Una canzone di Francesco Guccini
Le alpi, si sa, sono un muro di sasso
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90 anni fa oggi nacque Sam Cooke, che cantò grandi canzoni (e una su tutte) e poi morì in una sera sbagliata.
La citazione dei vari Lupin nella newsletter di ieri ha generato diverse risposte commosse e complici: come sanno gli esperti, il cartone di Lupin III ebbe alcune evoluzioni nella versione italiana (i nomi di Fujiko e Margot su tutti), ma la sigla “vera” per me è questa.
Tra un mese esce un disco nuovo dei Tindersticks, che intanto hanno pubblicato una ansiogena canzone di undici minuti.
È uscito il disco nuovo dei Rhye (su Spotify), e un nuovo singolo. Mi pare bello.
Invece quello di Ani DiFranco – della quale parlammo qui – esce la settimana prossima, e c’è fuori questa canzone.
Per l’archivio, non trascurerò di citare questa cover di It’s a sin dei Pet Shop Boys fatta dai poco significativi Years & Years: ma non ce n’era bisogno.
Il mio amico Giuseppe a cui piace la musica bella oggi mi ha passato questo valzer, bello, un po’ Endrigo: il giochino delle webcam (il telecomando è in basso a sinistra) è molto “internet 2001” ma è ipnotico. Lui è Andrea Laszlo De Simone, che si era fatto notare soprattutto con questa (valzer, di nuovo).
Emilia
Le alpi, si sa, sono un muro di sasso.
Un giorno parliamo seriamente di incipit di canzoni, dando loro l’importanza che meritano come si fa con gli incipit dei libri. “Le alpi, si sa, sono un muro di sasso”, è un po’ il “Chiamatemi Ismaele” degli incipt delle canzoni. E certo, parliamo di uno che se si fa una classifica dei versi si porta via un quarto delle prime cento posizioni.
La mia canzone preferita di Guccini è banalmente la canzone preferita di tantissimi fan di Guccini: non è nemmeno “preferita” per scelta, ne sono ostaggio. Mi salta in mente sempre, e soprattutto ogni volta che vedo scendere un tramonto: circostanza che si verifica quasi quotidianamente, come sapete. Basso, il sole, all’orizzonte.
Ma non parlo di quella, stasera, che è tutto fuorché una canzone quieta e notturna.
Le Alpi, si sa, sono un muro di sasso
Una diga confusa, fanno tabula rasa
Di noi che qui sotto, lontano, più in basso
Abbiamo la casa
Emilia l’aveva scritta con Lucio Dalla, e lui si era aggiunto a cantarla con Dalla e Gianni Morandi in quel loro disco insieme del 1988: ma soffriva di una frivolezza un po’ sintetica propria di quel disco e della partecipazione di Morandi. E poi quasi nessuna canzone ha mai beneficiato dei duetti, figuriamoci dei trietti. Lui capì che ci si poteva fare ben altro e la mise a chiudere il suo disco del 1990 (che era molto bello). È la sintesi migliore di un’inclinazione di Guccini alle descrizioni geografiche e meteorologiche, e una celebrazione che riconosce sia la fondatezza dei luoghi comuni (letteralmente) che l’esistenza di luoghi non comuni.
Emilia di facce, di grida, di mani
Sarà un grande piacere
Vedere in futuro, da un mondo lontano
Quaggiù sulla terra una macchia di verde
E sentire il mio cuore che batte più piano
E là dentro si perde.