I bitcoin sono diventati un’altra cosa
La criptovaluta è al suo massimo storico, perché dopo anni di speculazioni e bolle adesso è considerata un investimento da fondi e imprenditori
Il valore di un bitcoin, cioè di un’unità della più popolare criptovaluta al mondo, è arrivato lunedì 8 febbraio al suo massimo storico superando i 47.000 dollari, dopo un aumento costante e sostenuto che è durato tutto lo scorso anno e ha avuto una forte accelerazione nelle ultime settimane. Il picco è stato raggiunto dopo che Elon Musk, amministratore delegato della casa automobilistica Tesla e attualmente uomo più ricco del mondo, aveva annunciato che la sua azienda aveva investito 1,5 miliardi di dollari in bitcoin. Dall’inizio dell’anno, il valore dei bitcoin è aumentato del 45 per cento, portando con sé altre criptovalute.
Il valore dei bitcoin è sempre stato fluttuante e volatile, e forti aumenti come quelli degli ultimi tempi sono spesso considerati delle bolle speculative destinate a scoppiare. Come successe durante il famoso picco del dicembre 2017, quando i bitcoin sfiorarono i 20 mila dollari per unità diventando un argomento di discussione sui media di tutto il mondo, per poi calare a meno di 3.000 un anno dopo. Secondo la maggior parte degli analisti, però, quest’ultimo aumento avrebbe basi più solide, perché sarebbe stato generato da operatori di mercato tradizionali come fondi di investimento e aziende, e avrebbe come obiettivo non la speculazione ma l’investimento. Gli ingenti acquisti di bitcoin negli ultimi mesi non sarebbero motivati dall’intento di comprare e rivendere rapidamente per ottenere un profitto, ma dalla ricerca di un asset da conservare nella speranza che mantenga valore nel futuro.
Dietro a questo aumento ci sarebbe dunque un cambiamento nel modo in cui sono considerati i bitcoin: nati più di dieci anni fa come un tentativo da parte di programmatori e hacker di rovesciare l’establishment finanziario, potrebbero diventare uno strumento di investimento apprezzato proprio da quello stesso establishment.
Un ripasso: cosa sono i bitcoin
I bitcoin sono una moneta digitale che gli utenti conservano in portafogli virtuali, e possono essere usati per fare pagamenti verso negozi o società che li accettano, per trasferire denaro ad altri utenti, o semplicemente possono essere conservati sperando che aumentino di valore. Sono stati ideati nel 2008 da Satoshi Nakamoto (un nome di fantasia, nessuno ha mai scoperto con certezza chi ci fosse dietro allo pseudonimo) e la loro caratteristica principale è che sono un sistema di valuta elettronico senza nessun tipo di autorità centrale. Questo è un elemento importante, perché Satoshi Nakamoto, in maniera molto esplicita, considerava i bitcoin come un modo per ribaltare il sistema finanziario dominato dalle banche.
Nelle transazioni di denaro comuni serve un’autorità centrale per validare le transazioni: questo compito di solito spetta alle banche, che garantiscono che dal conto A al conto B sia trasferita la quantità di denaro desiderata, e non un’altra. I bitcoin validano transazioni senza un’autorità centrale grazie alla blockchain, un sistema di controllo mantenuto da migliaia di terminali informatici, in cui sono registrate tutte le transazioni economiche mai fatte con i bitcoin, come in una specie di grande libro mastro. Queste transazioni, per essere registrate, devono essere validate da tutti i membri della blockchain compiendo calcoli estremamente complicati, che rendono quasi impossibile falsificare un bitcoin, o validare transazioni truffaldine. Questo sistema consente di garantire, tra le altre cose, transazioni che sono al tempo stesso anonime e sicure.
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I bitcoin sono generati tramite un sistema chiamato mining, estrazione, e vengono assegnati agli utenti che compiono i calcoli citati sopra, per validare le transazioni: si tratta di risolvere problemi crittografici molto complessi, che richiedono un’enorme potenza di calcolo e un grande consumo di energia. Chi contribuisce a questo sforzo riceve un premio in bitcoin, in maniera proporzionale al contributo.
Estrarre bitcoin è da tempo diventata un’attività imprenditoriale, perché è possibile farlo solo grazie a un uso massiccio di computer molto potenti, che spesso sono stipati in grandi magazzini in cui la temperatura è tenuta controllata, per evitare che si surriscaldino. L’ingente uso di energia elettrica è da sempre un elemento assai problematico: secondo un monitoraggio dell’Università di Cambridge, estrarre bitcoin consuma circa 120 TWh (terawatt-ora) all’anno in energia elettrica, più o meno il consumo totale dell’intera Norvegia.
Un’altra caratteristica importante dei bitcoin è che, al momento della loro creazione, fu deciso che il numero di unità estratte sarebbe stato finito: ne verranno emesse all’incirca 21 milioni, presumibilmente entro il 2030. Questo fa dei bitcoin un bene raro, e ha contribuito al loro aumento di valore: non rappresentando un bene sottostante, come ad esempio l’oro nelle casse di una banca centrale, e non dipendendo da una banca centrale che ne regola l’emissione, il valore dei bitcoin si basa esclusivamente sulla domanda e sull’offerta, e in ultima istanza sul valore che chi li scambia è disposto ad attribuirgli.
I bitcoin prima del 2020
I bitcoin sono nati per essere una valuta alternativa, cioè per affiancare o sostituire la valuta corrente nella compravendita dei beni. In realtà, in questa funzione non hanno mai avuto molto successo: mentre le banche tradizionali riescono a validare decine di migliaia di transazioni al secondo, la blockchain ne riesce a validare meno di dieci, e questo rende i pagamenti in bitcoin troppo lenti per essere usati nella vita reale (anche se ci sono alcune eccezioni).
Per alcuni anni dopo la loro creazione, i bitcoin sono stati usati ed estratti solamente da pochi appassionati, e ottennero una cattiva fama perché, grazie al fatto che garantivano l’anonimato delle transazioni, a volte erano usati per comprare online prodotti illegali, come droghe e armi, o per il riciclaggio di denaro.
Con il passare del tempo, però, sempre più utenti cominciarono a considerare i bitcoin come un possibile strumento di investimento e soprattutto di speculazione, e questo ha portato a una fortissima volatilità del loro valore, che più volte dal 2009 a oggi ha raggiunto dei picchi molto alti per poi crollare improvvisamente. Il primo picco fu raggiunto alla fine del 2013, quando nel giro di un paio di mesi i bitcoin passarono da 200 a 1.000 dollari per unità, e da allora è sempre andata così, con un andamento altalenante che culminò nel celebre picco del 2017, superato soltanto qualche mese fa.
Nel corso degli anni, inoltre, ci sono stati alcuni scandali piuttosto grossi, e tutti gli imprenditori che hanno cercato di creare nuovi prodotti basati sulle criptovalute hanno tendenzialmente fallito, come mostra il caso di Libra, la criptovaluta di Facebook il cui progetto è stato pesantemente ridimensionato.
Per questo, i bitcoin si sono fatti la fama di un investimento instabile e per nulla sicuro, poco adatto a investitori rispettabili: nel 2017 Jamie Dimon, l’amministratore delegato della banca d’affari JP Morgan, disse che i bitcoin erano una truffa e un sistema di scambio buono soltanto per le attività criminali.
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Cos’è cambiato nell’ultimo anno
A partire dai primi mesi del 2020 la considerazione dei bitcoin ha cominciato a cambiare radicalmente. Molti dei più importanti finanzieri della borsa statunitense, oltre che alcuni imprenditori noti, hanno cominciato a investire miliardi di dollari in bitcoin, a esprimersi pubblicamente in favore della criptovaluta e, soprattutto, a trattare i bitcoin come un asset, cioè come un bene duraturo da comprare quando si dispone di molta liquidità, in modo da mantenere intatto il valore del proprio denaro.
A maggio del 2020 Paul Tudor Jones, capo di Tudor Investments, che gestisce vari fondi di investimento, disse che avrebbe investito in bitcoin poco meno del 2 per cento del denaro totale da lui gestito, che ammonta a 38 miliardi di dollari. Nei mesi successivi hanno fatto investimenti ingenti in bitcoin altri personaggi famosi della finanza americana come Bill Miller di Miller Value Partners, Ray Dalio, il fondatore di Bridgewater, e Stanley Druckenmiller, un ex pupillo di George Soros. Secondo una ricerca di Chainalysis citata dal Wall Street Journal, tra settembre e dicembre 2020 i grossi investitori hanno comprato 11,5 miliardi di dollari in bitcoin.
Tra questi ci sono anche alcune aziende, come Square, una società di pagamenti guidata da Jack Dorsey (che è anche l’amministratore delegato di Twitter ed è un grande fan delle criptovalute), che ha investito a ottobre del 2020 50 milioni di dollari in bitcoin, e MicroStrategy, una società di software che ha investito alcune centinaia di milioni. Questa settimana, infine, è arrivato anche l’annuncio del grande investimento da 1,5 miliardi di Tesla, che ha generato grandissimo entusiasmo sui mercati e portato il valore dei bitcoin al massimo storico.
Negli ultimi mesi hanno investito in bitcoin perfino alcuni fondi pensione e le compagnie assicurative, che di solito fanno investimenti molto prudenti: per esempio, lo scorso dicembre la compagnia assicurativa Massachusetts Mutual Life Insurance ne ha comprati per 100 milioni di dollari.
Nel corso dell’ultimo anno, inoltre, alcune compagnie che si occupano di pagamenti e transazioni, come PayPal e ancora Square, hanno aggiunto ai loro servizi la possibilità di fare compravendita di bitcoin. Infine, di recente molte banche centrali in giro per il mondo, come quelle di Singapore, della Svezia e della Cina, hanno annunciato progetti per creare delle criptovalute nazionali ispirate almeno in parte a bitcoin.
Questo nuovo interesse del mondo della finanza e delle istituzioni ha diverse cause. Anzitutto, i bitcoin, e in generale le criptovalute, esistono ormai da più di dieci anni, e molti operatori sui mercati ritengono che dopo un lungo periodo di turbolenze e rischi siano pronti a diventare una presenza stabile. «Per ogni giorno che i bitcoin sopravvivono, la fiducia in loro aumenta», ha detto qualche mese fa a CNBC il finanziere Paul Tudor Jones. Paul Miller ha detto che la possibilità che i bitcoin crollino a zero «non è mai stata così bassa».
Inoltre, le misure adottate dalla maggior parte degli stati per far fronte alla crisi economica provocata dal coronavirus hanno creato sui mercati una situazione particolare. Gli stimoli economici decisi dagli stati e dalle banche centrali hanno immesso nel sistema moltissima liquidità: molti operatori del mercato hanno a disposizione molti soldi da investire, o possono farseli prestare a interessi bassissimi. Uno degli investimenti più comuni in questo caso sarebbero le valute tradizionali, ma gli investitori le stanno snobbando perché temono che le politiche di sostegno alla crescita potrebbero far aumentare l’inflazione e far perdere loro valore. In quest’ottica, investire in bitcoin diventa un’alternativa allettante, per diversificare i propri investimenti e difendersi dall’inflazione.
È questa la ragione che ha spinto molti investitori a comprare bitcoin. Tesla, per esempio, ha fatto sapere di aver investito 1,5 miliardi di dollari in bitcoin «per massimizzare i rendimenti del nostro denaro contante», che significa: ho molto denaro a mia disposizione e considero i bitcoin come un investimento utile e potenzialmente sicuro per evitare che perda di valore.
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I bitcoin possono diventare un bene rifugio?
A fine anno, uno studio pubblicato dalla banca JP Morgan (che è ancora guidata da Jamie Dimon) ha sostenuto che «l’adozione dei bitcoin da parte degli investitori istituzionali è appena iniziata», e che i bitcoin potrebbero mettere in difficoltà il ruolo dell’oro come bene rifugio. Quest’idea è stata sostenuta anche da altri celebri investitori. In una nota successiva gli analisti di JP Morgan hanno previsto che il valore dei bitcoin potrebbe arrivare a 146.000 dollari l’unità, quasi il triplo di quello attuale, proprio a causa della sua concorrenza con l’oro.
L’oro è considerato il bene rifugio per eccellenza, cioè, almeno in teoria, un bene che mantiene un certo valore indipendentemente dal fluttuare dei prezzi. Questo non significa che i beni rifugio abbiano un valore fisso: il prezzo dell’oro (che si può comprare e vendere sui mercati finanziari) oscilla moltissimo a seconda della domanda e dell’offerta. Secondo alcuni analisti, i bitcoin hanno caratteristiche più simili a quelle di beni come l’oro (commodity, nel gergo finanziario) che a valute tradizionali: il loro numero è finito, e dunque sono un bene raro, sono slegati dal sistema monetario e dunque il loro valore non dipende dalle decisioni delle banche centrali, e inoltre, rispetto all’oro, non bisogna conservare in cassaforte pesanti lingotti in metallo (anche se, ovviamente, chi compra oro sui mercati non compra lingotti fisici).
I grossi investimenti fatti in bitcoin negli ultimi mesi scommettono proprio sul fatto che la criptovaluta possa diventare un nuovo bene rifugio, alternativo all’oro e agli altri beni di questo tipo. Non tutti sono d’accordo: per esempio Mark Cuban, un famoso imprenditore e investitore statunitense, ha detto in varie occasioni che considerare i bitcoin come un bene rifugio «è più una religione che una soluzione», e che lui preferirebbe «avere banane piuttosto che bitcoin», perché almeno le banane hanno un valore intrinseco.
Le preoccupazioni per la regolamentazione
Una delle più grosse incognite legate ai bitcoin, e soprattutto al loro utilizzo come bene rifugio, riguarda il fatto che i governi finora sono stati piuttosto vaghi su come trattare le criptovalute, ma sono generalmente sospettosi e potrebbero approvare nuove leggi e regole che potrebbero cambiare di molto il modo in cui sono gestite le criptovalute.
Ci sono stati negli scorsi mesi alcuni segnali di apertura: per esempio, l’Ufficio del revisore della valuta, un ente di regolamentazione statunitense, ha deciso che le banche possono conservare legalmente i bitcoin dei loro clienti. La maggior parte dei governi però ha in progetto di limitare alcuni aspetti delle transazioni in bitcoin, soprattutto quelli legati all’anonimato, che favoriscono attività illecite come il riciclaggio di denaro: hanno fatto annunci di questo tipo la Banca centrale europea, l’autorità di regolamentazione della finanza britannica e il ministero del Tesoro americano (anche se sotto la vecchia amministrazione di Donald Trump: non è chiaro cosa intenda fare la nuova ministra Janet Yellen).
Anche la tassazione dei bitcoin probabilmente richiederà un’armonizzazione, perché per ora la situazione varia moltissimo da paese a paese. Per esempio, il fisco italiano tende a considerare i bitcoin come valuta, e la tassazione avviene in circostanze ben definite (per esempio, se si fa trading con i bitcoin sono tassati i guadagni che superano una certa soglia). Il fisco statunitense, invece, tende a considerarli come beni, e dunque la tassazione è molto diversa.
E le altre criptovalute?
Il forte aumento di valore dei bitcoin ha contribuito all’aumento di moltissime altre criptovalute, che sono centinaia e hanno caratteristiche a volte un po’ diverse da quelle dei bitcoin. Per esempio ethereum, la seconda criptovaluta più usata al mondo, è arrivata al suo massimo storico, superando i 1.700 dollari di valore per unità. Rimane comunque molto meno del valore dei bitcoin, che sono la criptovaluta più scambiata e diffusa.
Reality check
In questi giorni si è parlato anche di “dogecoin”, una criptovaluta molto particolare il cui valore, nel pieno dell’entusiasmo dei mercati, è aumentato del 1.500 per cento dall’inizio dell’anno, per arrivare a circa 8 centesimi di dollaro a unità e diventando a un certo punto la decima criptovaluta più diffusa al mondo.
Dogecoin è una criptovaluta nata nel 2013 soprattutto per scherzo (“doge” è un riferimento al vecchio meme di un cane con la faccia stupita, che è diventato la mascotte di dogecoin) e in parte con intenti didattici: secondo i suoi creatori, avrebbe dovuto essere essere una criptovaluta di bassissimo valore utile per consentire a chi non è tanto esperto di impratichirsi senza grossi rischi. La parte scherzosa e satirica è rimasta di gran lunga quella prevalente, e gli stessi creatori della criptovaluta si sono detti stupiti del suo aumento recente di valore.
Anche stavolta c’entra Elon Musk, che negli ultimi mesi ha pubblicato su Twitter moltissime immagini e commenti scherzosi a sostegno di dogecoin.
ur welcome pic.twitter.com/e2KF57KLxb
— Elon Musk (@elonmusk) February 4, 2021
Musk ha un’enorme influenza sui mercati, spesso la semplice citazione di un’azienda da parte sua provoca un aumento del valore del titolo in borsa, e anche se ha detto più volte che i suoi riferimenti a dogecoin sono scherzosi, molte delle persone che lo seguono hanno cominciato a comprare la criptovaluta, spinti anche dalla forte eccitazione sui mercati provocata a fine gennaio dall’aumento in borsa di GameStop. Ispirati da Musk, altri personaggi famosi come il rapper Snoop Dogg hanno sostenuto i dogecoin sui social network.
Quindi questa volta non c’è una bolla?
Anche se molti analisti sostengono che l’aumento del valore dei bitcoin di queste settimane abbia basi solide, e anzi molti prevedono che l’aumento non si fermerà e sia destinato a stabilizzarsi, non possiamo ancora escludere che i bitcoin crollino di nuovo, come hanno fatto in passato.
Esattamente come la considerazione degli investitori istituzionali è cambiata rapidamente a favore dei bitcoin nel corso dell’ultimo anno, ci sono molti eventi (per esempio nuove regole, un grosso scandalo, un cambiamento della situazione finanziaria globale) che potrebbero ribaltarla di nuovo: proprio per la loro natura volatile, i bitcoin rimangono un investimento rischioso.