Giuseppe Conte si dimetterà domani
Lo ha annunciato prima di un voto al Senato in cui avrebbe potuto andare in minoranza, sperando di riottenere l'incarico dal presidente della Repubblica
Nella serata di lunedì 25 gennaio, il governo ha diffuso un breve comunicato anticipando che domani il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, annuncerà le proprie dimissioni nel corso di un Consiglio dei ministri, e che in seguito si recherà dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, per formalizzare la propria decisione. L’annuncio era atteso, viste le ulteriori difficoltà incontrate dal governo per trovare una solida maggioranza in Parlamento dopo l’uscita di Italia Viva lo scorso 13 gennaio.
Il governo Conte aveva ottenuto una settimana fa una precaria fiducia al Senato, ma rischiava di andare in minoranza sul voto sull’annuale relazione del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede previsto per mercoledì. Dalle stime emerse nei giorni scorsi, al Senato il governo rischiava di ricevere meno voti rispetto ai 156 ottenuti la settimana scorsa. Si era quindi parlato di una riapertura delle trattative con Italia Viva e Matteo Renzi, che avevano aperto la crisi, o di dimissioni di Conte mirate a riottenere l’incarico e formare un nuovo governo, in una cosiddetta “crisi pilotata”.
Il governo dovrebbe presentare al Parlamento la relazione sull’amministrazione della giustizia nel 2020, sulla quale ci sarà un voto in ciascuna camera. Dopo la risicata fiducia della scorsa settimana, si era detto da subito che il governo avrebbe rischiato presto di andare in minoranza, su voti particolarmente delicati: quel momento era poi arrivato. Bonafede è infatti uno dei ministri più controversi del governo, e il suo approccio giustizialista è sgradito non solo all’opposizione di centrodestra e di destra ma anche ai partiti di centro, nonché a un pezzo del centrosinistra. Sembra che Bonafede volesse smorzare alcuni passaggi del discorso, e collegarlo strettamente alla questione dei fondi europei del Recovery Fund, per rendere più difficile ai senatori indecisi un voto contrario.
Ma alcuni senatori che la settimana scorsa avevano votato la fiducia al governo avevano già detto o almeno lasciato intendere di voler votare contro la relazione di Bonafede, o di astenersi. Tra questi, il leader del Partito Socialista Riccardo Nencini, Pier Ferdinando Casini di Centristi per l’Europa e Sandra Lonardo del Gruppo Misto. Al voto sarebbero poi potute mancare le senatrici a vita Elena Cattaneo e Liliana Segre, che la scorsa settimana avevano partecipato e votato la fiducia al governo. I 156 voti del governo al Senato, già meno della maggioranza assoluta, potevano essere insomma 151, e forse persino di meno. Per quanto riguarda Italia Viva, aveva detto che avrebbe ascoltato la relazione ma che difficilmente l’avrebbe sostenuta: al voto di fiducia si era astenuta.
Visti i numeri quindi ci si aspettava che almeno al Senato la relazione di Bonafede potesse essere bocciata: cosa che, dato il contesto della crisi politica in corso, avrebbe spinto probabilmente Conte alle dimissioni. La maggioranza avrebbe voluto evitare proprio questo scenario.
Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio aveva definito quello sulla relazione di Bonafede «un voto sul governo», cercando di appellarsi alla responsabilità dei senatori indecisi e minacciando la possibilità di elezioni anticipate. Ma Conte e i suoi alleati stavano cercando altre soluzioni per evitare di cadere sul voto su Bonafede. La prima, semplice operazione prevedeva un rinvio della seduta a giovedì, da decidere durante la riunione dei capigruppo di domani per guadagnare un giorno in più per pianificare una eventuale soluzione alternativa alla crisi: il piano originario del governo di allargare la maggioranza coinvolgendo senatori sparsi nei giorni successivi alla fiducia, infatti, non sembrava funzionare.
Per questo, secondo i retroscena e le cronache politiche, una parte di maggioranza starebbe insistendo per riaprire le trattative con Renzi e Italia Viva. Un’ipotesi sostenuta da diversi leader del Partito Democratico considerati vicini a Renzi, come i capigruppo Graziano Delrio e Andrea Marcucci, e avanzata anche dal ministro per gli Affari regionali Francesco Boccia. Ma un rientro di Italia Viva nella maggioranza, dopo gli stracci volati in queste due settimane, continua a essere sgradito a un pezzo importante del PD, in particolare ai leader Andrea Orlando e Goffredo Bettini. Domenica, comunque, anche il deputato del Movimento 5 Stelle Emilio Carelli aveva auspicato questa possibilità.
Le dimissioni di Conte martedì potrebbero aprire una “crisi pilotata”, cioè una crisi il cui sviluppo è di fatto concordato in partenza. Avendo attualmente la fiducia al Senato, e anticipando l’eventuale sconfitta in aula sulla relazione di Bonafede, Conte si potrebbe dimettere ragionevolmente sicuro di ricevere un nuovo incarico da Mattarella. A questo punto, con condizioni di partenza un po’ diverse rispetto a quelle attuali, dovrebbe provare a coinvolgere altre parti politiche in una nuova maggioranza, con l’obiettivo di formare il suo terzo governo.
Sulla composizione di questa nuova maggioranza siamo ancora alla fase delle ipotesi. Ma l’idea di un governo “istituzionale” che coinvolga anche il centro e un pezzo di centrodestra, che era sembrata accantonata la scorsa settimana, è citata come possibile dalle cronache politiche sui giornali di lunedì. Questa soluzione includerebbe Italia Viva, i gruppi di centro, e forse anche almeno un pezzo di Forza Italia: nel weekend il leader del partito Silvio Berlusconi ha detto di essere favorevole, in alternativa alle elezioni anticipate. Sembra molto difficile un eventuale sostegno di Lega e Fratelli d’Italia. Il Corriere della Sera dice che in questo scenario, il ruolo di Conte sarebbe un po’ ridimensionato, e che una parte importante del patto di governo sarebbe trovare un nome comune per la successione di Mattarella, il prossimo gennaio.