Cos’è andato storto a FICO
Il parco tematico agroalimentare di Bologna sta progettando un rilancio per quando finirà l'epidemia, che si è aggiunta a diversi problemi strutturali
di Isaia Invernizzi
Nella homepage del sito di FICO Eataly World, il parco tematico dedicato al settore agroalimentare aperto a Bologna nel 2017, compare la scritta “Nutriamo una grande fiducia”. FICO è chiuso a causa del coronavirus, ma non è fermo: la settimana scorsa gli azionisti – Eataly e Coop Alleanza 3.0 – hanno approvato un nuovo piano strategico, che introduce il biglietto a pagamento, e prevede un aumento di capitale di cinque milioni di euro per rilanciare il parco dopo due anni molto difficili.
Secondo i piani e le speranze, entro i prossimi tre anni ci sarà una ripresa con un aumento del numero di visitatori e del fatturato in linea con le aspettative fissate prima dell’apertura. Ma per tanti motivi, tra cui l’incertezza dovuta all’epidemia, non sarà affatto facile rispettare la previsione di 6 milioni di visitatori all’anno. La priorità adesso sarebbe riaprire a Pasqua, anche se tutto dipenderà dall’andamento dei contagi e dalle misure restrittive decise dal governo.
Al netto di tutto quello che è successo nel 2020, FICO dovrà affrontare e risolvere i limiti originari del progetto: la distanza dal centro di Bologna e i collegamenti insufficienti, lo scarso richiamo internazionale, ma anche le diffidenze dei bolognesi che non sembrano avere mai amato un luogo che considerano ancora estraneo rispetto alla città.
Cosa è FICO
FICO è l’acronimo di Fabbrica Italiana COntadina. È un grande parco tematico aperto a novembre 2017 e dedicato al settore agroalimentare e alla gastronomia. Durante gli anni dello sviluppo del progetto, dal 2012 al 2015, era stato definito la “Disneyland del cibo”. All’interno ci sono 40 fabbriche alimentari dove i visitatori possono vedere come si lavorano carne, formaggi, pasta e olio; 45 tra ristoranti e chioschi di street food; novemila metri quadrati di mercato e botteghe; due ettari di campi e stalle con animali. Da fine 2018 è stato aperto anche un “luna farm”, un luna park a tema contadino.
FICO è stato costruito su una porzione dell’enorme area del CAAB, il centro agroalimentare di Bologna, un grande mercato all’ingrosso nato nel 2000 e che presto si era rivelato sovradimensionato. I promotori di FICO sono il CAAB, il Comune di Bologna e Eataly, la catena di distribuzione e ristorazione fondata da Oscar Farinetti.
Nonostante sia conosciuto come FICO, infatti, il nome ufficiale del parco è “FICO Eataly World”. «FICO avrà una forte attrattività per il turismo, in particolare per i giovani e le famiglie» disse a fine 2013 il sindaco di Bologna Virginio Merola. «Sarà un luogo nel quale si potrà comprendere come nasce il cibo italiano, a partire da Bologna e dall’Emilia-Romagna, che interesserà la gastronomia del nostro paese. FICO vedrà una forte connessione con le attività delle nostra città: culturali, commerciali e di promozione turistica».
L’operazione immobiliare
Per realizzare il parco fu costituito un fondo immobiliare chiamato PAI, Parchi agroalimentari italiani, e gestito da Prelios Sgr, una società di gestione del risparmio. Il CAAB, partecipato all’80% dal comune di Bologna, conferì nel fondo l’area e la struttura del mercato all’ingresso, valutate 55 milioni di euro. Il valore complessivo dell’investimento per la costruzione di FICO fu di circa 140 milioni di euro, più 23 milioni per realizzare un albergo con 200 camere, attualmente in costruzione.
Oltre al CAAB e al fondo immobiliare aderirono altri 25 azionisti, tra cui molti enti di previdenza professionali e cooperative, portando il plafond complessivo a 400 milioni di euro. La gestione dell’area fu quindi affidata a Eatalyworld srl, società partecipata da Eataly e da Fico.Op Srl, controllata da Coop Alleanza 3.0.
FICO, insomma, è più di una semplice operazione immobiliare: ha previsto un impegno della politica, con il comune di Bologna in prima linea, nonché del potente sistema cooperativo emiliano. Anche per questo motivo adesso gli sforzi per rilanciare FICO sono sempre più intensi.
Capire le prospettive economiche iniziali è importante per inquadrare i risultati degli ultimi anni. Prima dell’apertura era stato previsto un flusso di 6 milioni di visitatori l’anno, e un fatturato di 90 milioni. Finora l’ingresso è stato gratuito e la società ha guadagnato non dagli affitti, ma dalle royalties chieste ad aziende e negozi presenti: il 20% sulle vendite al dettaglio, il 30% sugli incassi nei ristoranti e nei chioschi. Il modello di affari e il suo successo, quindi, dipendono dal numero di visitatori.
Il progetto di FICO venne presentato con entusiasmo a Milano durante l’ultima settimana di Expo 2015. «FICO raccoglierà l’eredità di Expo» disse in quell’occasione il presidente di Regione Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini. Merola disse di aspettarsi «circa 6 milioni di visitatori, 4 dalla regione Emilia-Romagna, uno dalle altre zone del paese e uno dal resto d’Europa e del mondo, un’occasione per valorizzare il nostro territorio che può avere ricadute importanti sull’economia».
I problemi dopo il primo anno
Nel primo anno di apertura Eatalyworld srl registrò un utile di soli 19mila euro, ma i veri problemi arrivarono nel 2019 con il numero di visitatori che si fermò a 1,6 milioni, e con le perdite nette di esercizio pari a 3,14 milioni di euro. Il valore della produzione calò dai 42,50 milioni del 2018 ai 32,31 milioni del 2019. Anche per il 2020 si stima una perdita di 3 milioni di euro, anche se sull’andamento dell’ultimo anno hanno inciso soprattutto gli effetti dell’epidemia.
La relazione sulla gestione firmata a fine maggio 2020 dall’allora amministratrice delegata e oggi presidente Tiziana Primori è molto schietta e allo stesso tempo utile per capire come mai FICO finora non ha funzionato. Uno dei motivi è che il parco non attira i bolognesi.
Nella relazione, riportata dal Corriere di Bologna, si legge che «i visitatori “italiani fuori Bologna” e stranieri sono aumentati ma non abbastanza per sopperire alla perdita di presenze dei bolognesi, calati dopo il primo periodo di novità. L’analisi dei dati relativi ai visitatori ha mostrato un basso indice di fedeltà, seppur influenzato dai visitatori stranieri, per i quali solo il 7% è venuto a Fico più di una volta. La maggior parte dei clienti persi sono bolognesi, che calano del 32%». Le ricerche di mercato commissionate dalla società nel 2019 hanno rivelato che il parco non sembra avere una vera identità. «È spesso percepito dai visitatori come un centro commerciale con vendita e somministrazione di prodotti alimentari», dice la relazione.
In effetti non si può dire che gli abitanti di Bologna abbiano accolto con entusiasmo l’apertura di FICO. Ci vanno poco soprattutto perché Bologna offre proposte gastronomiche di alto livello nel centro della città, che grazie alla sua cucina riesce ad attirare milioni di turisti ogni anno. Tra le vie del centro si può trovare di tutto, perfino troppo secondo molti abitanti, e a prezzi concorrenziali rispetto a quelli proposti dai ristoranti di FICO.
Un altro dei limiti di FICO è la distanza dal centro della città e gli scarsi collegamenti. Fin dal 2017 la TPER, l’azienda che gestisce il trasporto pubblico a Bologna, creò una linea del bus dedicata chiamata linea F-Fico o “Ficobus”, con autobus che collegano ogni 30 minuti la stazione e il centro al parco tematico. I dati mostrano che il servizio è poco utilizzato: nel primo anno, infatti, sono stati comprati 123mila biglietti a fronte di 25.954 corse, quindi con una media di 4,8 biglietti validati a corsa su 148 posti disponibili sul bus.
Il problema dei trasporti era stato previsto nel 2016 da un illustre cittadino bolognese, l’ex presidente del Consiglio Romano Prodi, protagonista di un piccato scambio con Merola. «Deve partire la maestra elementare con la sua classe da Roma o da Milano e tornare a casa in giornata», disse Prodi nel 2016. Un dubbio legittimo, ma liquidato dal sindaco Merola con una battuta: «Grazie al Comune si farà un sistema di trasporti. Ringrazio tutti per i meravigliosi consigli, intanto sono io che ho trovato gli otto milioni per progettarlo. Grazie davvero, ma francamente non siamo così sprovveduti».
Il rilancio
Già lo scorso anno la società iniziò a pensare a un possibile rilancio. Il nuovo piano strategico è stato affidato a Stefano Cigarini, 48 anni, modenese, amministratore delegato di Cinecittàworld, il parco divertimenti del cinema di Roma, e anche ex vicepresidente Entertainment and Events della Ferrari con responsabilità su parchi e musei in giro per il mondo. La settimana scorsa Cigarini è stato nominato amministratore delegato di Eatalyworld srl, mentre Tiziana Primori è diventata presidente della società.
Il nuovo piano è stato pensato per i prossimi tre anni e sarà sostenuto grazie a un aumento di capitale da 5 milioni di euro garantito da Eataly e Coop Alleanza 3.0. In sostanza, la riprogettazione prevede di ridimensionare l’area di vendita per ampliare quelle legata al divertimento per le famiglie e ai congressi. Cigarini ha spiegato che «il nuovo FICO sarà un parco tematico che stimola i cinque sensi e coniuga passione per il cibo e divertimento, dove ogni visitatore potrà vivere esperienze memorabili: momenti di gioia per i bambini, di scoperta per gli adulti, di contatto con l’eccellenza del cibo italiano per i turisti, programmi educativi per le scuole e possibilità di coniugare business e relax per convegnisti e mondo degli affari. Idealmente, riapriremo il primo giorno dopo la fine dell’emergenza Covid».
Uno dei cambiamenti più radicali sarà l’introduzione di un biglietto a pagamento, di cui si sa ancora poco anche se la società garantisce che il prezzo sarà accessibile. Anche la dirigenza è cambiata: oltre a Cigarini, nel consiglio di amministrazione sono entrati Stefano Dall’Ara, direttore delle partecipate di Coop Alleanza 3.0, e Nicola Farinetti, figlio di Oscar Farinetti. Il nuovo piano strategico è stato approvato dagli azionisti del fondo PAI, che contano in un’uscita rapida dalla crisi per vedere presto i primi dividendi, previsti in origine entro il 2019.