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  • Sabato 30 gennaio 2021

La decisione di Biden contro le prigioni private

Le autorità federali non potranno più ricorrere a questo tipo di carceri, che esistono dagli anni Ottanta e contribuiscono alle ingiustizie del sistema giudiziario americano

Carcerati nel Northwest Detention Center di Tacoma, nello stato di Washington, il 21 giugno 2017; è una prigione gestita dalla società GEO Group (AP Photo/Ted S. Warren, La Presse)
Carcerati nel Northwest Detention Center di Tacoma, nello stato di Washington, il 21 giugno 2017; è una prigione gestita dalla società GEO Group (AP Photo/Ted S. Warren, La Presse)

Martedì il nuovo presidente americano Joe Biden ha firmato un ordine esecutivo che proibisce al dipartimento della Giustizia di rinnovare i suoi contratti con le carceri private. Negli Stati Uniti, infatti, una buona parte delle numerosissime persone condannate a pene detentive è rinchiusa in strutture private. Queste prigioni sono note per la qualità della vita piuttosto bassa di chi ci vive – il cibo è scadente e il comportamento delle guardie è spesso brutale, tra le altre cose – ragione per cui già il governo di Barack Obama aveva cercato di ridurne l’uso. L’ordine esecutivo riguarda solo le autorità federali, non quelle dei singoli stati, ed è per questo solo un primo passo, lo ha detto lo stesso Biden, nel quadro delle azioni che la nuova amministrazione intende adottare per risolvere le ingiustizie sistemiche presenti nel sistema giudiziario americano.

Perché negli Stati Uniti ci sono prigioni private
Le autorità statali e federali degli Stati Uniti ricorrono alle carceri private fin dagli anni Ottanta. In quel periodo ebbe inizio la cosiddetta incarcerazione di massa, quel fenomeno che ha portato gli Stati Uniti a essere il primo paese al mondo per numero di detenuti in rapporto alla popolazione. A fronte di un grosso aumento della criminalità infatti l’amministrazione di Ronald Reagan introdusse pene molto severe per crimini non violenti ma legati alla droga, che a loro volta fecero crescere tantissimo il numero di persone in carcere: nel 1980 le persone detenute erano circa 660mila; oggi sono quasi 2,3 milioni secondo i dati dell’ong Prison Policy Initiative che tengono conto di tutti i tipi di incarcerazione.

Con l’aumento del numero dei detenuti, le autorità pubbliche dovettero risolvere il problema del sovraffollamento dei penitenziari e si rivolsero ad alcune società private per costruire e gestire nuove carceri. La prima azienda a ottenere un contratto del genere fu CoreCivic, nel 1983. L’anno dopo toccò a GEO Group: oggi queste due società sono tra le principali aziende che gestiscono penitenziari e servizi ai carcerati. Tra le altre cose organizzano programmi di riabilitazione, si occupano del monitoraggio elettronico dei condannati agli arresti domiciliari, sono proprietarie di edifici in cui hanno sede uffici governativi e amministrano imprese in cui i detenuti lavorano. Entrambe sono quotate in borsa e i loro ricavi annuali messi insieme sono di circa 1 miliardo di dollari.

I problemi delle prigioni private
Essendo aziende a scopo di lucro, le società che gestiscono le carceri private hanno sempre avuto interesse ad aumentare la varietà dei loro servizi e al tempo stesso a tagliare i propri costi. Negli anni numerose inchieste giornalistiche hanno rivelato che questo atteggiamento è andato a scapito delle condizioni di vita dei detenuti: ricevono cibo scadente e cure mediche non adeguate, e sono assistiti da personale non qualificato. Ci sono state anche delle inchieste sulle imprese dove i detenuti lavorano e che spesso sono amministrate dalle stesse società che gestiscono le carceri private. Secondo queste indagini, aziende come CoreCivic e GEO Group sfruttano il lavoro dei carcerati dato che la loro condizione permette di ricompensarli con stipendi bassissimi.

Per via di questi problemi, molto noti negli Stati Uniti, nel 2016 l’allora viceprocuratrice generale Sally Yates aveva presentato un memorandum al dipartimento di Giustizia in cui chiedeva ai funzionari responsabili di non rinnovare i contratti con i gestori delle carceri private. L’amministrazione di Donald Trump aveva però cancellato questa raccomandazione: fu una delle prime cose che fece Jeff Sessions quando divenne procuratore generale.

Nei suoi primi dieci giorni di presidenza, Joe Biden ha ribaltato molte iniziative dell’amministrazione precedente, tra cui questa. L’ordine esecutivo sulle prigioni private fa parte di una serie di provvedimenti il cui scopo è ridurre le divisioni e le diseguaglianze tra i diversi gruppi demografici americani. Una delle manifestazioni del razzismo sistemico presente negli Stati Uniti è infatti l’altissima percentuale di afroamericani all’interno della popolazione carceraria: solo il 13 per cento degli americani è nero, mentre tra i detenuti la percentuale raggiunge il 40 per cento.

Le conseguenze dell’ordine esecutivo di Biden
Solo il 9 per cento dell’intera popolazione carceraria americana (circa 200mila persone) è detenuto in prigioni private, con percentuali che cambiano tra uno stato e l’altro: del totale di questi detenuti, sono 55mila quelli condannati per reati federali. L’ordine esecutivo di Biden dunque riguarda un piccolo numero di carcerati ed è per questo che lo stesso presidente lo ha definito come un primo passo nel suo piano per «fermare le aziende che traggono profitto» dall’incarcerazione.

Una prima conseguenza della decisione di Biden si è vista in borsa: dopo l’annuncio dell’ordine esecutivo il valore delle azioni di CoreCivic e GEO Group ha raggiunto il minimo da più di un decennio. Si stima che le due società potrebbero perdere fino a un quarto dei loro ricavi con la fine dei contratti federali. Nel 2019 il 23 per cento dei ricavi di GEO Group e il 22 per cento di quelli di CoreCivic derivavano da questi contratti.

Tuttavia sia CoreCivic che GEO Group hanno commentato la decisione di Biden senza esprimere sorpresa, né particolare preoccupazione. Le ragioni sono diverse: prima di tutto sapevano già quale sarebbe stata la posizione dell’amministrazione Biden nei loro confronti. In secondo luogo negli ultimi anni – nel 2020 anche per via della pandemia – il numero di persone condannate a pene detentive dai tribunali federali è diminuito, dunque è calata la necessità di ricorrere alle carceri private.

Ma il motivo principale per cui questo specifico ordine esecutivo non danneggia in modo particolare i gestori delle prigioni private è che negli ultimi anni il loro business si è spostato sui centri di detenzione per immigrati irregolari, che non sono contemplati dalla decisione di Biden. Nel 2019 il principale cliente di CoreCivic e GEO Group è stata l’ICE, l’agenzia federale responsabile del controllo della sicurezza delle frontiere e dell’immigrazione. Le politiche sull’immigrazione dell’ex presidente Trump hanno fatto aumentare di 17mila persone i detenuti nei centri per immigrati irregolari, che in totale sono oggi 42mila; l’80 per cento di loro è ospitato in strutture private. Per questo nei primi anni dell’amministrazione Trump il valore delle azioni di CoreCivic e GEO Group era aumentato.

Al tempo stesso però erano aumentate le critiche nei confronti di queste società, accusate di commettere varie forme di abusi contro gli immigrati detenuti. Per questo molti investitori avevano venduto le loro azioni, ben prima dell’ordine esecutivo di Biden. Due anni fa sia JPMorgan che Bank of America avevano annunciato che avrebbero smesso di finanziare i gestori di carceri private. Quindi se da un lato l’iniziativa di Biden non ha particolarmente cambiato la situazione per queste aziende, dall’altro le cose non stavano andando troppo bene per loro già da prima.

– Leggi anche: I primi provvedimenti di Biden sull’ambiente