Il pendolarismo per finta
Per chi non sa più se lavora da casa o se vive al lavoro, cominciare e finire con una passeggiata può ingannare il cervello con effetti positivi
Durante i periodi di lockdown decisi da molti governi per contrastare l’epidemia di coronavirus nel 2020 e ancora nel 2021, è progressivamente cresciuta tra milioni di lavoratori una più solida consapevolezza sulle condizioni e sugli effetti del lavoro da casa, una volta appurati vantaggi e svantaggi a breve termine. Dopo mesi di lavoro svolto dalle abitazioni anziché dagli uffici, in molti hanno segnalato di avere avuto spesso difficoltà a tracciare confini chiari e definiti tra il lavoro e il resto della giornata, tra gli spazi e i tempi della propria attività in remoto e quelli destinati ad altro.
Un tentativo molto comune di superare queste difficoltà è stato quello di stabilire alcune prassi quotidiane, improntate sulle precedenti routine. Una breve passeggiata o un giro in bicicletta, subito prima o subito dopo il lavoro, sono in molti casi ritenute attività – oltre che salutari – sufficienti a scandire con maggior precisione gli orari di lavoro. E già da tempo si parla più o meno uniformemente di queste abitudini come parte del cosiddetto fenomeno del finto pendolarismo (fake commute). L’obiettivo è quello di “ingannare” se stessi – e anche un giro dell’isolato può bastare – per ridurre i rischi di un passaggio repentino e violento da una quotidianità fatta di necessari tragitti a piedi, in macchina o sui mezzi pubblici a un’altra priva di incentivi a percorrere una qualsiasi distanza che non sia quella tra il soggiorno e la cucina.
In Italia, secondo i dati più recenti, nel 2019 si sono spostati ogni giorno 22 milioni di persone per andare al lavoro, e un lavoratore su due ha passato più di trenta minuti sui mezzi pubblici. Negli Stati Uniti, secondo una media calcolata dallo U.S. Census Bureau, l’ufficio del censimento americano, in tutto il 2018 i pendolari hanno trascorso complessivamente 225 ore (più di nove giorni) in viaggio per andare e tornare dal lavoro. Dall’inizio della pandemia milioni tra quelle persone hanno cominciato a lavorare da casa, e secondo una stima fornita dal gestore di reti virtuali private NordVPN ad aprile 2020 molti dipendenti finivano per lavorare tre ore al giorno in più rispetto a prima del lockdown.
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I tragitti compiuti dai pendolari – secondo Ravi S. Gajendran, professore associato al Florida International University (FIU) College of Business di Miami – sono pause forzate che segnano le transizioni dalla propria identità lavorativa a un’altra identità, che sia quella di coniuge, genitore o amico. Lavorare da casa a tempo pieno rende più difficile questa transizione, e in molti finiscono per compiere questi passaggi più volte nello stesso giorno. «È difficile passare senza problemi a una riunione di lavoro su Zoom subito dopo aver affrontato una situazione impegnativa con i bambini a casa», ha spiegato Gajendran, «così come è difficile mettere da parte preoccupazioni e stress legati al lavoro e passare subito al ruolo di partner premurosi e amorevoli».
Il Wall Street Journal ha raccolto in un recente articolo i racconti di alcune persone che a causa del lockdown hanno dovuto sospendere o riadattare a un nuovo contesto le loro routine quotidiane. Un redattore di una rivista di musica di New York, abituato a leggere libri in metropolitana tutti i giorni andando al lavoro, ha detto che ritagliarsi un’ora ogni mattina per fare la stessa cosa in casa non ha funzionato granché. Attribuisce almeno in parte l’inefficacia di questa pratica alternativa al fatto di essere in qualche modo reperibile al telefono più di quanto lo fosse in metropolitana. «Ci sono libri che ho cominciato a leggere durante la pandemia e non sono stato in grado di finire, e questo prima non capitava», ha detto.
Tra le persone intervistate è emerso in generale il timore condiviso di non essere facilmente in grado di separare il lavoro da tutto il resto. «Lavoro da casa o sto vivendo al lavoro?», ha detto di essersi chiesta una consulente di una società non profit di San Jose, in California, dopo essersi accorta di fare troppi straordinari. Anche lei, come molti altri, ha quindi deciso di prendersi del tempo tutti i giorni per una passeggiata sia prima sia dopo il lavoro. «Ogni mattina alle 8 faccio un giro dell’isolato per autoingannarmi e illudermi psicologicamente di essere uscito dal mio appartamento per andare a lavorare», ha raccontato il dipendente di un’agenzia pubblicitaria di Toronto, in Canada.
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C’è poi chi ha scelto di recuperare e ripristinare del tutto parti più o meno estese delle routine di prima, anche sostenendone costi teoricamente superflui. Un agente di commercio di Sacramento, in California, ha raccontato che prima del lockdown riusciva a incontrare fino a sei clienti al giorno, guidando avanti e indietro nel traffico autostradale per tutto il giorno, e approfittandone per sentire amici o parenti per telefono a fine giornata. Ora che lavora da casa sua in periferia, due volte a settimana guida fino in centro per prendere un caffè intorno alle 7 del mattino, e sceglie quell’orario proprio perché c’è un minimo di traffico causato da quei pendolari le cui attività professionali e routine non hanno subìto alterazioni in seguito alla pandemia. Un giorno gli è capitato di trovarne abbastanza da dover lasciare l’autostrada e cercare al volo un percorso alternativo, come faceva spesso prima del lockdown: «ci ho preso molto gusto, ed è stata una cosa stranissima», ha aggiunto.
Secondo Jeannette Raymond, una psicologa sentita da Business Insider, il pendolarismo era un’esperienza – priva di sensi di colpa – utile a creare una barriera artificiale tra sé e il mondo esterno del lavoro, della famiglia e di tutta la parte della giornata che richiede attenzione. In assenza di pendolarismo non è venuto meno quel bisogno: si è aggiunta piuttosto la complicazione di dover ricreare diversamente quel confine, e sentire questa operazione come legittima, autorizzata e necessaria tanto quanto lo era quella di percorrere la distanza da casa al lavoro.
Il finto pendolarismo è anche qualcosa di diverso dalle «ricompense», come possono esserlo per esempio bere un bicchiere di vino o guardare una serie tv dopo il lavoro. «È la costruzione stessa di confini personali necessari per separare la vita familiare da quella lavorativa e da quella delle ricompense e da quella degli amici», ha detto Raymond. Senza confini – con decine di schede aperte sul browser del portatile, tra email di lavoro, acquisti online e video in streaming – il rischio è quello di sentirsi disorientati e sopraffatti, e persino incapaci di comprendere quando è necessaria una pausa.
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Tra i suggerimenti più frequenti e condivisi dai sostenitori del finto pendolarismo c’è prima di tutto quello di affrontare ogni giornata fin dal mattino come se fosse necessario uscire di casa: quindi vestirsi, indossando anche le scarpe. Poi, se prima del lockdown l’abitudine sui mezzi pubblici era di ascoltare un podcast o scorrere la timeline dei social o controllare le email, è bene concedersi lo stesso intervallo di tempo per fare la stessa cosa prima di attaccare al lavoro. Ed è bene farlo uscendo per una passeggiata a piedi che duri tanto quanto durava il tragitto da casa al lavoro. Evitare di lavorare in camera da letto è un’altra buona idea, se possibile, così come ricreare uno spazio di lavoro da sgombrare ogni volta a fine giornata e rioccupare non prima del giorno dopo.