Per i musicisti britannici sarà complicato fare i tour europei
L'accordo su Brexit non prevede regole speciali per cantanti e band, che ora dovranno chiedere visti di lavoro in diversi paesi
Tra le tante categorie di lavoratori britannici scontenti per l’accordo commerciale su Brexit tra Regno Unito e Unione Europea ci sono anche i musicisti. Centodieci di loro, tra cui Elton John, Ed Sheeran e i Radiohead, hanno firmato una lettera aperta al governo britannico pubblicata mercoledì sul Times, chiedendo di trovare un modo per permettere ai musicisti di fare tour nel resto d’Europa senza aver bisogno di visti. L’accordo su Brexit infatti non prevede regole speciali per le performance degli artisti britannici nei paesi dell’UE, né viceversa, nonostante una petizione indirizzata al governo britannico firmata da più di 200mila persone – più o meno il numero di lavoratori dell’industria musicale – le avesse chieste.
Dal primo gennaio tutti i cittadini britannici possono spostarsi liberamente all’interno dell’area Schengen per un massimo di 90 giorni in un arco di sei mesi. Ma questo non vale per chi si sposta per motivi di lavoro. Un musicista britannico che volesse fare un tour europeo dovrebbe attenersi a diverse regole sull’immigrazione per ogni paese interessato dal tour: dovrebbe ad esempio dover richiedere diversi visti o permessi di lavoro, per sé e per i propri collaboratori, cosa che secondo gli esperti dell’industria musicale potrebbe avere dei costi potenzialmente proibitivi per i musicisti ancora all’inizio della propria carriera.
L’agente discografica Ellie Giles ha fatto una stima di quanto potrebbe costare a un gruppo emergente composto da sei musicisti fare un tour europeo di quattro giorni passando per tre città europee in paesi diversi: secondo i suoi conti ci perderebbero più di 3mila sterline. Non tutti i paesi europei richiedono un visto di lavoro ai musicisti extracomunitari in tour (ad esempio non lo fanno la Francia e i Paesi Bassi, Germania e Spagna sì), ma il fatto che le regole cambino da paese a paese renderà più complicata tutta l’organizzazione dei tour.
La musica britannica, in particolare il pop, è ascoltata in tutto il mondo. Prima che la pandemia da coronavirus destabilizzasse il settore impedendo i concerti dal vivo, l’intero mercato musicale britannico valeva 5,8 miliardi di sterline all’anno: sono più di 6,5 miliardi di euro, cioè più del settore ittico, al centro di grandi discussioni su Brexit. Di questi 5,8 miliardi di sterline, il 20 per cento era dovuto ai concerti.
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Per via dell’importanza del settore musicale, il governo britannico aveva effettivamente cercato di ottenere delle condizioni speciali per i musicisti in tour nei paesi dell’Unione Europea, ma questo è uno dei tanti temi su cui non è riuscito a trovare un accordo. Sia il Regno Unito che l’Unione Europea avevano proposto una propria soluzione che permettesse ai musicisti di fare tour senza dover pagare per i visti lavorativi: secondo quanto ricostruito dai giornali britannici non è stato possibile trovare un accordo perché per il governo britannico la proposta europea (che avrebbe dato maggiore libertà di movimento anche ad altre categorie di persone, come atleti e giornalisti) sarebbe stata eccessivamente permissiva per i musicisti (e atleti e giornalisti) europei nel Regno Unito.
Dopo la lettera dei 101 musicisti il governo britannico ha incolpato l’Unione Europea del fatto che non sia stata trovata una soluzione e ha detto di essere disponibile a confrontarsi nuovamente con l’UE se vorrà partire dalla proposta britannica. In ogni caso l’accordo attualmente in vigore potrà essere modificato se entrambe le parti saranno d’accordo. Il 27 gennaio il ministro della Cultura Oliver Dowden incontrerà un gruppo di rappresentanti dell’industria musicale per ascoltare le loro richieste.
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