L’azienda di birra giapponese Kirin non vuole più finanziare l’esercito del Myanmar
Lo ha annunciato dopo il colpo di stato guidato dai militari, anche se diverse associazioni lo chiedevano da tempo
L’azienda di birra giapponese Kirin smetterà di avere accordi con birrifici del Myanmar in parte posseduti dall’esercito nazionale, che il primo febbraio ha preso il potere con un colpo di stato. Kirin è una società molto grande, che possiede marchi di birre come XXXX, Tooheys e Little Creatures, oltre alla stessa Kirin, e già da alcuni anni viene criticata per i suoi rapporti con i birrifici birmani e accusata da attivisti e associazioni di finanziare le violazioni dei diritti umani dell’esercito. Alla decisione di Kirin potrebbero seguirne altre simili, dopo che il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha minacciato di reintrodurre sanzioni contro il Myanmar.
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L’esercito birmano ha ancora un potere molto esteso in Myanmar, dovuto ai 50 anni in cui ha governato il paese prima dell’insediamento di un governo “civile” e democratico, e tramite i suoi militari di alto grado controlla due società che possiedono centinaia di imprese con interessi in molti settori. Una delle due società dell’esercito è la Myanmar Economic Holdings Limited (MEHL), che a sua volta controlla due birrifici che costituiscono i principali fornitori di birra nel paese – Myanmar Brewery e Mandalay Brewery –, di cui Kirin è socio di maggioranza.
In un comunicato con cui ha reso ufficiale la decisione, l’azienda si è detta «profondamente preoccupata» dei recenti avvenimenti in Myanmar, spiegando che vanno contro la sua politica sui diritti umani, e ha ammesso che la MEHL garantisce fondi ai militari.
La relazione tra l’esercito e la MEHL non è però una scoperta: già nel 2019 un’indagine delle Nazioni Unite aveva mostrato che la MEHL era di fatto gestita da Min Aung Hlaing, il generale dell’esercito che dopo il colpo di stato ha assunto il ruolo di capo del governo. Un anno prima Min Aung Hlaing e altri leader militari del Myanmar erano stati sanzionati dagli Stati Uniti per le violenze compiute sui rohingya, una minoranza etnica musulmana presente nel paese, che comprendevano uccisioni indiscriminate, incendi di interi villaggi e stupri sistematici.
Negli ultimi anni diverse associazioni internazionali avevano già invitato Kirin a interrompere i suoi rapporti con l’esercito birmano e l’avevano accusata di rendere possibili le atrocità compiute dai militari. La decisione è stata quindi apprezzata senza eccessivi entusiasmi: un membro di Amnesty International ha detto che è vergognoso che ci sia voluto un colpo di stato perché Kirin ritirasse gli accordi commerciali, e anche Human Rights Watch ha parlato di un’azione «attesa da tempo».
Un portavoce del gruppo di attivisti Justice for Myanmar, Yadanar Maung, ha detto che tutte le aziende che fanno affari con il regime militare dovrebbero seguire l’esempio di Kirin.
Dagli accordi commerciali l’esercito non ricava solo profitti, ma anche una sorta di legittimazione internazionale. Per questo dopo il colpo di stato Joe Biden ha minacciato di reintrodurre le sanzioni contro il Myanmar che Barack Obama aveva gradualmente ridotto man mano che il paese liberava i prigionieri politici e andava verso la democrazia.
Le sanzioni potrebbero riguardare direttamente gli alti gradi dell’esercito birmano oppure le società che decidono di fare affari con il regime. Ex funzionari ed esperti sostengono comunque che l’influenza degli Stati Uniti sui generali dell’esercito del Myanmar sia abbastanza limitata, e che i loro interessi commerciali siano raramente rivolti all’estero. La decisione degli Stati Uniti mirerebbe in ogni caso a delegittimare il nuovo regime.
Per paura di eventuali sanzioni, prima di Kirin già una azienda thailandese aveva annunciato la sospensione dello sviluppo di un parco industriale vicino a Yangon, la più grande città del Myanmar. Kirin ha comunque fatto sapere di non voler rinunciare ai suoi affari nel paese, e un suo rappresentante ha detto che la società cercherà altri partner commerciali che non siano legati all’esercito.
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