È iniziato il secondo impeachment di Trump
È accusato di avere incoraggiato l'attacco al Congresso di inizio gennaio, ma secondo la difesa non si può condannare un ex presidente
Al Senato statunitense è iniziato il processo di impeachment nei confronti dell’ex presidente Donald Trump, accusato dalla Camera di avere incoraggiato l’attacco al Congresso compiuto il 6 gennaio da centinaia di suoi sostenitori. Trump è dunque diventato il primo presidente statunitense della storia a subire due processi per impeachment.
Nel primo processo, il Senato a maggioranza Repubblicana aveva assolto Trump dall’accusa di aver ricattato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky per ottenere materiale imbarazzante sull’attuale presidente, Joe Biden. È probabile che anche il secondo processo finirà allo stesso modo. Se invece Trump dovesse essere condannato, la pena non sarebbe la rimozione dall’incarico come previsto di norma dal processo di impeachment – Trump ha lasciato la carica di presidente il 20 gennaio – ma con tutta probabilità una interdizione dai pubblici uffici.
Non ci sono certezze perché finora nessun presidente era mai stato sottoposto a una procedura di impeachment dopo la conclusione del suo mandato: nella Costituzione non è prevista un’eventualità del genere, ma la maggior parte dei costituzionalisti pensa che il processo si possa comunque celebrare. Questo perché l’impeachment non è un procedimento giudiziario, ma politico: la tesi dei costituzionalisti è che serva soprattutto per censurare un certo tipo di comportamento, e sanzionare “gravi crimini e misfatti” compiuti da un’importante carica politica. Per questa ragione, sostengono, un procedimento può essere aperto anche dopo la fine del suo mandato.
Proprio da questo punto parte la tesi dell’accusa, guidata dal deputato Democratico e avvocato costituzionalista Jamie Raskin. I Democratici ritengono che sottoporre Trump a un nuovo processo di impeachment sia semplicemente inevitabile, perché l’attacco al Congresso non può non meritare una sanzione netta. «Se chiudessimo questo capitolo della storia americana senza alcuna condanna né una netta denuncia da parte del Congresso commetteremmo un grave errore», ha detto al New York Times il senatore Democratico e avvocato Bob Casey.
La maggior parte dei senatori Repubblicani, invece, sostiene due cose: che il Congresso non abbia il potere di sanzionare un presidente che ha già lasciato il proprio incarico (nei Repubblicani una decennale corrente di pensiero invita ad interpretare la Costituzione in maniera letterale, senza considerare “lo spirito” delle misure che contiene); e che l’amministrazione Biden debba «guardare avanti», senza lasciare spazio a processi «vendicativi», «meschini» e potenzialmente divisivi.
Ciascuna delle due parti avrà circa 16 ore per spiegare la propria posizione: il processo dovrebbe durare meno di tre settimane, stima il Washington Post. I primi giorni spetteranno all’accusa, poi sarà il turno della difesa. Infine i senatori potranno fare domande alle parti. Nessuno si aspetta che Trump testimonierà.
I Democratici si concentreranno soprattutto sul tracciare un legame fra le posizioni pubbliche di Trump e le motivazioni degli assalitori. Nel documento processuale di 80 pagine che contiene parte della strategia Democratica, si legge che a loro dire Trump «ha amplificato a più riprese le bugie [sulla presunta frode elettorale] cercando di convincere i propri sostenitori di essere vittime di un gigantesco complotto che minacciava l’esistenza del paese». Dopo aver ribadito più volte la sua convinzione di aver vinto le elezioni, si legge nel documento, Trump «ha attirato una folla a Washington, l’ha caricata e puntata come una pistola su Pennsylvania Avenue».
A differenza del primo procedimento per impeachment, però, i Democratici cercheranno di rendere più efficaci le loro presentazioni: il New York Times scrive che Raskin «sta istruendo i suoi colleghi dell’accusa a sfoltire i propri interventi, ad agganciarsi a una narrazione comune quando possibile, e ad integrare [gli interventi] con immagini che verranno proiettate nelle tv dell’aula del Senato e sugli schermi del paese intero». Il New York Times ha già avvertito che le immagini preparate dall’accusa «potrebbero assomigliare a un film d’azione hollywoodiano».
– Leggi anche: La ricostruzione del Washington Post sull’attacco al Congresso
Gli avvocati di Trump, allineati coi Repubblicani, cercheranno invece di dimostrare che la Costituzione non prevede un processo di impeachment per un presidente il cui mandato è già scaduto. «Non avremo bisogno di concentrarci sugli eventi del 6 gennaio perché questo processo è incostituzionale», ha detto a Politico una fonte vicina alla difesa: «discuteremo di molti argomenti tecnici, dal punto di vista legale».
Spostare l’attenzione lontano dall’attacco al Congresso e dal ruolo di Trump potrebbe inoltre limitare la netta riduzione di consensi che Trump sta subendo dal giorno dell’attacco: secondo il rispettato istituto di sondaggi Pew Research, pochi giorni dopo il 6 gennaio il suo tasso popolarità fra i Repubblicani era diminuito di 17 punti rispetto all’ultima rilevazione, passando dal 77 al 60 per cento. Altri sondaggi di poco successivi indicano la stessa tendenza.
Trump rimane molto influente nella base Repubblicana e nel partito, e i suoi collaboratori e sostenitori temono che un processo di impeachment particolarmente duro e incentrato sui fatti del 6 gennaio possa indebolire la sua influenza in vista delle elezioni di metà mandato nel 2022 – in cui i Repubblicani proveranno a riconquistare il controllo del Senato – e soprattutto in vista delle elezioni presidenziali del 2024, a cui Trump ha già fatto sapere informalmente di voler partecipare. «I Democratici hanno una tesi convincente che fa leva sulle emozioni», ha detto a Politico Steve Bannon, l’ex stratega di Trump alla Casa Bianca: «cercheranno di sporcare per sempre la sua immagine».
Dal punto di vista legale, comunque, Trump rischia ben poco. Perché il Senato condanni l’imputato servono 67 voti a favore. Qualche giorno fa 45 senatori Repubblicani hanno votato a favore di una mozione (poi respinta) per giudicare il processo incostituzionale. Per condannare Trump i Democratici hanno bisogno dei 50 voti dei propri senatori e di 17 voti sui 50 dei senatori Repubblicani: significa che almeno 11 Repubblicani che hanno giudicato il processo incostituzionale dovrebbero cambiare idea.