricevuto complessivamente ordini per 1,2 miliardi di dosi dall’estero, ma non è chiaro se avrà le risorse per rispondere a una domanda così alta. Sputnik V ha intanto ricevuto l’autorizzazione per l’uso di emergenza in numerosi paesi, compresa la Bielorussia, l’Argentina e il Messico. In Iran la campagna vaccinale è iniziata da poco utilizzando il vaccino russo.
– Leggi anche: In Iran i vaccini sono diventati una questione di politica internazionale
La diffusione tramite donazioni o a prezzi di favore dello Sputnik V è considerata un’importante risorsa per migliorare la reputazione della Russia in diversi paesi, dopo l’annessione della Crimea del 2014 e le più recenti vicende legate alla persecuzione degli oppositori politici del presidente Vladimir Putin. Il vaccino russo potrebbe causare qualche difficoltà all’Unione Europea, che deve fare i conti con i ritardi nelle consegne delle dosi che aveva prenotato dai produttori europei e statunitensi, accentuando alcune divisioni interne.
Una fornitura di Sputnik V è stata consegnata all’Ungheria, per esempio, anche se il vaccino non è stato ancora autorizzato nell’Unione.
Unilateralismo
Le scelte unilaterali di Cina, India e Russia mettono a rischio le iniziative multilaterali e coordinate annunciate nei mesi scorsi soprattutto in Occidente per fornire vaccini a prezzi più accessibili o gratuitamente ai paesi più poveri. La collaborazione internazionale ACT (Access to COVID-19 Tools Accelerator) coinvolge l’OMS insieme ad associazioni e fondazioni che si occupano di facilitare l’accesso alle risorse sanitarie per i paesi più deboli economicamente. ACT comprende lo strumento COVAX, studiato proprio per facilitare la distribuzione equa dei vaccini, con l’obiettivo di metterne a disposizione circa 2 miliardi entro la fine dell’anno per i paesi a basso e medio reddito.
Finora COVAX ha faticato non poco nel mantenere promesse e obiettivi, in parte a causa della scarsità dei vaccini e l’alta domanda da parte dei singoli governi, soprattutto in Occidente. Un rilancio dell’iniziativa potrebbe attenuare i problemi e le conseguenze derivanti dalla diplomazia dei vaccini portata avanti dai singoli stati, soprattutto per quanto riguarda il coordinamento della risposta sanitaria contro la pandemia. Il governo indiano si è impegnato a fornire 200 milioni di dosi a COVAX e la Cina di recente si è impegnata a offrirne 10 milioni, ma le loro priorità sembrano appunto essere altre.