Cosa vuol dire “cringe”
È una parola inglese che descrive una sensazione di imbarazzo mista a disagio, usata dai giovani e di cui si è occupata anche l’Accademia della Crusca
L’11 gennaio il sostantivo e aggettivo “cringe” è entrato nell’elenco delle parole nuove dell’Accademia della Crusca, in cui finiscono tutte quelle nuove espressioni usate da un tale numero di persone da meritare di essere spiegate alle altre. Usatissimo dai giovani da alcuni anni, “cringe” si è affermato nel 2020 secondo l’analisi della Crusca. Come aggettivo significa “imbarazzante”, ma in un’accezione particolare: è cringe ciò che suscita imbarazzo e al tempo stesso disagio in chi lo osserva. Ad esempio, per un adolescente potrebbe essere cringe vedere uno dei propri genitori che balla in pubblico una canzone trap. O anche solo sentirgli usare la parola “cringe” fuori contesto.
“Cringe” arriva dall’inglese e il fatto che sia entrato nel vocabolario di molti italiani dipende dal fatto che negli ultimi vent’anni il suo uso è aumentato tantissimo tra gli anglofoni, e si trova tantissimo su internet dove è usato per descrivere video, immagini e post condivisi sui social network.
Anche in inglese peraltro è in una certa misura una parola nuova: è usato sempre più spesso come aggettivo (come succede in italiano) anche se sarebbe un verbo. Etimologicamente ha origini germaniche, le stesse del tedesco “krank”, “malato”, e anticamente si usava per dire “piegarsi, cedere, cadere in battaglia”. La prima definizione che Oxford Languages, la casa editrice che pubblica l’Oxford English Dictionary, dà alla parola su Google è: «piegare la testa e il corpo per paura o preoccupazione, o in un atteggiamento servile». Nel tempo però il verbo “cringe” ha assunto un secondo significato, evidentemente derivante dal primo e oggi molto più usato: «sperimentare un intimo brivido di imbarazzo o disgusto». Oggi che “cringe” va di moda sono diffusi anche gli aggettivi “cringey” e “cringe-worthy”, quando lo stesso “cringe” non è usato come aggettivo.
L’etimologia inglese del verbo “cringe” è utile a capire l’aspetto di reazione fisica che si porta dietro questa parola: è associata a certe smorfie che si fanno, ad esempio, ascoltando un comico che fa una freddura che ci vergogneremmo di riferire a qualcun altro. Una di queste smorfie diventate popolari su internet è quella fatta da Chrissy Teigen, modella e moglie del cantante John Legend, durante la cerimonia di premiazione degli Oscar del 2016, in reazione a una battuta dell’attrice Stacey Dash non riuscita e criticata un po’ da tutti.
She was cringing from the Stacy Dash moment, not sarah! https://t.co/tAsXY8qAjV
— John Legend (@johnlegend) February 29, 2016
L’aspetto delle manifestazioni fisiche causate dalle cose cringe è ben trasmesso anche da un altro contesto in cui la parola è usata online: i video “Try not to cringe”, che sfidano lo spettatore a non sentirti in imbarazzo guardandoli. Sono un formato molto popolare su YouTube.
Secondo la linguista Licia Corbolante, che sul suo blog Terminologia si occupa abitualmente di spiegare le differenze tra italiano e inglese, la parola “cringe” è un «anglicismo utile» perché le sue sfumature di significato non sono rese da nessuna parola italiana esistente: «In italiano possiamo descrivere facilmente queste sensazioni (penso, ad esempio, al paragone con l’effetto delle unghie sulla lavagna) ma, a differenza dell’inglese, non disponiamo di singole parole che comunichino contemporaneamente l’imbarazzo per altri assieme al fremito e al disagio fisico».
Un’altra lingua in cui esiste una parola per descrivere sensazioni simili è il tedesco, in cui si usa “Fremdscham” per indicare il sentimento di empatia che si prova per chi è in una situazione imbarazzante e sgradevole. È considerato il contrario della più nota “Schadenfreude”, la sensazione di piacere provata per le disgrazie capitate ad altre persone. L’espressione italiana più vicina al concetto di “cringe” è “vergogna vicaria”, usata ad esempio dal filosofo Tonino Griffero nel saggio Quasi-cose. La realtà dei sentimenti:
Ci si vergogna per chi non si vergogna affatto. L’atmosfera suscitata da un comportamento vergognoso contagia infatti i presenti incolpevoli, talvolta persino quando questi si limitano a prevedere tale comportamento, o si vedono costretti a richiedere esplicitamente ciò che l’interlocutore dovrebbe invece fare da sé.
La vergogna vicaria è la sensazione che si può provare anche guardando certi film comici demenziali. In inglese si parla proprio di “cringe comedy”. Prima di questo articolo l’unica occorrenza sul Post della parola “cringe” riguardava questo contesto: è contenuta in una citazione del critico televisivo di James Poniewozik riguardo alla serie tv Penis15, che ha per protagoniste due donne più che trentenni che interpretano due ragazzine 13enni. Per allargare il riferimento a chi non l’ha vista: sono cringe comedy i film con protagonista Mr Bean, Borat e anche Fantozzi.
Tornando all’uso che i giovani fanno di “cringe”, si sono diffuse anche alcune forme derivate: il superlativo assoluto “cringissimo”, il verbo “cringiare” con il participio presente “cringiante” e il sostantivo “cringiata”. Una cosa da sottolineare è la differenza semantica tra il “to cringe” inglese e il “cringiare” italiano: il primo significa “sentirsi in imbarazzo”, mentre il secondo “far sentire in imbarazzo qualcun altro”. Un esempio di uso potrebbe essere: «Mamma, mi stai cringiando, non far vedere ai miei amici le foto di quando ero piccolo».
Viene facile fare degli esempi di “cringe” immaginando dialoghi tra genitori e figli non solo perché questa parola è usata dagli adolescenti, ma anche perché descrive una sensazione molto comune che i ragazzi possono provare nei confronti di madri e padri. La giornalista del Foglio Annalena Benini ne scriveva un anno fa, ipotizzando che nella parola, almeno in questo ambito, sia comunque presente una nota positiva:
Un padre che racconta le barzellette che non fanno ridere per risultare simpatico agli amici di suo figlio non è per forza trash, anzi in quel suo essere cringe c’è anche qualcosa di positivo, e nel trovarlo tremendamente cringe c’è una manifestazione di affetto e di pietà. Ha fallito per amore, e chi di noi non fallisce per amore? Hai ostentato uno sbaglio, ma a chi non succede? È stato ingenuo, ci ha messo entusiasmo e impegno, è precipitato nella vergogna con le migliori intenzioni. Potrei spingermi a dire che dentro questo cringe è già compreso il perdono di chi lo prova, ma penso che sia cringe anche esagerare con l’ottimismo.
Infine, per chi non lo sa ma se lo è chiesto leggendo questo articolo, tra le prove dell’attestazione di “cringe” in italiano c’è anche una canzone. S’intitola proprio “Cringe”, è uscita l’estate scorsa ed è cantata da Beba insieme a Samurai Jay, due rapper. Parla di una persona che è appunto cringe (il ritornello dice «Cringe, cringe, io penso soltanto tu sia cringe») perché è ossessionata da ciò che mette sui social network e vive in funzione di quello.