Tra quanto vedremo gli effetti dei vaccini contro il coronavirus?
Sarà necessario ancora qualche mese, ma i primi indizi da Israele - il paese che ha vaccinato più di tutti - sono piuttosto incoraggianti
In poco più di un mese in tutto il mondo sono stati somministrati circa 57 milioni di dosi di vaccini contro il coronavirus. Saranno necessarie diverse settimane prima di comprendere come le vaccinazioni stiano influendo sulla diffusione della pandemia, ma qualche primo elemento incoraggiante arriva da Israele, il paese che finora ha condotto più vaccinazioni di tutti rispetto alla popolazione.
La campagna vaccinale in Israele è iniziata il 19 dicembre 2020 ed è proseguita velocemente, sia per merito di una buona organizzazione sia grazie a un accordo stretto tra il governo israeliano e Pfizer-BioNTech per ricevere altre forniture, in cambio di dati più articolati rispetto al solito sulle vaccinazioni, utili per effettuare ulteriori analisi sul vaccino. In un mese, Israele ha vaccinato circa un quarto della popolazione totale (9 milioni): la maggior parte ha ricevuto una dose ed è in attesa della seconda somministrazione, mentre il resto ha già completato il ciclo di due dosi che dovrebbe garantire il massimo della protezione.
Il vaccino di Pfizer-BioNTech, come altri vaccini autorizzati o in attesa di autorizzazione, nel corso dei test clinici effettuati nei mesi scorsi aveva mostrato di essere efficace al 52 per cento dopo la prima somministrazione, mentre a una settimana circa dal ricevimento della seconda dose l’efficacia raggiunge il 95 per cento. Per ora sappiamo che il vaccino protegge dalla COVID-19, evitando che si sviluppino i sintomi della malattia, mentre non è ancora chiaro se e in che misura renda meno contagiosi, riducendo quindi i rischi che un vaccinato eventualmente infetto possa contagiare qualcun altro.
Un gruppo di ricercatori israeliani ha realizzato per conto di Clalit, uno dei principali gestori dei servizi sanitari in Israele, un’analisi preliminare sugli effetti della vaccinazione. Per lo studio sono stati messi a confronto due gruppi di 200mila ultra sessantenni: il primo aveva ricevuto almeno una dose, mentre il secondo non era stato ancora vaccinato. Per ogni gruppo i ricercatori hanno tenuto traccia dei test svolti per verificare l’eventuale positività di chi aveva sviluppato sintomi tali da far sospettare una COVID-19, o nel caso in cui fosse entrato in contatto diretto con individui poi risultati positivi.
Nei primi 12 giorni, l’incidenza di nuovi casi positivi tra i due gruppi è stata pressoché uguale, mentre a partire dal tredicesimo giorno si sono iniziate a osservare le prime differenze. Già al giorno 14 l’incidenza di nuovi casi positivi tra i vaccinati era diminuita di un terzo rispetto all’altro gruppo. I ricercatori si aspettavano una diminuzione più marcata, considerati gli esiti dei test clinici condotti nei mesi scorsi, ma hanno comunque ricordato che tra i vaccinati molti dovevano ricevere la seconda dose, che fa aumentare sensibilmente il livello di protezione.
La ricerca non offre per ora molti elementi per determinare se il vaccino riduca anche il rischio di contagio. I test per riscontrare l’eventuale positività sono stati effettuati nella maggior parte dei casi su individui che avevano già sviluppato sintomi. Il fatto che ce ne siano stati meno nel gruppo dei vaccinati sembra confermare la capacità del vaccino di proteggere dalla COVID-19, mentre fornisce meno informazioni sul tema della trasmissione.
La valutazione dell’andamento dei ricoveri in Israele può fornire qualche indicazione in più sugli effetti della vaccinazione, anche se ci sono molte altre variabili da tenere in considerazione. Nel paese è per esempio in corso un lockdown piuttosto severo, che tende a ridurre i nuovi contagi e quindi a rallentare la diffusione dell’epidemia. Nelle ultime settimane Israele ha inoltre dovuto fare i conti con B.1.1.7, la cosiddetta “variante inglese”, che rende sensibilmente più contagioso il coronavirus e contribuisce quindi a fare aumentare i nuovi casi positivi.
Nei primi giorni di gennaio aveva ricevuto il vaccino il 40 per cento circa degli ultra sessantenni di Israele. La quantità di individui con sintomi gravi appartenenti a questa fascia era aumentata del 30 per cento circa in ciascuna delle due settimane prima del 9 gennaio, mentre ha fatto rilevare un aumento di solo il 7 per cento nella settimana terminata il 16 gennaio.
Se invece si prende in considerazione la fascia di età tra i 40 e i 55 anni, tra i quali le vaccinazioni sono ancora marginali (anche in Israele si è cominciato dagli individui più a rischio, compresi gli anziani), si nota una minore variazione con i casi con sintomi gravi in crescita del 20-30 per cento in ciascuna delle tre settimane.
L’analisi, è bene ricordarlo, si basa su dati parziali ed è stata svolta a poco più di un mese dall’inizio della vaccinazione: dovrebbe offrire spunti e dati più interessanti tra qualche settimana. Israele confida intanto di riuscire a vaccinare l’80 per cento della popolazione adulta entro la fine di febbraio, condizione che dovrebbe consentire di rilevare risultati molto più concreti a partire da metà marzo circa. Il restante 20 per cento non potrà essere vaccinato o per allergie e altri motivi di salute, o per via della rinuncia alla vaccinazione (che è su base volontaria).
Non saranno nemmeno vaccinati i bambini, perché al momento né il vaccino di Pfizer-BioNTech né gli altri sono autorizzati per le somministrazioni tra i più giovani. Questa fascia della popolazione è molto meno esposta ai rischi della COVID-19, ma può comunque contrarre il coronavirus e trasmetterlo. Un ritardo nella vaccinazione potrebbe rendere meno efficaci le campagne vaccinali, nel caso in cui si verificasse che i vaccini prevengono anche la diffusione del contagio. Difficilmente i test clinici che riguardano i bambini saranno completati prima della fine dell’estate ed è probabile che si debba attendere il 2022 per le prime autorizzazioni.
Per osservare gli effetti delle vaccinazioni in paesi con più abitanti (l’Italia ne ha 7 volte tanti rispetto a Israele) saranno necessari ancora diversi mesi, sempre ammesso che le campagne vaccinali riescano a mantenere i ritmi stabiliti dai governi. In questi giorni Pfizer-BioNTech ha temporaneamente diminuito le forniture a buona parte dei paesi europei, a causa di alcune attività per potenziare il proprio sito produttivo in Belgio. L’autorizzazione di altri vaccini, come quello di AstraZeneca e di Johnson & Johnson, dovrebbero consentire di accelerare le campagne vaccinali in primavera, quando inizieranno le somministrazioni di massa per centinaia di milioni di persone.