Che cosa si muove sull’aborto, in America Latina
La legalizzazione dell'aborto in Argentina ha provocato reazioni in tutto il continente, alcune più conservatrici di altre
Lo scorso 14 gennaio a Buenos Aires, in Argentina, il presidente Alberto Fernández ha firmato il decreto per la promulgazione della legge che prevede la legalizzazione, la depenalizzazione e il riconoscimento del diritto ad un aborto legale, sicuro e gratuito fino alla 14esima settimana di gestazione. Il riconoscimento del diritto all’aborto ha avuto due principali conseguenze, fuori dall’Argentina. Ha dato forza a quella che viene definita “marea verde” – dal colore dei fazzoletti (pañuelos) usati come simbolo di chi sostiene questo diritto – cioè ai movimenti femministi, ma allo stesso tempo ha portato a un aumento di una pressione contraria da parte delle chiese, dei gruppi conservatori antiabortisti e di alcuni governi della regione.
Per quanto riguarda il primo aspetto, diverse attiviste hanno sottolineato come il diritto all’aborto dovrebbe essere riconosciuto in tutto il continente, e non solo in Argentina.
Per esempio Verónica Gago, docente e attivista femminista argentina dell’organizzazione NiUnaMenos, ha scritto su Twitter: «Che sia legge su tutto il territorio! Che sia lotta, che sia conquista collettiva, e femminismo transnazionale. Continua l’onda verde che travolge tutta l’Abya Yala». “Abya Yala” è un’espressione che letteralmente significa “terra di sangue vitale” e che viene usata dai popoli indigeni per chiamare l’America, o il continente latinoamericano. Karina Nohales, del Coordinamento 8M cileno, movimento femminista che raccoglie organizzazioni sociali e politiche, ha detto: «Siamo inserite in un ciclo dove l’irruzione del femminismo è globale e attraversa le frontiere», e ha aggiunto che questa caratteristica transnazionale «ci avvicina a poter ottenere un domani qui e in tutta l’America Latina quello che oggi ha conquistato l’Argentina».
Dall’altra parte, alla promulgazione della legge si sono viste diverse reazioni contrarie e più conservatrici.
In Brasile, il presidente Jair Bolsonaro – appoggiato tra gli altri dai cristiani evangelici che con lui condividono le proposte di eliminare l’educazione sessuale dalle scuole, di negare i diritti civili alle persone omosessuali e di ostacolare qualsiasi tentativo di allentare le severi leggi ancora in vigore sull’aborto – ha commentato molto negativamente la nuova legge argentina ribadendo che in Brasile l’interruzione di gravidanza «non sarà mai approvata. Combatteremo sempre per proteggere le vite degli innocenti!». Nel paese che governa, l’aborto non sicuro è la quarta causa di mortalità femminile.
Alla Camera dei deputati del Paraguay, dopo il voto argentino, c’è stato «un minuto di silenzio per le migliaia di vite mai nate dei fratelli argentini»: secondo un rapporto diffuso lo scorso anno, nel paese 574 bambine di età compresa tra i 10 e i 14 anni rimaste incinte dopo uno stupro sono state costrette a partorire.
Nella maggioranza dei paesi latinoamericani non è possibile abortire legalmente con conseguenze molto gravi sulla vita e sulla salute delle donne e delle adolescenti. E dove è consentito, almeno in alcuni casi, interrompere una gravidanza è una pratica ostacolata nei fatti: attraverso la criminalizzazione sociale e lo stigma, la mancanza di strutture e di personale qualificato, l’assenza di politiche di prevenzione, pianificazione ed educazione sessuale, e soprattutto attraverso l’obiezione di coscienza.
Qualche dato
I dati del Guttmacher Institute, che si occupa di politiche sull’aborto, dicono che i tassi di gravidanze indesiderate sono più alti nei paesi che limitano l’accesso all’aborto e più bassi nei paesi in cui l’aborto è legale. E dicono anche che indipendentemente dalle legislazioni le donne abortiscono: l’unico effetto delle leggi punitive è la clandestinità.
Negli ultimi 30 anni, nei paesi che limitano l’interruzione volontaria di gravidanza, la percentuale di gravidanze indesiderate che si concludono con un aborto è aumentata: è passata dal 36 per cento (1990-1994) al 50 per cento (2015-2019).
Ogni anno, nell’area del Sud America e Caraibi 760 mila donne vengono ricoverate per complicanze legate agli aborti non sicuri. E si verificano, sempre ogni anno, 32 aborti e 69 gravidanze indesiderate ogni mille donne fra i 15 e i 49 anni. In Europa e Nord America (dove il diritto all’aborto è diffusamente riconosciuto) i dati parlando invece di 17 aborti e di 35 gravidanze indesiderate ogni mille donne.
Secondo i dati dell’Organizzazione mondiale della sanità, nei paesi in cui l’aborto è completamente vietato, o consentito solo quando la vita della donna è a rischio, solo un aborto su quattro avviene in maniera sicura: dove è legale quasi 9 aborti su 10 sono svolti in maniera sicura.
La situazione nei diversi paesi del Sud e Centro America
L’aborto è legale in Uruguay, a Cuba e nella Guyana. Ma anche a Città del Messico e nello stato messicano di Oaxaca, mentre non lo è nel resto del paese dove, in alcuni stati, l’interruzione di gravidanza è punibile anche con 30 anni di carcere.
Nella maggior parte degli altri paesi del Sud e del Centro America, l’aborto è consentito (almeno in teoria) solo ad alcune condizioni: stupro, malformazione fetale o quando c’è un rischio per la donna incinta. L’aborto è invece illegale e completamente vietato in qualsiasi caso ad Haiti, in Honduras, nel Suriname, in Nicaragua, nella Repubblica Dominicana e a El Salvador.
A El Salvador, in seguito alle forti pressioni della chiesa cattolica e dell’estrema destra che ha governato il paese per lunghissimi periodi di tempo, la legge obbliga tutte le donne, anche se minorenni, anche se stuprate, anche se in gravi condizioni di salute, a portare a termine la gravidanza. Il codice penale prevede la condanna da due a otto anni di reclusione per le donne che abortiscono, ma in realtà i giudici considerano spesso l’interruzione di gravidanza come un omicidio aggravato, punito dunque con pene che vanno dai 30 ai 50 anni di prigione: anche nei casi di aborto spontaneo.
– Leggi anche: La terribile storia di Maira Figueroa, liberata ieri a El Salvador
Le informazioni più aggiornate sull’aborto nei diversi stati del mondo sono raccolte dal sito The World’s Abortion Laws realizzato dal Center for Reproductive Rights, un’organizzazione no profit sulla salute riproduttiva. Lì è possibile trovare maggiori informazioni, anche sui singoli stati.
Il Cile
Sulla spinta del caso argentino, in Cile si è formata la Cómision de Mujeres y Equidad de Género (Commissione per le Donne e per la Parità di Genere) che lo scorso 13 gennaio ha avviato – con il coinvolgimento diretto dei movimenti femministi – la discussione per depenalizzare l’aborto volontario entro le 14 settimane di gestazione.
Il Cile aveva legalizzato l’aborto per motivi medici nel 1931, 18 anni prima che venisse permesso alle donne di votare. Ma durante la dittatura del generale Augusto Pinochet l’interruzione di gravidanza era stata vietata in tutte le circostanze e questa posizione è stata ed è tuttora sostenuta dalla chiesa cattolica, che nel paese ha una grande influenza.
Nel 2017 è stata approvata una legge che depenalizza l’aborto solo in parte. Lo rende praticabile in tre circostanze: in caso di rischio per la vita della donna, in caso di difetti congeniti nel feto che portano alla morte e in caso di stupro. Consente inoltre l’obiezione di coscienza e significa che qualsiasi medico o infermiere può rifiutarsi di applicare la legge ed eseguire un’interruzione di gravidanza.
La parziale liberalizzazione è però insufficiente. Si stima che in Cile vengano eseguiti almeno 70 mila aborti clandestini ogni anno (ma circolano cifre anche molto più alte): la maggior parte viene eseguita con il misoprostolo, farmaco che viene acquistato sul mercato nero. Le donne che possono permettersi di viaggiare vanno ad abortire in altri paesi e quando gli aborti illegali falliscono o ci sono delle complicazioni, le donne cilene spesso scelgono di non rivolgersi alle strutture ospedaliere poiché la legge obbliga i medici a denunciare le pazienti e a chiamare la polizia.
Se la commissione voterà a favore, la nuova proposta di legge sarà discussa prima alla Camera (dove il voto potrebbe essere favorevole) e poi al Senato, dove invece, secondo le previsioni, verrebbe bloccata. Il presidente Piñera non sostiene queste modifiche: secondo i collettivi femministi, però, negli ultimi mesi i movimenti sociali cileni hanno dimostrato la loro forza e una grande occasione per avanzare in tema di diritti sessuali e riproduttivi sarà offerta dalla riscrittura della Costituzione.
A fine ottobre, i cileni avevano votato a favore della cancellazione dell’attuale Costituzione, risalente al 1980 e redatta durante la dittatura militare del generale Pinochet. Avevano poi deciso che all’assemblea che dovrà riscriverla sarà garantita la parità di genere: «Nella misura in cui potremo cambiare la Costituzione e ci saranno candidate e candidati che sostengono il movimento femminista, sui diritti sessuali e riproduttivi potremo avanzare ulteriormente», ha dichiarato l’attivista cilena Veronica Latorre.
Honduras
Lo scorso 21 gennaio, e come risposta al voto argentino, il Congresso Nazionale dell’Honduras a maggioranza conservatrice ha approvato una modifica costituzionale definita “scudo contro l’aborto” per renderne praticamente impossibile ogni legalizzazione.
La riforma è stata proposta da Mario Pérez, vice presidente del Congresso e membro del Partito Nazionale Conservatore, e interviene su un emendamento all’articolo 67 della Costituzione, quello che stabilisce che «la vita deve essere rispettata dal momento del concepimento» e che qualsiasi «interruzione della vita da parte della madre o di terzi» è «proibita ed illegale».
D’ora in avanti saranno dunque necessari almeno i tre quarti dei voti totali del Congresso per riformare questa clausola. Secondo la deputata dell’opposizione Doris Gutierrez, «questo nuovo articolo è stato scolpito nella pietra, perché non sarà più possibile riformarlo». Il Congresso unicamerale dell’Honduras ha 128 deputati, e per superare il divieto di aborto servirà il voto di almeno 96 deputati, uno scenario improbabile al momento. Le ultime modifiche costituzionali, inoltre, rendono difficile anche qualsiasi tentativo futuro di abbassare la soglia necessaria al Congresso. Le Nazioni Unite hanno condannato il nuovo provvedimento parlando «dell’interruzione di ogni possibile progresso nei diritti riproduttivi di donne e bambine».
In Honduras sono vietate l’uso, la vendita, la distribuzione e l’acquisto di contraccettivi di emergenza, l’aborto non è praticabile in nessun caso, medici e operatori sanitari sono tenuti a segnalare gli aborti clandestini alla polizia, e le donne che interrompono una gravidanza rischiano o la morte per una pratica non sicura o il carcere.
Secondo una ong locale, ogni anno nel paese ci sono tra i 50 e gli 80 mila aborti clandestini. Secondo le Nazioni Unite, l’Honduras ha uno dei più alti tassi di violenza sessuale al mondo, fattore significativo nelle gravidanze indesiderate: quasi una donna su tre di età superiore ai 15 anni ha subito violenza fisica o sessuale da parte di un conoscente. Nel 2018, Medici Senza Frontiere ha detto che nella capitale del paese, Tegucigalpa, il 90 per cento delle gravidanze seguite dall’organizzazione era conseguenza di uno stupro. Il 19 per cento di questi casi riguardava adolescenti sotto i 18 anni.
La pressione dei gruppi religiosi locali e le loro connessioni con la politica sono ampiamente considerate come il motivo principale dell’opposizione all’aborto. «Il paese è cooptato da fanatici religiosi», ha spiegato un’attivista. Ma Neesa Medina, del collettivo femminista Somos Muchas, ha detto che questa estrema posizione anti-abortista non potrà durare a lungo e che la legge sullo “scudo” rivela solo la paura verso il crescente movimento femminista dell’America Latina: «Non si rendono conto che è impossibile fermare il futuro».
Honduras voted to lock in a sweeping abortion ban, including in the cases of rape, incest, or health risk to the pregnant person — @SomosMuchasHN attorney Grecia Lozano explains what the impact will be and why the fight for reproductive justice must go on pic.twitter.com/WeLS33XBce
— NowThis (@nowthisnews) January 31, 2021