10.958 tramonti fa uscì “Mediterraneo”
Arrivò nei cinema italiani il 31 gennaio 1991: era ambientato nel passato, durante una guerra, ma non parlava granché né dell'uno né dell'altra
Trent’anni fa, il 31 gennaio 1991, uscì nei cinema italiani Mediterraneo: il quinto film del poco più che quarantenne Gabriele Salvatores, e il terzo della sua trilogia della fuga, dopo Marrakech Express e Turné. Al centro del film c’era un cast formato da diversi attori che già avevano lavorato con Salvatores e che in quell’occasione lo fecero sull’isola greca di Megisti. Era ambientato nel passato, durante la Seconda guerra mondiale, ma non parlava troppo né di passato né di guerra. Fu vicino al non essere fatto e arrivò invece a vincere un Oscar, lasciando un gran numero di immagini, momenti e frasi a quelli che lo videro allora e a anche a chi lo fece dopo.
La storia
Mediterraneo è la storia di otto soldati italiani che hanno tutti più o meno quell’età in cui non hai ancora deciso se mettere su famiglia o perderti per il mondo e che nel giugno 1941 finiscono tagliati fuori dal conflitto bellico in Grecia, su un’isola di importanza strategica zero. In teoria, a combattere un popolo al quale dovrebbero spezzare le reni; in pratica finendo per essere aggrediti dai polli greci.
Su quell’isola dovrebbero restarci quattro mesi ma – complice la rottura della radio – finisce che ci restano anni, sviluppando un atteggiamento lassista e rilassato e addirittura di ribellione nei confronti delle autorità, dovuto a una assoluta latitanza dello Stato. Tra le altre cose familiarizzando in vari modi con la popolazione locale e venendo a sapere con grande ritardo che c’è stato l’otto settembre, c’è un grande fermento, grossi ideali in gioco e quelli che erano amici sono diventati nemici e quelli che erano nemici sono diventati amici.
Poi la guerra finisce per tutti e loro finiscono di esserne tagliati fuori, perché arrivano i britannici.
Tra i soldati, qualcuno torna in Italia, dove c’è grande confusione sotto il cielo, la situazione è eccellente e bisogna costruire un grande bel paese per viverci. Qualcuno invece resta. E c’è anche chi torna in Italia ma poi cambia idea.
I soldati
Gli otto soldati sono: il tenente Raffaele Montini, appassionato di arte e pittura; il sergente maggiore Nicola Lorusso; i fratelli veneti Libero e Felice Munaron, il soldato Eliseo Strazzabosco con la sua asina Silvana e, poi, il suo asino Garibaldi; e poi Luciano Colasanti, il marconista che si innamora di Lorusso, Antonio Farina, che si innamora di Vassilissa, e il disertore Corrado Noventa, che è innamorato di una donna che non è su quell’isola e allora a un certo punto prende e se ne va su una barca a remi. I militari sono visitati dal turco Aziz – che si porta via le armi ma lascia lì altro – e dal pilota tenente Carmelo La Rosa.
Sagapò
Mediterraneo non era direttamente ispirato a un libro, ma in molti notarono – e lo sceneggiatore Enzo Monteleone confermò – una serie di affinità tra il film e il romanzo Sagapò (“ti amo” in greco, più o meno) scritto nel 1953 dal pittore e giornalista Renzo Biasion, che aveva 78 anni quando uscì il film. Sagapò è infatti un libro di racconti ambientati in Grecia tra il 1941 e il 1943. Come ricordò Repubblica nel 1996, dopo la morte di Biason, «all’epoca della sua pubblicazione, Sagapò suscitò numerose polemiche» e ne fu anche tratta una sceneggiatura che fece finire i suoi autori «di fronte a un Tribunale Militare, che li condannò per vilipendio alle Forze Armate». Il film, di cui quella sceneggiatura doveva essere la base, non fu quindi mai fatto.
L’isola
Mediterraneo fu girato in un’isola che ha più di un nome, a seconda di chi la chiami: Castelrosso, Kastellorizo, Megisti (come viene chiamata nel film) o Mes (in turco). Dal punto di vista amministrativo dipende da Rodi, e quindi dalla Grecia; ma tra le isole greche è una delle più vicine alla costa turca, dalla quale dista giusto un paio di chilometri. Nella prima metà del Novecento ebbe una storia assai travagliata, venendo occupata prima dai francesi e poi dagli italiani. E durante la Seconda guerra mondiale fu prima occupata dai britannici e poco dopo ripresa dagli italiani, ma tornò sotto dominio britannico pochi giorni dopo l’8 settembre 1943 (non come nel film, quindi). In tutti questi anni, molti abitanti lasciarono l’isola, e non tutti ci tornarono dopo la fine della guerra. L’isola tornò greca dopo la fine della guerra, grazie ai trattati di Parigi del 1947.
Dell’isola si tornò a parlare qualche mese fa, quando, come scrisse il Foglio, fu al centro delle «attenzioni di buona parte della diplomazia europea». L’isola – grande nove chilometri quadrati e con circa 400 abitanti – divenne importante perché «dopo mesi di tensione, confini chiusi, e scontri diplomatici» la Turchia ci mandò una sua nave, «scortata da una flottiglia della marina» a scandagliarne le acque in cerca di gas naturale, rivendicando di fatto il diritto sull’area.
La scelta
Diego Abatantuono (il sergente Lorusso) ha raccontato al Corriere della Sera che Mediterraneo rischiò di non essere fatto, perché tra le tante isolette greche si faceva fatica a trovarne una che andasse bene.
«C’era rimasta da vedere solo l’isola più lontana. Il tempo stringeva, eravamo tentati di lasciar perdere. Invece salimmo su un aeroplanino da paura, una caffettiera praticamente, e atterrammo verso sera nello spazio aperto in cui poi fu girata la scena della partita. In un istante, alla luce di un magnifico tramonto, trovammo tutte le location: dalla casa di Vassilissa ai fortilizi militari».
Sul set
Intervistato da Repubblica, Gigio Alberti (Eliseo Strazzabosco) ha raccontato che lui, Salvatores e gli altri attori che interpretavano i soldati protagonisti andarono sul set una settimana prima dell’inizio delle riprese e che in quella settimana «per metà giornata si leggeva il copione e poi si passava il tempo in svago», una cosa che serviva «a creare il gruppo». Salvatores chiese anche che i vari attori scrivessero di loro pugno alcune scene per i rispettivi personaggi, ma Alberti ha precisato: «tutti si mettevano lì a fare i compiti, poi credo che di tutto questo solo una piccola «cosa scritta da Claudio [Bisio] è entrata nel film, ma era il suo modo per tirare tutti dentro alla storia, un meccanismo che Gabriele [Salvatores] utilizza spesso per coinvolgere gli attori nel progetto».
In quella stessa intervista Bisio ha raccontato le disavventure dell’attrezzista Agatino, incaricato da Salvatores di «recuperare un’asina bianca, la Silvana che sarebbe diventata la migliore amica del personaggio di Gigio. Era andato fino in Turchia per cercarla, ma alla fine si era dovuto accontentare di un asino nero che aveva dipinto di bianco con grande disappunto di Gabriele anche perché gli aveva dipinto pure gli zoccoli, e forse è meglio non raccontare cosa ha fatto per farlo diventare asina invece che mulo». Bisio ha raccontato anche quest’altro aneddoto:
Poi ci fu un’altra situazione surreale perché per una scena erano necessari dei razzi, lui [Agatino] tirò fuori una valigetta e disse a Gabriele ‘ah dottò vuole il razzo verde, bianco o rosso?’ Gabriele disse ‘fammi vedere quello verde’ e dopo averlo sparato gli disse ‘ok prendiamo quello’. ‘Eh no dottò mo ci sta solo bianco o rosso’.
Bisio ha raccontato anche che le riprese furono nell’estate dei Mondiali di Italia ’90 e che sull’isola non c’era neppure una tv e dunque, per poterne vedere le partite, fu fatta una colletta e qualcuno andò a Rodi, a otto ore circa di traghetto dall’isola, per comprare un televisore.
Le versioni
Come capita spesso, ce n’è più d’una. Quella italiana, distribuita da Penta Distribuzione, e quella statunitense, distribuita dalla Miramax, sono diverse: la prima è lunga circa dieci minuti più della seconda. È spiegato tutto nel dettaglio in questo blog. In breve, per la versione americana furono tagliate diverse scene dalla prima mezzora, ritenuta troppo lenta; ma c’è anche chi pensa che fu fatto per evitare problemi al film, tra le altre cose per via di alcune battute non proprio politicamente corrette fatte dal sergente Lorusso.
Pare anche che Salvatores tagliò – senza che le si possa vedere in nessuna delle versioni del film – alcune scene oniriche con protagonisti alcuni soldati: per esempio una in cui al tenente Montini compare in sogno Omero. Abatantuono ha spiegato così la rimozione della scena: «scattò la perplessità: ma noi facciamo un film realista, o no? Omero sparì».
L’Oscar
Nel 1992 Mediterraneo vinse l’Oscar per il miglior film straniero, due anni dopo che il premio era andato a Nuovo cinema Paradiso e sette anni prima della vittoria di La vita è bella. Salvatores ricevette la statuetta da Sylvester Stallone e disse «I’m sorry I don’t speak english» ma poi, in un inglese più che discreto, disse parole contro la guerra.
La cerimonia di premiazione degli Oscar si svolse nel periodo in cui Salvatores e diversi attori e collaboratori che avevano lavorato con lui a Mediterraneo erano in Messico per girare Puerto Escondido. Qualcuno andò a Los Angeles alla cerimonia, qualcun altro restò invece in Messico. Claudio Bisio (il soldato Corrado Noventa) fu uno di quelli che restarono, e di recente ha raccontato: «un gruppo, quelli che io chiamo gli alternativi, tra cui me, lo scenografo, prese l’occasione di questa settimana di vacanza che il produttore Maurizio Totti ci aveva dato e alla chetichella – perché in realtà non avremmo potuto – noleggiammo un pulmino e andammo nel Chapas. Quindi la sera dell’Oscar ci siamo presi una stanza nell’albergo più lussuoso, che era comunque una catapecchia, e ci siamo visti la serata in tv».
I critici
In genere, Mediterraneo ottenne buone recensioni sia in Italia che all’estero, dove qualcuno lo celebrò come un bell’esempio di ripresa del neorealismo (è successo e succede spesso con i film italiani recensiti all’estero, anche quando non c’entrano nulla con il neorealismo). Sul New York Times Vincent Canby lo definì «un’affascinante commedia la cui più grande idea è che sia l’amore, in ogni sua forma, a far girare il mondo» e scrisse che «la cosa è meglio di come suona, perché c’è il buonsenso di non cadere mai nel sentimentale che si annida dietro a ogni angolo».
Ma ci fu comunque qualche critico che – in Italia ma soprattutto all’estero – disse che il film era troppo favoleggiante oppure, più banalmente, noioso. Ci fu anche tutto un filone di critica che girò attorno al fatto che il film sostenesse l’idea degli italiani brava gente. In breve, ci fu chi non gradì il fatto che il film raccontasse, come altri avevano fatto prima, un gruppo di italiani totalmente estranei alle atrocità della guerra e ben lontani dal fascismo e dalle sue scelte.
Ci fu poi il noto critico Roger Ebert che disse di essersene uscito dalla proiezione del film prima che finisse. Proprio non gli piacque.
Alle Svalbard
Da qualche anno, una versione in 4K di Mediterraneo è conservata presso l’Arctic World Archive alle isole Svalbard, creato nel 2017 per fare con la cultura quello che il più noto Svalbard Global Seed Vault vuole fare con le colture, preservandone i semi per il futuro, così che possano essere disponibili anche dopo eventuali gravi disastri o cataclismi.
La mitologia
Mediterraneo è un film che funziona bene perché è allegro ma anche perché tratta grandi temi (la guerra, l’amicizia, la fuga) in modo semplice ma non banale. A molti non verrebbe da pensare che possa avere livelli di lettura particolarmente più profondi o nascosti. Ma NPC Magazine ci ha provato comunque, con la mitologia. Trovando nella pastorella greca «sedotta e poi abbandonata dai fratelli Munaron» un riferimento alla ninfa Callisto, oppure vedendo in Vassilissa «la cui bellezza seduce il gruppo di militari italiani» un riferimento alla maga Circe. O anche trovando nell’aviatore e tenente La Rosa un parallelismo con Ermes, messaggero degli dei, e in Aziz – il turco che dice sempre «non so» – uno dei Lotofagi, «mitico popolo della Cirenaica che offriva il frutto del loto per far perdere la memoria ai viaggiatori». Sta il fatto che Vassilissa (o più propriamente Basilissa) vuol dire “regina”.
Gli anacronismi
Mediterraneo ne è pieno, volutamente. Nel film si canta l’inno di Mameli quando invece dei soldati del regno d’Italia avrebbero intonato la Marcia reale, si vedono navi e aerei che sono storicamente fuori tempo e fuori luogo, e si parla di bar e di pizza quattro stagioni. Ci sono anche alcune incongruenze storiche: non è possibile, per esempio, che il gruppo già sappia, arrivando sull’isola, della campagna italiana in Russia.
E soprattutto, i soldati parlano come avrebbero parlato negli anni Novanta, non nei Quaranta. A questo proposito, in una sua recensione per Repubblica Irene Bignardi citò le «volute incongruenze del gergo giovanilistico che esce dalla bocca del sergente Abatantuono o del tenente Bigagli», aggiungendo che «la guerra non guerreggiata dei nostri otto amici» era «solo un pretesto, o una metafora» per far sì che Salvatores potesse «tessere, fedelmente a se stesso, un ritratto di gruppo in un esterno, di studiare un campionario umano in una situazione chiusa – che in Marrakesh Express era il viaggio, in Turné, il viaggio più la compagnia teatrale -, di osservare il reciproco modo di trasformarsi».
E Vassilissa
Molti, tra gli attori di Mediterraneo, continuano a essere volti piuttosto noti. Salvatores ha da poco diretto il documentario Fuori era primavera, sul primo lockdown, e il suo prossimo film sarà Comedians, da un testo teatrale degli anni Settanta (e che lui già portò in teatro negli anni Ottanta). Su Vana Barba (Vassilissa) non si trovano grandi informazioni: ha continuato a recitare, soprattutto in televisione, e partecipato a un’edizione della versione greca di Ballando con le stelle. Nel 2019 si candidò alle elezioni parlamentari con il Movimento per il cambiamento, di centrosinistra.
La fuga
Oltre a chiudere la trilogia della fuga di Salvatores, Mediterraneo si apre con una frase di Henri Laborit – medico, biologo e filosofo francese autore, nel 1976, del saggio Elogio della fuga – e si chiude con una semplice dedica. La frase di apertura dice «in tempi come questi la fuga è l’unico mezzo per mantenersi vivi e continuare a sognare», la frase finale è invece una dedica «a tutti quelli che stanno scappando». Intervistato nel 2016 da Io Donna, Salvatores spiegò così la citazione di apertura:
«Viene dall’Elogio della fuga dove Laborit dice anche che quando la tempesta è forte, se sei in barca, l’unica cosa che puoi fare è ammainare tutte le vele e chiuderti sottocoperta. Si chiama “cappa secca”, è una condizione per cui non governi più la barca, non vai più dove volevi andare, perdi il controllo, però ti salvi la vita e può anche capitarti di percorrere rotte non battute e di approdare a luoghi sconosciuti e interessanti. Volevo sostenere la bellezza di lasciarsi aperti a vie di fuga, non di fuggire le responsabilità.
Ricordo che in un dibattito sul film in cui qualcuno contestava quello che riteneva un ritiro sull’Aventino, avevo detto che non era mia intenzione fare un film su questo, se no l’avrei chiamato Méditerranée».
Il regista
Sempre parlando con Io Donna, Salvatores disse di ritenere Mediterraneo «un film rotondo», scritto, fatto e girato «in uno stato di grazia». «Non ricordo di aver fatto nessuna fatica a girarlo», disse. Spiegò anche che prima di chiamarsi Mediterraneo il film era stato vicino ad avere un altro nome:
C’è stato un momento in cui pensavamo di intitolarlo “Lasciateci perdere”, nel senso di “lasciateci stare”, ma anche “lasciate che ci perdiamo”. Voleva essere una dichiarazione di non collaborazione da parte di una generazione che si era trovata in mezzo a una guerra e che aveva sperato di riuscire a cambiare qualcosa ma non c’era riuscita.
E aggiunse, a proposito di incongruenze e di italiani brava gente:
Se avessi voluto davvero fare un film sugli italiani in Grecia avrei fatto qualcosa di completamente diverso. La nostra idea era quella di parlare dello stato d’animo della nostra generazione Lo dice in maniera fin troppo esplicita Abatantuono nel finale: «Volevamo cambiare l’Italia e non siamo riusciti a cambiare niente». Poi però per fortuna l’abbiamo intitolato Mediterraneo che è molto più bello.
I tramonti
Ne sono passati più di diecimila, quasi undicimila, da quando Mediterraneo uscì nei cinema. E quasi trentamila da quando, nella finzione cinematografica, il sergente Lorusso disse che gli facevano girare i coglioni.