Navalny è una minaccia per Putin?
Il presidente russo è ancora saldo al potere, ma il suo più importante oppositore, appena condannato a tre anni e mezzo di prigione, non è mai stato così popolare
Martedì 2 febbraio Alexei Navalny, il principale leader dell’opposizione al presidente Vladimir Putin in Russia, è stato condannato a tre anni e mezzo di prigione con l’accusa di avere violato la libertà vigilata decisa a seguito di una precedente condanna, in una sentenza che secondo la maggior parte degli osservatori ha motivazioni politiche. Martedì sera, dopo la sentenza, la polizia ha praticamente bloccato il centro di Mosca, la capitale, con un grande dispiegamento di agenti, e ha arrestato circa 1.000 persone che erano scese in strada per protestare contro la condanna.
Negli ultimi due fine settimana erano state organizzate in molte città russe ampie proteste in cui decine di migliaia di persone avevano manifestato per chiedere la liberazione di Navalny e in generale contro il governo semiautoritario di Putin. Erano state le più grandi manifestazioni antigovernative avvenute in quasi dieci anni, indette dopo una serie di eventi che avevano messo in imbarazzo Putin e il suo apparato di sicurezza.
Secondo molti analisti, le vicende di queste ultime settimane in Russia sono una crisi politica come non se ne vedeva da circa un decennio, e un segnale del fatto che il regime ha riconosciuto in Navalny una minaccia potenziale ma seria al suo potere. Navalny era già stato arrestato in passato, ma sempre per periodi brevi e in circostanze specifiche, come per esempio dopo manifestazioni o per impedirgli di partecipare alle elezioni. Questa condanna lunga è in un certo senso inedita, e sembra un tentativo di impedire la sua attività politica in maniera più generale e di scoraggiare i suoi sostenitori.
Le manifestazioni arrivano infatti in un momento di relativa difficoltà per il governo russo. Putin è ben saldo al potere, il suo consenso è alto e per ora le proteste non possono essere considerate una minaccia alla sua autorità; ma sono ritenute dagli esperti come un sintomo di insofferenza crescente, provocata tra le altre cose dalla incerta gestione della pandemia da coronavirus e dalla situazione economica sempre più precaria. Sembra inoltre che Navalny sia riuscito a unire buona parte dell’opposizione russa, che storicamente è molto frammentata e non ha mai avuto un leader riconoscibile. Questi fattori, tra gli altri, potrebbero contribuire a creare in Russia un’opposizione politica davvero efficace per la prima volta dall’ascesa al potere di Putin.
Navalny è in prigione dal 17 gennaio scorso, arrestato in aeroporto subito dopo il suo ritorno dalla Germania, dove si trovava per curarsi da un tentato avvelenamento ordinato secondo lui – e secondo molte ricostruzioni – dai servizi di sicurezza russi.
Il suo ritorno in patria, dove le autorità avevano già fatto sapere che lo avrebbero arrestato, è stato interpretato come un gesto di sfida contro il governo, culminato nella pubblicazione, qualche giorno dopo l’arresto, di un video pieno di dettagli in cui Putin è accusato di essersi fatto costruire sulle rive del mar Nero un palazzo costato oltre un miliardo di euro e pagato utilizzando fondi illeciti. Il video, che è stato visto da più di cento milioni di persone, incoraggiava i russi a protestare in strada per chiedere la liberazione di Navalny, cosa che è effettivamente successa negli ultimi due fine settimana.
Alle prime manifestazioni, il 23 e 24 gennaio, hanno partecipato almeno 100 mila persone in più di 100 città in tutta la Russia; nel secondo fine settimana, il 30 e 31 gennaio, la partecipazione è stata un po’ più scarsa, ma i numeri sono rimasti comunque importanti, nonostante la repressione della polizia e le temperature invernali molto fredde. I manifestanti, oltre che per la scarcerazione di Navalny, protestavano anche contro il governo di Putin, considerato corrotto, autoritario e inefficiente.
Nel tentativo di reprimere le proteste, la polizia ha usato un enorme dispiegamento di forze e tattiche molto dure, come si è visto anche martedì dopo la sentenza che ha condannato Navalny alla prigione. A Mosca, ha raccontato il New York Times, domenica scorsa «un numero mai visto di agenti in tenuta antisommossa ha sostanzialmente bloccato il centro città». L’Economist ha notato che le forze dell’ordine sembrano aver usato tattiche già viste contro le proteste antigovernative in Bielorussia: arresti di massa (più di 3.000 persone il primo fine settimana, più di 5.000 il secondo; tra questi diversi personaggi famosi e molti collaboratori di Navalny, oltre che sua moglie), un certo utilizzo di gas lacrimogeni, pestaggi frequenti e spesso indiscriminati per spaventare i manifestanti meno decisi e scoraggiarli a tornare il fine settimana successivo.
Le forze di polizia hanno adottato anche altre tattiche per cercare di scoraggiare la partecipazione, come arresti preventivi, minacce alle società che gestiscono i social network e vari altri tentativi per tenere soprattutto i giovani lontani dalle manifestazioni.
Molti analisti hanno interpretato questa grossa prova di forza da parte del governo come un segnale di debolezza: il governo, secondo questa interpretazione, teme che le proteste ispirate da Navalny possano espandersi, finire fuori controllo e diventare una «rivoluzione colorata», cioè un grande movimento di protesta popolare come quelli che si sono verificati, in circostanze molto diverse, durante le primavere arabe o in Ucraina nel 2014.
– Leggi anche: L’inchiesta di Navalny sul presunto palazzo di Putin
Per ora, non ci sono molte indicazioni in questo senso. Le proteste sono state molto partecipate, soprattutto se si considera che negli ultimi anni in Russia la repressione politica è cresciuta, ma non sono state molto numerose in termini assoluti. Come ha ricordato l’Economist, alla fine del periodo sovietico le manifestazioni attiravano fino a mezzo milione di persone, e ancora tra il 2011 e il 2013, durante un periodo di proteste contro il ritorno di Putin alla presidenza, dopo un mandato da primo ministro, più del doppio di persone scesero in strada a Mosca (già allora Navalny era tra i leader dell’opposizione, anche se con molta meno influenza di adesso).
Inoltre, almeno per ora la classe dirigente russa non è stata particolarmente influenzata dalle manifestazioni: nel governo, in Parlamento, tra i servizi di sicurezza e dentro alle grandi aziende il sostegno nei confronti di Putin è rimasto invariato, almeno all’apparenza. Anche il suo consenso popolare rimane alto: secondo il Levada Center, una delle poche agenzie di sondaggi russe considerate sufficientemente affidabili, a novembre dell’anno scorso il suo tasso di approvazione era al 65 per cento.
Nonostante questo, ci sono indizi che quello che sta avvenendo in questi giorni attorno a Navalny costituisca una novità politica importante per la Russia, e che per la prima volta sia possibile costruire un movimento di opposizione a Vladimir Putin più convincente di quelli che ci sono stati finora.
Il New York Times ha raccontato per esempio come le proteste di questo settimane abbiano unito vari esponenti della frammentata opposizione russa, che va dai liberali ai monarchici ai nostalgici dell’Unione Sovietica. Un attivista socialista ha detto al giornalista Anton Troianovski che non approva Navalny e che lo considera come un esponente dell’«intellighenzia liberale», ma che nonostante questo ha partecipato alle manifestazioni indette per la sua liberazione perché «abbiamo bisogno di questo catalizzatore, adesso».
Più in generale, anche se una valutazione obiettiva è difficile in assenza di sondaggi affidabili, molti commentatori hanno notato che la propaganda abituale contro Navalny sembra avere meno presa: per anni l’oppositore è stato presentato come un infiltrato finanziato e sostenuto dall’Occidente per destabilizzare la Russia. Per molto tempo queste accuse, diffuse dai media vicini al governo, hanno danneggiato la reputazione di Navalny, ma dopo gli avvenimenti degli ultimi mesi (l’avvelenamento, le inchieste sui servizi di sicurezza, il ritorno in Russia nonostante la minaccia di arresto) l’apprezzamento nei confronti di Navalny sembra essere cresciuto, almeno a giudicare dalle interviste fatte in questi giorni dai media internazionali.
Anche il comportamento di Putin e del governo russo sembrano indicare che Navalny costituisca una minaccia politica più seria di quanto non fosse anche soltanto pochi mesi fa. Normalmente, Putin non nomina Navalny per nome. Quando i giornalisti (soprattutto quelli stranieri) facevano domande sulle sue attività di protesta, Putin rispondeva con una battuta, sminuendo l’importanza dell’oppositore. Negli ultimi mesi, però, il presidente russo ha dovuto prendere più sul serio Navalny, ed è stato costretto a difendersi personalmente sia dalle accuse di aver ordinato il suo avvelenamento sia per smentire che il palazzo sul mar Nero fosse di sua proprietà.
– Leggi anche: L’inchiesta sull’avvelenamento di Navalny
Uno degli aspetti che rende Navalny temibile – e che diventerà fondamentale, adesso che lui è in prigione – è la Fondazione anti corruzione (FBK, dall’acronimo russo), l’organizzazione da lui fondata che ha realizzato il video sul presunto palazzo di Putin, oltre che altre inchieste sulla presunta corruzione della classe dirigente vicina al presidente. La coordinatrice dell’unità che si occupa delle inchieste si chiama Maria Pevchikh, una laureata alla London School of Economics che ha detto al Financial Times: «È da sette anni che ci prepariamo per questo. Possono ucciderlo [Navalny], ci hanno già provato, ma noi siamo pronti? Sì».
La FBK, inoltre, è composta da attivisti e da operatori politici di una certa esperienza, come Lyubol Sobov e Leonid Volkov. La prima è un’avvocata e si era candidata nel 2019 alle elezioni per la Duma di Mosca, il Parlamento locale, ma la sua candidatura era stata rigettata. Nell’ultimo mese, è stata arrestata e rilasciata più volte, sia prima sia durante le manifestazioni di piazza. Volkov è fuggito a Vilnius, la capitale della Lituania, poco prima di una serie di arresti preventivi che ha coinvolto molti collaboratori di Navalny (tra cui la stessa Sobov), e da lì ha usato i social network per organizzare una parte consistente delle proteste di questi giorni.
La Fondazione è responsabile di gran parte dell’attività politica del movimento di Navalny, come per esempio la strategia del «voto intelligente», che è stata usata con risultati alterni ma promettenti a partire dal 2019 e che prevede di sostenere qualunque candidato dell’opposizione sia abbastanza forte da poter mettere in difficoltà i candidati di Russia Unita, il partito di Putin. Con Navalny in prigione, come dicevamo, il proseguimento dell’attività di opposizione dipenderà dalla solidità della sua organizzazione.
Secondo i sondaggi, Navalny perderebbe un confronto elettorale diretto contro Putin. Ma finora questo confronto non c’è mai stato, perché a ogni elezione le autorità hanno trovato espedienti per evitare la sua candidatura. Secondo i suoi sostenitori, anche questo è un sintomo del fatto che Navalny è un oppositore temibile.