Tutto lo sport di Ineos
Calcio, vela, ciclismo, maratona, Formula 1: cosa spinge una multinazionale della chimica e il suo eclettico proprietario a investire tanto e su tanti fronti, e a vincere
Fino a qualche anno fa di Ineos, multinazionale britannica del settore chimico, si diceva fosse la più grande azienda di cui nessuno aveva sentito parlare. Perché nonostante i suoi grandi numeri, molti non addetti ai lavori non ne avevano mai sentito neanche il nome. E magari molti nemmeno lo sanno adesso, cosa sia e cosa faccia Ineos. Di certo, però, a molti appassionati di sport il logo di Ineos è diventato familiare: è sulle divise di un paio di squadre di calcio europee, sulla maglia di un vincitore del Tour de France, sulla monoposto che ha vinto il campionato del mondo di Formula 1, sulle vele della barca che potrebbe vincere il più antico trofeo sportivo al mondo, e addosso e attorno all’unico essere umano ad aver mai corso una maratona in meno di due ore.
Da qualche anno, insomma, Ineos ci ha dato dentro con lo sport. Con grandissime ambizioni supportate da altissimi investimenti, e con un diretto interessamento da parte di Jim Ratcliffe, il fondatore e amministratore delegato di Ineos. Ratcliffe, assiduo praticante di diversi sport, dice di averlo fatto per passione e perché, banalmente, può permetterselo. Altri sostengono – come ha raccontato Luca Pulsoni su Contrasti – che la società lo faccia per fare sportwashing, che significa lavare attraverso lo sport la non limpidissima immagine pubblica della sua azienda. Ci arriviamo tra un po’, che prima è il caso di parlare di lui, e della sua azienda.
Ineos
Il nome Ineos (loro preferiscono INEOS, tutto maiuscolo) è un acronimo delle parole Inspec Ethylene Oxide Specialities, ma racchiude anche la parola latina “ineo” e la greca “neos”, che hanno a che fare con il concetto di “inizio” e che Ratcliffe trovò mentre, insieme con i figli, sfogliava un paio di dizionari che aveva comprato il giorno prima, proprio per trovare un nome “con un significato”.
Ineos è un’azienda petrolchimica dalle tante attività: le principali riguardano le perforazioni per l’estrazione di petrolio e gas naturale e la produzione di plastica. Il Financial Times ha descritto così il core business dell’azienda: «una serie di raffinerie, giacimenti di gas e cose chimiche che sono alla base di prodotti di ogni giorno come materie plastiche, coloranti e medicine». Tutte queste attività portano a produrre ogni anno oltre 60 milioni di tonnellate di materiale, generano un fatturato di circa 60 miliardi di dollari e danno lavoro a più di 25mila persone.
Partita nel 1992 come Inspec, l’azienda divenne Ineos nel 1998, quando Ratcliffe si mise insieme ad altri finanziatori per completare una serie di importanti acquisizioni nel settore chimico. In particolare, ha scritto il Financial Times, con «rischiosi investimenti in titoli spazzatura», con lo scopo di reinvestire i guadagni per comprare «asset produttivi del settore chimico che non voleva nessuno». Dopo la crisi del 2008 l’azienda rallentò la sua espansione e provò a consolidare la sua posizione, riprendendo già dagli anni Dieci del Duemila la sua rapida crescita. Oggi Ineos è la più grande azienda privata del Regno Unito e la terza più grande azienda chimica al mondo, operativa con quasi 200 unità produttive in 29 paesi.
Ratcliffe ne parla come di una «federazione di aziende», ognuna con una grande libertà di movimento ma, allo stesso tempo, sotto il suo diretto controllo. Tra le altre cose, Ineos è una di quelle aziende che – per fornirci quello che desideriamo, compriamo e consumiamo – pratica il fracking, che prevede l’estrazione di gas e petrolio attraverso l’utilizzo della fratturazione idraulica, criticata da molti per il suo impatto ambientale.
Jim Ratcliffe
Figlio di un falegname, Ratcliffe è nato nel 1952 a Failsworth, nel nord dell’Inghilterra, e a 22 anni si laureò in ingegneria chimica all’università di Birmingham. Trovò piuttosto in fretta un lavoro alla Esso ma poi decise di rimettersi a studiare: questa volta finanza, alla London Business School. Andò poi a lavorare in Advent, un gruppo di private equity, decidendo quindi di tornare alla chimica industriale e di fondare, a quarant’anni, Inspec, e poi INEOS, di cui ancora oggi controlla circa il 60 per cento, cosa che lo rende una delle persone più ricche del Regno Unito e uno dei 100 più ricchi al mondo, con un patrimonio stimato di quasi 30 miliardi di dollari.
La sua storia è quella di un miliardario “che si è fatto da solo” e che, tra l’altro, intorno al 2009 rischiò, come ha scritto il Financial Times, «di perdere tutto» in conseguenza della grande recessione e del relativo calo del prezzo del petrolio. Da quella crisi invece riuscì a uscire con la fama di capo risoluto, decisionista e anche piuttosto spregiudicato, contrario alla burocrazia che «soffoca il business».
Di Ratcliffe si parlò nel 2010, quando spostò la sede dell’azienda in Svizzera (ora invece è tornata nel Regno Unito) e, più di recente, quando si disse favorevole a Brexit (nonostante le molte attività europee di Ineos). Ratcliffe è in genere abbastanza riservato per quanto riguarda la sua vita privata, di lui si sa però che ha un superyacht da circa 200 milioni di euro (con cantina per i vini con pavimento trasparente, dalla quale si può guardare il fondale). E, soprattutto, che gli piacciono tanto tanti sport. Da giovane partecipò ad alcune corse ciclistiche di lunga distanza, poi a spedizioni ai due poli, ed è sciatore, velista e maratoneta. Ne ha corse diverse di maratone, alcune con tempi sotto le quattro ore, e ha finito stremato quella di New York (al termine della quale dovettero fargli una flebo). «Quando si tratta di raggiungere un obiettivo, ne diventa ossessionato», ha scritto l’Independent.
Ratcliffe, che ha corso la sua maratona più veloce quando aveva 57 anni, ha detto che iniziò a correre per sport «quando forse ancora Nike non esisteva» e quando «se facevi jogging a Londra o a New York la gente ti guardava stranita». Gli piace anche andare in moto, e non a caso nel 2017 comprò Belstaff, azienda di vestiti per motociclisti (e di famose giacche di cotone cerato, anche per non motociclisti).
Ineos, Ratcliffe e lo sport
Per gran parte della sua vita, quindi, Ratcliffe è stato uno sportivo, e per un pezzo un miliardario e uno sportivo. Ma solo da pochi anni è diventato uno sportivo miliardario che investe nello sport.
Al mondo esistono diversi enti, miliardari o aziende che stanno spendendo o hanno speso nello sport più di Ineos, in certi casi in più di uno sport. Ma ci sono ben pochi casi, come ha scritto il Financial Times, «in cui qualcuno abbia messo insieme in così poco tempo una serie così grande di investimenti». Tra l’altro quasi sempre con l’intenzione di vincere subito e ai massimi livelli possibili in alcune delle competizioni più prestigiose al mondo: il Mondiale di Formula 1, l’America’s Cup, il Tour de France e soprattutto di stravincere nella maratona, l’emblema assoluto dello sport.
In aggiunta, Ineos si sta muovendo per integrare al meglio le competenze tra i tanti sport in cui investe e per creare, nelle parole del Financial Times, «una galassia di atleti, allenatori ed esperti che si assistono l’uno con l’altro nelle sfide sportive più dure al mondo». Per esempio chiedendo agli esperti di meteorologia (fondamentali nella vela) di studiare il momento e il luogo migliore per correre una maratona, o sfruttando le competenze in galleria del vento per una bicicletta, una Mercedes da Formula 1 o un monoscafo volante. E ancora gestendo ogni suo dipartimento sportivo così come fosse una delle decine di «aziende federate» che controlla: grandi libertà concesse ai vari esperti e richieste molto elevate di innovazione e risultati.
L’idea di agire direttamente sullo sport, integrando conoscenze ed esperienze e senza limitarsi a essere un semplice sponsor, non è nuova, e per certi versi è quello che già Red Bull sta facendo con successo nel calcio e in un paio di altri sport. Ma se la strategia è simile, le ambizioni di Ineos sembrano essere decisamente maggiori.
– Leggi anche: Red Bull ci è riuscita anche nel calcio
Il calcio
Il primo rilevante investimento sportivo di Ineos fu nel calcio, e non andò bene. Nel 2017, infatti, Ineos comprò il Losanna, squadra svizzera che in quel periodo era piuttosto stabilmente nella parte alta del più importante campionato del paese, che però non vinceva dagli anni Sessanta. L’investimento arrivava dopo altri, di minore entità, che l’azienda aveva fatto nel calcio giovanile e nell’hockey, e dopo che già Ineos Football aveva aperto un paio di scuole calcio in Africa. Subito dopo aver comprato la squadra, che esisteva dal 1896, Ineos decise di cambiarne il logo, per far sì che la “O” diventasse uguale alla “O” del logo Ineos e per far sì che tra i colori sociali del Losanna ci fosse anche un po’ di arancione “Ineos”. Non è una di quelle cose che fanno piacere ai tifosi e l’azienda dovette quindi ritirare la proposta, per non inimicarseli troppo sin da subito. Non andò bene neanche sul piano sportivo, visto che nel 2018 il Losanna retrocesse nella Serie B svizzera.
Ma Ineos non si arrese, e nell’estate 2019 comprò il Nizza, squadra di buon livello del più importante campionato francese, non lontano dalla casa monegasca di Ratcliffe, che motivò così la scelta: «Abbiamo preso in considerazione molte squadre, per studiarne – così come fa Ineos – il valore e il potenziale, e il Nizza rispetta tutti i criteri. Con i nostri mirati investimenti vogliamo far sì che la squadra competa con regolarità nelle competizioni europee». Aggiunse anche: «Abbiamo fatto un po’ di errori con il Losanna, ma impariamo in fretta». Almeno per ora, però, anche le prestazioni del Nizza – che Ineos pagò oltre 100 milioni di euro –sono ben lontane dalle ambizioni di Ratcliffe.
La maratona
Nel novembre 2019, quindi pochi mesi dopo aver comprato il Nizza, Ineos supportò e sponsorizzò il keniano Eliud Kipchoge, che – primo nella storia – riuscì a correre a Vienna una maratona in meno di due ore, percorrendo cioè i famosi 42 chilometri e 195 metri in 1 ora, 59 minuti e 40 secondi. L’impresa – largamente celebrata da Ineos – fu fatta grazie alle straordinarie doti atletiche di Kipchoge, ma grazie anche a una serie di studi e ricerche di una grande squadra di tecnici, esperti, allenatori ed atleti, che studiarono a fondo ognuno dei tantissimi fattori che portarono a quella storica corsa (che per le condizioni in cui fu effettuata non ha però valore di record mondiale).
– Leggi anche: La maratona in meno di due ore
«Per tutti noi che corriamo almeno un po’» disse Ratcliffe «è davvero difficile anche solo immaginare che un uomo possa correre una maratona con un passo di due minuti e cinquanta secondi al chilometro» disse Ratcliffe. La maratona di Kipchoge – corsa a Vienna e non a Londra, come avrebbe voluto Ratcliffe, perché il percorso e il clima di Vienna furono considerati più adeguati – arrivò dopo mesi di preparazione e dopo un investimento complessivo che si stima essere stato pari ad almeno 20 milioni di euro. Con Kipchoge, Ineos riuscì dove giusto un paio di anni prima aveva fallito (sempre con Kipchoge) Nike, un’azienda che di grandi investimenti, sponsorizzazioni e narrazioni sportive di certo se ne intende.
Il ciclismo
Sempre nel corso del 2019 si concretizzò anche l’acquisizione, da parte di Ineos, della squadra ciclistica precedentemente nota come Team Sky, la squadra che aveva dominato nel decennio precedente, nota per i suoi grandi investimenti e la sua scientifica attenzione a come ogni minimo miglioramento meccanico, aerodinamico, tecnologico o nutrizionale potesse – se messo insieme a tanti altri – fare una grande differenza. «Si riduce tutto al fatto che se isoli ogni singolo fattore che compone l’andare in bicicletta e lo migliori dell’1 per cento, quando rimetti insieme tutti quei fattori avrai un significativo miglioramento», come disse nel 2012 il suo team manager Dave Brailsford.
– Leggi anche: Storia del successo del ciclismo britannico
Comprando la Sky, ed ereditandone atleti, tecnici e conoscenze, Ineos comprò il meglio, per vincere subito. E infatti, pronti-via, nel luglio di quell’anno due ciclisti del Team Ineos arrivarono primo e secondo al Tour de France, la più importante e seguita competizione ciclistica al mondo. Tra l’altro, si trattava di una squadra con diversi atleti e allenatori britannici, e quindi più vicina a Ineos di quanto non fossero due squadre svizzere o una maratona corsa in Austria da un atleta keniota. Ineos, comunque, non si è accontentata di aver comprato la squadra più forte dello sport, e nell’ultimo anno ha addirittura aumentato i suoi investimenti: rinunciando a Chris Froome, capitano del team Sky, e puntando molto sul rinnovamento e sull’ingaggio di giovani atleti come Tao Geoghegan, vincitore dell’ultimo Giro d’Italia.
Per la Ineos corre anche uno dei migliori ciclisti italiani in attività: Filippo Ganna, colui con cui la squadra potrebbe tentare di stabilire un nuovo record dell’ora, una cosa che sta al ciclismo così come la maratona sta alla corsa.
Al Giro d’Italia, però, la squadra non si chiamava, come al solito, Ineos, bensì Ineos Grenadiers, dal nome di un imponente 4×4 prodotto dalla Ineos: che sì, fa anche automobili (e se vi sembra strano che ci sia il nome di un’auto sulle maglie di alcuni ciclisti, già negli anni Sessanta Eddy Merckx correva per la Peugeot-BP-Michelin).
La Formula 1
Anche nel più importante e avanzato campionato automobilistico al mondo, Ineos ha deciso di entrare dal portone principale, per vincere. Da inizio 2020 l’azienda petrolchimica è infatti partner principale della scuderia di Formula 1 Mercedes-AMG Petronas, che ha vinto gli ultimi sette Mondiali e per la quale corre il britannico Lewis Hamilton, che di quei sette ne ha vinti sei.
Ineos però raramente si accontenta di essere solo sponsor, e allora da qualche mese l’azienda è diventata proprietaria di un terzo della società che gestisce la squadra di Formula 1, prendendo il suo 33 per cento direttamente da Daimler, l’azienda automobilistica che controlla Mercedes. Ed è stato scritto – sebbene non ci sia ancora niente di ufficiale – che Ineos potrebbe essere intenzionata ad aumentare ulteriormente la sua quota, per portarla oltre il 50 per cento.
La vela
La Coppa America di vela è il più antico trofeo sportivo al mondo: esiste dal 1851 e da allora non è mai stata vinta da una imbarcazione del Regno Unito, che pure fu tra i fondatori della competizione. Ineos decise di investire in una barca che provasse a vincerla nel 2018, associandosi fin da allora con Ben Ainslie, il velista più vincente di sempre, con quattro ori olimpici e vincitore nel 2013 di una Coppa America (quando però faceva parte del team velico statunitense BMW Oracle Racing). Si calcola che Ineos abbia investito nel progetto almeno 125 milioni di euro.
Ci sono stati problemi perché Ratcliffe provò a chiamare la squadra “Team GB”, che però è un nome ufficiale che può usare solo l’associazione olimpica britannica. E allora alla fine Ratcliffe decise di chiamarla Team UK, dicendo che secondo lui tra l’altro quest’ultimo era «un nome molto più bello». Al momento si sta disputando la Prada Cup, la competizione (a cui partecipa anche l’italiana Luna Rossa) il cui vincitore sfiderà il Team New Zealand per la Coppa America. Il Team UK, dato come largamente sfavorito a inizio competizione, ora è largamente favorito per vincere la Prada Cup e si pensa possa anche avere buone possibilità per vincere la Coppa America.
Passione, pubblicità o sportwashing?
Sono calcoli difficili da fare, ma si pensa che in questi ultimi anni tra calcio, motori, biciclette, vela e maratona Ineos abbia speso una cifra vicina al mezzo miliardo di euro, e c’è l’idea che voglia – e soprattutto possa permettersi – di spenderne molti altri: si parla per esempio della possibilità (smentita da Ratcliffe) che Ineos compri una squadra della Premier League inglese. Come già accennato, Ratcliffe dice di farlo perché può e perché gli va: «In Ineos abbiamo profitti annui tra i 6 e i 7 miliardi» disse Ratcliffe nel 2019 «che c’è di male a spenderne un po’ in sport, belle sfide e belle persone?». E Fran Miller, amministratore delegato di Ineos Sports (e quindi il tramite tra tutti i dipartimenti sportivi e Ratcliffe, che comunque ha costanti riunioni con i capi di ogni squadra) disse al Wall Street Journal «non c’è una chiara direzione strategica che ci ha portati alle scelte che abbiamo fatto; Jim [Ratcliffe] è un passionale e in questa fase della sua vita sta facendo scelte basate su quello che lo diverte, lo interessa e gli sembra bello fare».
In effetti, gli investimenti sportivi di Ineos sono alquanto diversificati. Ci sono un paio di sport semplici, per tutti e da fare all’aria aperta come corsa e ciclismo, un paio di squadre di calcio e un paio di sport di certo più tecnici e tecnologicamente complessi come vela e automobilismo. Tante pratiche sportive in cui il tifo è importante, e però due squadre per cui è difficile tifare se non si è di quella città lì. Dei casi in cui si prova a fare qualcosa di difficilissimo e che nessuno ha mai fatto prima, come con la vela e la maratona, e altri in cui si prende il meglio sul mercato, come nel ciclismo e nella Formula 1.
Certe sponsorizzazioni fanno senza dubbio vendere più prodotti: è il caso della 4×4 Ineos Grenadiers. Ed è anche chiaro che a un’azienda petrolchimica imparare e provare cose su un’auto da Formula 1 può tornare comodo. Ed è probabile che certi investimenti di Ineos siano in effetti guidati dalla disponibilità e dalla passione di Ratcliffe.
Ma c’è anche chi pensa che la ragione più profonda sia – finalmente ci torniamo – lo sportwashing, che è una rielaborazione sportiva di una pratica nota come greenwashing, che fa riferimento al modo con cui certe aziende, non particolarmente ecologiche nelle loro pratiche, annunciano piccoli cambiamenti “verdi”, che però non cambiano granché il loro impatto ambientale. A questo proposito, c’è chi fa notare che il Team Ineos corse la sua prima gara ciclistica in Yorkshire, proprio nei giorni e nei luoghi in cui si parlava molto delle attività di fracking dell’azienda.
Allo stesso tempo, però, si può sostenere che più Ineos spenderà e più vincerà, maggiori saranno le attenzioni di sempre più persone verso le altre attività dell’azienda. Difficilmente qualcuno smette di tifare una squadra di calcio perché non condivide quel che fa chi la possiede, ma di certo quel che fa chi la possiede è una cosa di cui qualcuno parla. Interrogato sulla questione, Ratcliffe disse: «Nemmeno lo capisco bene, cosa sia il greenwashing».