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  • Domenica 24 gennaio 2021

Le Alpine in Formula 1, alla fine

Renault utilizzerà il nome di un suo storico marchio di auto sportive, con una lunga storia di falliti tentativi e di successi in altre categorie

Alpine A521 Formula 1
La Alpine A521, la macchina con cui Renault parteciperà al campionato di Formula 1 nel 2021 (Alpinecars.com)

Nei giorni scorsi l’azienda francese di auto sportive Alpine, con sede a Dieppe, in Normandia, ha diffuso le prime immagini della versione provvisoria della A521, la macchina di Formula 1 che parteciperà al prossimo campionato mondiale, il cui inizio è in programma il 28 marzo. Alpine è un marchio con oltre sessant’anni di storia, in larga parte intrecciata con quella del suo gruppo proprietario Renault. Tra gli anni Sessanta e Settanta, dopo numerosi e celebrati successi nei rally, arrivò a un passo dal correre anche in Formula 1, senza riuscirci.

A settembre scorso, nell’ambito di un più ampio e articolato piano di rilancio dell’intero comparto auto, Renault ha annunciato che a partire dal 2021 la sua squadra corse utilizzerà proprio il nome Alpine nel campionato di Formula 1, sostituendo il marchio Renault. Questa decisione coincide con un’altra novità molto attesa: il ritorno, dopo due anni di assenza, del trentanovenne pilota spagnolo e due volte campione del mondo Fernando Alonso, che dovrebbe contribuire a mantenere alto il livello di attenzioni mediatiche intorno alla squadra anche in caso di risultati sportivi non pienamente soddisfacenti.

La presenza di Alpine nel campionato mondiale del 2021 è insomma un’operazione di branding. È cioè una scelta più di forma che di sostanza, considerando che la squadra di fatto è comunque Renault, presente in Formula 1 più o meno ininterrottamente fin dalla seconda metà degli anni Settanta. Dietro Alpine ci saranno infatti due reparti con molta esperienza in questa categoria: Renault Sport Cars e Renault Sport Racing. Né cambieranno le sedi di sviluppo del telaio (Enstone, Inghilterra) e del motore (Viry-Châtillon, Francia) della macchina.

È tuttavia ad Alpine, tornando indietro di cinquant’anni, che Renault deve una parte significativa del suo esordio e, indirettamente, delle sue successive fortune in Formula 1. Ed è una storia risalente a un tempo in cui partecipare alle corse più prestigiose del mondo era un’ambizione che potevano coltivare non soltanto grandi gruppi come Ferrari, Ford o Mercedes ma anche una piccola fabbrica in un paese di provincia dell’Alta Normandia.

Per cosa è ricordata Alpine, tra gli appassionati
La Alpine ha la sua sede principale a Dieppe, una città da 30 mila abitanti che affaccia sulla Manica e che in Normandia è principalmente nota per la pesca e la preparazione di aringhe, cozze e capesante, più che per le automobili. È a Dieppe che nel 1954 Jean Rédélé, giovane pilota dilettante e proprietario di una concessionaria Renault ereditata da suo padre, fondò una piccola fabbrica di automobili sportive. Ci riuscì mettendo a frutto una sua preziosa e ammirata abilità nel modificare “artigianalmente” le macchine da strada in modo da renderle più veloci e poi rivenderle, e per cui era già piuttosto conosciuto nel giro degli appassionati di motori nella Senna Marittima.

Rédélé conosceva perfettamente la Renault 4CV, un popolare modello di berlina che aveva a lungo guidato in gare di rally, con ampie soddisfazioni, sulle Alpi francesi. Proprio da una sua vittoria in un’edizione dell’ambita Coupe des Alpes, si racconta, prese poi spunto per la scelta del nome dell’azienda. Apportando una serie di modifiche al motore e al telaio di quella 4CV, e integrando nel progetto un leggerissimo telaio in vetroresina, Rédélé realizzò la A106, la prima auto della casa automobilistica, che all’epoca riusciva a produrne non più di due a settimana. Fu presentata al Salone di Parigi, nel 1955, dietro approvazione dell’allora amministratore delegato di Renault Pierre Dreyfus, che osservava i progressi di Alpine con curiosità e attenzione, elargendo anche qualche limitato finanziamento. Il nome Alpine cominciò a circolare tra gli appassionati di auto da corse in Francia.

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Lavorando in collaborazione con Renault, in quegli anni Rédélé e il suo team di meccanici, ingegneri e progettisti – tra i quali Richard Bouleau e, occasionalmente, il designer torinese Giovanni Michelotti – costruirono a Dieppe altre auto destinate a ottenere successo sia nelle gare che nel mercato delle auto sportive.

Nel 1962, partendo dal telaio della Renault R8, Alpine produsse la A110, il suo modello di auto più riconoscibile – con i quattro fari anteriori – e per cui oggi è principalmente conosciuta e ricordata tra gli appassionati. Fu l’inizio di una serie di vittorie memorabili nei più importanti rally degli anni Sessanta e Settanta, incluso il rally di Monte Carlo, che porterà Alpine fino alla vittoria del campionato mondiale di rally nel 1973. Un’auto progettata in quella che fino a dieci anni prima era una piccola officina di Dieppe riuscì a battere colossi mondiali come Porsche, Lancia (all’epoca già di Fiat) e Ford.

Alpine Monte Carlo Rally 1971

Il pilota Ove Andersson, a destra, e il suo navigatore David Stone su una Alpine dopo la vittoria della quarantesima edizione del rally di Monte Carlo, il 29 gennaio 1971 (AP Photo/Maestri)

L’ambizione di competere in Formula 1
A metà degli anni Sessanta la Formula 1, nata ufficialmente nel 1950 raccogliendo l’eredità della Formula Grand Prix degli anni Venti, attraversava un periodo di radicali modifiche del regolamento. L’alta frequenza di gravi incidenti in pista, con conseguenze quasi sempre mortali non soltanto per i piloti ma anche per molti spettatori, aveva indotto gli organizzatori del campionato a cercare di migliorare la sicurezza ponendo dei limiti alla potenza dei motori. Per cinque anni, dal 1961 al 1965, furono ammessi soltanto motori da 1,5 litri di cilindrata. Poi, dal 1966, la Formula 1 aprì anche a quelli da 3 litri e quelli da 1,5 sovralimentati, condizione che di colpo ristabilì tra i team più ricchi una competizione sfrenata al rialzo delle prestazioni, ma con effetti inizialmente molto negativi sull’affidabilità dei motori.

Intanto, a sfruttare meglio degli altri quel contesto di limitazioni imposte allo sviluppo dei propulsori, erano state prevalentemente alcune piccole squadre, perlopiù inglesi. Nelle loro fabbriche non costruivano motori – si rivolgevano a produttori esterni – ma adoperavano avveniristiche e invidiate competenze nell’assemblaggio meccanico delle varie parti della macchina. Il campionato del 1966, per capirci, fu vinto da un pilota e meccanico australiano, il quarantenne Jack Brabham, con la sua squadra personale, la Brabham. L’aveva fondata pochi anni prima facendo tesoro dei suoi studi in ingegneria e soprattutto dell’esperienza da pilota maturata con la Cooper, la squadra inglese con cui aveva vinto due volte il campionato, nel 1959 e nel 1960. E nemmeno la Cooper costruiva il motore “in casa”.

È in questo quadro storico che si inserisce il primo interessamento di Alpine per la Formula 1. Brabham era riuscito a vincere il campionato mondiale con un motore fornito da un produttore esterno (l’australiana Repco), da appena 300 cavalli: non era il più potente, niente affatto, ma si dimostrò essere il più affidabile. Questa considerazione spinse Rédélé e la sua squadra di ambiziosi ingegneri e progettisti a misurare le possibilità della Alpine – che intanto vinceva a ripetizione nei rally – di partecipare a quella che in Europa era ritenuta, quantomeno fino a prima dell’introduzione delle limitazioni ai motori, la competizione con le auto più veloci al mondo.

Il primo prototipo: la A350
Con il sostegno inconsapevole di Renault, che forniva ad Alpine già stabilmente da qualche anno le parti meccaniche necessarie per la produzione della auto di serie, nel tardo 1967 Rédélé esplorò le possibilità di una clamorosa partecipazione al campionato mondiale di Formula 1 dell’anno successivo. Le uniche esperienze dell’azienda nella costruzione di monoposto fino a quel momento avevano riguardato auto di Formula 2 e Formula 3, e avevano prodotto risultati promettenti. Il problema principale di quei prototipi era la potenza, difetto comunque compensato dalla buona tenuta sull’asfalto nei tratti curvilinei.

Nacque la A350, un prototipo di Formula 1 disegnato da Richard Bouleau e che nel 1968 Alpine decise di provare segretamente in una serie di test sulle piste di Zandvoort, in Olanda Settentrionale, e di Zolder, in Belgio. A guidarla c’era Mauro Bianchi, un pilota professionista italiano, tre volte campione del mondo di auto Gran Turismo e già in passato collaudatore della A110 e di altri modelli per Alpine. Aveva da poco avuto un grave incidente alla 24 Ore di Le Mans, e si sarebbe poi definitivamente ritirato dalle corse l’anno successivo, dopo la morte di suo fratello Lucien in un incidente durante l’edizione della 24 Ore di Le Mans del 1969. Mauro, che ha oggi 83 anni, è peraltro il nonno di Jules Bianchi, sfortunato pilota di Formula 1 morto nel 2015, a venticinque anni, a causa delle ferite riportate in un incidente durante il Gran Premio del Giappone dell’anno precedente.

La prova su pista della A350 fornì indicazioni incoraggianti, soprattutto a Zandvoort. Considerando i tempi sul giro ottenuti dalle Formula 1 su quella pista – all’epoca presente nel calendario del campionato mondiale – il miglior tempo fatto dalla A350 avrebbe ipoteticamente permesso alla Alpine di classificarsi a metà della griglia di partenza. La macchina montava un motore V8 da 3 litri di cilindrata e 300 cavalli di potenza massima, del costruttore italo-francese Amedeo Gordini, che all’epoca lavorava per Renault. Era un motore leggero ma non molto potente né abbastanza resistente, e il rischio che non potesse “durare” più di pochi giri – o poche curve del tutto – era alto. Alla Alpine erano comunque euforici e molto ottimisti.

L’intenzione di Rédélé, racconta Roy Smith, autore del libro Alpine & Renault, era quella di dimostrare a Renault di essere pienamente in grado di costruire un’auto di Formula 1. Mancava soltanto la potenza: questa constatazione, sempre nei piani di Rédélé, avrebbe dovuto indurre Renault stessa ad avviare il programma di sviluppo di un motore da montare sulla A350. Non se ne fece niente.

Una volta saputo che Alpine era pronta ad avanzare agli organizzatori del campionato di Formula 1 la richiesta di ammissione della A350 al Gran Premio di Francia del 1968, Renault comunicò a Rédélé il divieto assoluto di partecipare utilizzando il motore Renault-Gordini. E Alpine non ne aveva altri. La A350 non corse mai in Formula 1, e quel prototipo guidato da Bianchi in due sole sessioni di test finì distrutto per volere di Renault, che non aveva alcuna intenzione di sfigurare nel confronto con le altre grandi case automobilistiche già presenti in quella prestigiosa categoria. L’azienda francese aveva altri piani e tutta un’altra tabella di marcia, per il suo ingresso nella più importante competizione automobilistica al mondo.

Il secondo tentativo e la nascita dei motori “turbo”
I ripetuti successi sportivi delle auto nei rally, specialmente quelli della A110, così come i positivi dati di vendita, portarono Renault ad acquisire Alpine nella prima metà degli anni Settanta, quando gli effetti della crisi petrolifera misero a rischio la sopravvivenza della fabbrica di Rédélé. In quel decennio, su richiesta di Renault, Alpine concentrò gli sforzi per competere nella 24 Ore di Le Mans, che riuscì a vincere poi nel 1978 con l’innovativa A442B, equipaggiata con un motore turbo.

Quella vittoria fu resa possibile anche dal lavoro che Alpine e Renault, parallelamente al programma per la vittoria a Le Mans, avevano portato avanti nella costruzione di un motore da montare su un nuovo prototipo di Formula 1. Fu infatti un’auto disegnata dalla Alpine – in particolare da Andre de Cortanze, collega e allievo di Bouleau nei primi anni Sessanta – la prima auto “non ufficiale” di Formula 1 con marchio Renault: la Alpine A500. Grazie ai test condotti con quel prototipo nel 1976, nacque poi la leggendaria Renault RS01, prima macchina di Formula 1 alimentata da un motore turbo (sovralimentato grazie al parziale recupero dell’energia meccanica nei gas di scarico tramite turbocompressore).


I piani di Renault con Alpine
Come marchio di nicchia di Renault, Alpine ha continuato a disegnare macchine sportive fino a metà degli anni Novanta, prima che la produzione venisse interrotta per quasi un ventennio. Nessun modello riuscì a eguagliare la popolarità della A110, che corrisponde ancora oggi nell’immaginario degli impallinati di macchine sportive all’apice del successo dell’azienda e al suo miglior mezzo tra quelli prodotti al tempo della relativa indipendenza manifatturiera da Renault. È per questo motivo che nel 2017, dopo aver preannunciato la rinascita del marchio, Renault immise sul mercato la nuova Alpine A110, una coupé ispirata al disegno della vecchia A110.

Renault Alpine A110

La Alpine A110 del 1962, a sinistra, e il prototipo di nuova Renault Alpine A110, mostrate al Festival Internazionale dell’Automobile di Parigi, il 30 gennaio 2013 (AP Photo/Francois Mori)

Tra i commentatori sportivi e gli appassionati di auto sono in molti a seguire con interesse l’ingresso di Alpine con Renault in Formula 1. C’è prima di tutto curiosità di scoprire se e in che termini questa esperienza ufficiale nella più popolare e importante competizione motoristica del mondo, ormai da tempo concentrata su sistemi ibridi di propulsione, avrà ripercussioni sullo sviluppo del marchio e sulle produzioni future in fabbrica.

Inoltre la scelta di Renault di condividere con Alpine il percorso in Formula 1 a partire dal 2021 è da molti osservatori interpretata come una relativa garanzia di impegno a medio-lungo termine del produttore francese in questo sport, pur in un momento caratterizzato da grande incertezza causata dagli effetti della pandemia. Ad agosto 2020, proprio poche settimane prima dell’annuncio della partecipazione come Alpine al prossimo campionato, la Renault aveva aderito insieme alle altre nove squadre di Formula 1 al cosiddetto Patto della Concordia. È il nuovo accordo quinquennale approvato all’unanimità che stabilisce, tra le altre cose, la distribuzione dei premi e le regole da rispettare nel periodo 2021-2025 per garantire la sostenibilità finanziaria della Formula 1.

Come sta andando Renault in Formula 1
Da diversi anni la squadra Renault non è nel gruppo delle più forti in Formula 1. Come per molti altri team, inclusi Red Bull e Ferrari, le modifiche regolamentari che nel 2014 hanno imposto il passaggio ai sistemi ibridi hanno determinato uno stravolgimento epocale delle procedure e delle tecniche di produzione motoristica, rispetto al quale molte squadre – anche tra quelle finanziariamente più stabili – si sono trovate impreparate, eccetto Mercedes.

L’ultimo grande periodo di successi di Renault in Formula 1 risale al biennio 2005-2006, quando Fernando Alonso riuscì a vincere il campionato per due stagioni consecutive. Rispetto alle tendenze negative dell’ultimo decennio – penultimo posto in classifica generale, nel 2016 – il 2020 è stato un anno di relative soddisfazioni. I piloti Esteban Ocon e Daniel Ricciardo, ora passato alla McLaren e sostituito da Alonso, sono complessivamente saliti sul podio tre volte.

Alcuni segnali indicano quanto siano robuste e concrete le ambizioni di Renault in Formula 1 con Alpine. Luca De Meo, amministratore delegato dell’azienda da poco più di un anno, ha cambiato in modo piuttosto radicale alcuni ruoli di vertice nella struttura di Alpine-Renault. L’esperto team principal della squadra Renault di Formula 1, il francese Cyril Abiteboul, ha lasciato il suo incarico, che sarà probabilmente occupato dall’attuale direttore esecutivo Marcin Budkowski. Nel frattempo Laurent Rossi, che riferirà direttamente a De Meo, è stato nominato nuovo amministratore delegato del team Alpine.

Al lavoro insieme a Rossi ci sarà anche un nuovo direttore sportivo, l’italiano Davide Brivio, apprezzato manager proveniente dal motociclismo e già molto conosciuto dal pubblico italiano. Dal 2013 era il team manager della squadra Suzuki, dopo aver raggiunto la massima popolarità in Yamaha tra il 2001 e il 2010, negli anni dei poderosi successi di Valentino Rossi.