Anche sulle mascherine la Svezia ha fatto da sola
Non le ha rese obbligatorie, e le autorità sanitarie hanno dato spesso messaggi contraddittori e discordanti
Nell’ultimo anno si è parlato spesso della Svezia e delle sue politiche per contrastare la pandemia piuttosto diverse da quelle adottate negli altri paesi, e talvolta in contraddizione con le decisioni delle principali autorità sanitarie come l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Il governo svedese non ha mai imposto rigidi lockdown, non ha previsto sanzioni per chi non rispettasse le indicazioni e per oltre nove mesi ha mantenuto una posizione per lo meno ambigua sulle mascherine, causando incomprensioni e confusione.
A fine gennaio, per esempio, l’amministrazione della città di Halmstad, nel sud della Svezia, aveva vietato l’utilizzo delle mascherine e degli altri dispositivi di protezione individuale nelle scuole, sostenendo che non ci fossero chiare evidenze scientifiche circa la loro utilità nei prevenire i contagi. Dopo una denuncia da parte di alcuni docenti, l’amministrazione cittadina aveva rimosso il divieto, ma episodi simili si sono verificati in altre città con richieste di non indossare le mascherine al personale di una biblioteca pubblica o ai dipendenti di un negozio IKEA.
È difficile stimare quante controversie di questo tipo ci siano state negli ultimi mesi in Svezia, ma la loro origine sembra essere la medesima: una comunicazione poco chiara da parte delle principali istituzioni sanitarie. L’amministrazione di Halmstad, per esempio, aveva citato le linee guida fornite dall’Agenzia per la salute pubblica svedese, che fino a qualche tempo fa segnalavano i “grandi rischi” di un uso scorretto delle mascherine. Le indicazioni ora sono cambiate, ma secondo diversi osservatori le modifiche sono arrivate tardivamente, e senza spiegazioni sufficienti.
Nella maggior parte dei paesi europei la popolazione fa ormai un uso quotidiano delle mascherine da prima dell’estate dello scorso anno, e cioè da quando iniziò a diventare chiaro che il coronavirus si potesse trasmettere per via aerea. Nei primi mesi della pandemia, quando le conoscenze scientifiche sul virus erano ancora limitate, si riteneva che il contagio avvenisse per lo più tramite il contatto con superfici infette. Per questo motivo, le principali autorità sanitarie consigliavano di lavarsi spesso e bene le mani, di utilizzare se necessario guanti monouso fuori casa e di evitare di toccarsi la faccia con le mani sporche.
All’epoca, l’OMS sconsigliava di utilizzare le mascherine al di fuori degli ospedali non solo perché si riteneva che la maggior parte dei contagi avvenisse tramite le superfici infette, ma anche perché le mascherine scarseggiavano ed erano essenziali per proteggere il personale sanitario alle prese con quella che avremmo poi chiamato “prima ondata”.
Già ad aprile, comunque, alcune istituzioni sanitarie iniziarono a segnalare l’importanza delle mascherine per ridurre i rischi di contagio. Tra le prime a farlo, basandosi sulle ricerche scientifiche pubblicate nel frattempo, ci fu il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC), mentre l’OMS avrebbe rivisto le linee guida consigliando le mascherine a partire da giugno.
Man mano che divennero disponibili nuovi dati e studi sulle vie di trasmissione del coronavirus, e complice un marcato aumento nelle capacità di produzione, diversi paesi resero obbligatorio l’impiego delle mascherine in qualsiasi circostanza, o per lo meno nei luoghi pubblici al chiuso. In Svezia le cose andarono diversamente: per mesi la principale autorità sanitaria continuò a sostenere che le mascherine non fossero efficaci e che il loro impiego avrebbe potuto contribuire alla diffusione del coronavirus, perché non sarebbero state usate nel modo giusto dalla popolazione.
A luglio del 2020, la ministra della Salute svedese, Lena Hallengren, disse che il governo non avrebbe contraddetto l’Agenzia per la salute pubblica svedese. Pochi mesi prima, Anders Tegnell, l’epidemiologo incaricato di coordinare la risposta all’epidemia in Svezia, aveva scritto ai responsabili dell’ECDC chiedendo che non raccomandassero l’impiego delle mascherine.
Come segnala The Conversation, era come se le autorità sanitarie svedesi fossero rimaste ferme alle assunzioni dei primi mesi della pandemia, quando si sapevano ancora poche cose sul coronavirus. In quella fase la comunicazione istituzionale era stata chiara e univoca, come in altri paesi: lavare le mani, mantenere le distanze, rimanere a casa se non si sta bene. Nei mesi seguenti, quando iniziò a emergere l’importanza delle mascherine, il messaggio alla popolazione in Svezia non cambiò più di tanto e divenne via via meno chiaro, anche in seguito ad alcune dichiarazioni pubbliche di Tegnell molto critiche nei confronti dell’impiego delle mascherine.
Le cose sono cambiate solo alla fine del 2020, quando il primo ministro svedese, Stefan Löfven, ha annunciato nuove raccomandazioni sull’uso delle mascherine, soprattutto sui mezzi pubblici, ma con regole piuttosto complicate da seguire.
L’uso delle mascherine è oggi raccomandato sui mezzi pubblici dalle 7 alle 9 del mattino e dalle 4 alle 6 del pomeriggio, per tutti i passeggeri nati fino al 2004, e che non abbiano un posto prenotato a bordo. La mancanza di un chiaro obbligo e le varie eccezioni sembrano avere influito sulla scarsa aderenza alle indicazioni: circa la metà dei pendolari non indossa una mascherina nelle ore di punta.
Gli stessi membri delle autorità sanitarie non sembrano avere le idee chiarissime sulle indicazioni per i pendolari. Un paio di settimane dopo la loro introduzione, il direttore dell’Agenzia per la salute pubblica svedese, Johan Carlson, ha preso un autobus nell’ora di punta senza indossare la mascherina. In un’intervista ha ammesso candidamente di non avere rispettato le sue stesse raccomandazioni perché non si era accorto “che fosse arrivata l’ora di punta dei pendolari”.
Dall’inizio della pandemia in Svezia sono stati rilevati oltre 600mila casi e sono state accertate oltre 12mila morti causate dalla COVID-19: circa 120 ogni 100mila abitanti. Tegnell ha spiegato di recente che il paese rischia una terza ondata se non saranno mantenute le precauzioni, parlando soprattutto del distanziamento fisico.