Un altro giorno di proteste in Myanmar
Contro il colpo di stato che ha portato all'arresto di Aung San Suu Kyi: per ora non ci sono violenze, ma internet è bloccato
Decine di migliaia di persone domenica hanno protestato a Yangon, la città più grande del Myanmar, contro il colpo di stato militare che ha portato all’arresto alcuni giorni fa di Aung San Suu Kyi, la principale leader politica del paese, e di gran parte dei membri del suo governo.
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Per cercare di limitare le proteste, la giunta militare che ha preso il potere ha bloccato prima i social network e poi gran parte della connessione internet: secondo la società NetBlocks, a partire da sabato la connettività nel paese si è ridotta dell’84 per cento e il blackout di internet è «praticamente totale».
Domenica le proteste hanno interessato il centro di Yangon, dove decine di migliaia di persone hanno bloccato il traffico delle automobili in alcune delle principali strade della città, urlando slogan come «non vogliamo la dittatura militare» e «vogliamo la democrazia». I manifestanti sono vestiti di rosso, il colore del partito di Aung San Suu Kyi (Lega nazionale per la democrazia, NLD), e hanno adottato come simbolo il saluto a tre dita, ispirato alla saga cinematografica The Hunger Games e diventato molto popolare durante le recenti proteste in tutto il sud-est asiatico.
Per ora non ci sono state violenze. Secondo i resoconti dei giornalisti internazionali sul posto la polizia in tenuta antisommossa sta presidiando le strade a Yangon, ma non è intervenuta per cercare di reprimere le manifestazioni. L’unica contromisura adottata dal governo militare al momento sembra il blocco di internet.
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Ci sono state manifestazioni importanti anche nella città di Mandalay, nel centro del paese, e in altre località più piccole: nella città di Payathonzu, nel sud-est del Myanmar, centinaia di persone hanno trascorso la notte davanti a una stazione della polizia dove si ritiene che sia stato arrestato un deputato della NLD.
Reuters scrive che le manifestazioni di domenica sono le più grandi in Birmania almeno dal 2007, cioè quando ci fu una serie di proteste antigovernative guidate e ispirate da monaci buddhisti – la cosiddetta “rivoluzione zafferano” – che furono represse con la violenza e provocarono decine di morti.