La disputa archeologica sul disco di Nebra

È considerato la più antica rappresentazione del cielo ma gli esperti non riescono a mettersi d'accordo sull'età esatta

Il disco di Nebra esposto durante una mostra a Berlino, il 20 settembre 2018 (Wolfgang Kumm/dpa, ANSA)
Il disco di Nebra esposto durante una mostra a Berlino, il 20 settembre 2018 (Wolfgang Kumm/dpa, ANSA)

Dal 2002 nel Museo della preistoria di Halle, in Germania, è conservato un antico disco di metallo sulla cui superficie ci sono applicazioni in oro che sembrano raffigurare il Sole, la Luna crescente e alcune stelle, tra cui le Pleiadi, per chi si intende di astronomia. Per molti archeologi quest’oggetto, chiamato disco di Nebra, è la più vecchia rappresentazione del cielo mai trovata. C’è tuttavia una disputa in corso su quanto sia effettivamente vecchio. L’opinione più condivisa è che abbia circa 3.600 anni e risalga quindi all’Età del Bronzo. Secondo alcuni archeologi invece avrebbe mille anni in meno e sarebbe dunque stato realizzato nell’Età del Ferro.

La ragione per cui ci sono due diverse teorie sull’età del disco ha a che fare con il modo in cui fu ritrovato: non durante uno scavo archeologico, ma da due tombaroli che poi vendettero il disco e altri reperti nel mercato nero degli oggetti antichi. Proprio per questo inizialmente c’era chi pensava che il disco fosse un falso. Dopo che le autorità tedesche lo ebbero recuperato, i tombaroli raccontarono di averlo trovato su una collina vicino alla cittadina di Nebra, da cui il disco prese il nome, insieme ad altri oggetti: due spade, due asce, uno scalpello e alcuni bracciali. Successivamente furono fatti degli scavi nel sito indicato dai tombaroli per confermare le loro affermazioni e così si stimò che il disco risalisse all’Età del Bronzo.

Come ha raccontato di recente il New York Times però non tutti sono d’accordo. La disputa sull’età del disco va avanti da anni ed è stata ravvivata da due articoli pubblicati tra settembre e novembre. Il primo, uscito sulla rivista scientifica Archäologische Informationen, è stato scritto da Rupert Gebhard, direttore della Collezione archeologica della Baviera, e Rüdiger Krause, professore dell’Università di Francoforte: gli studiosi che pensano che il disco di Nebra risalga all’Età del Ferro.

Secondo loro, il disco non fu trovato a Nebra, ma in un altro sito archeologico: i tombaroli avrebbero mentito per farlo sembrare più antico e dunque di maggiore valore. Questa teoria è in parte basata su alcune affermazioni di uno dei due tombaroli riportate in un libro. Dopo la pubblicazione dell’articolo di settembre, sarebbe stata confermata, hanno raccontato Gebhard e Krause, da alcuni commercianti del mercato nero di antichità. I due studiosi sono convinti che dato che il disco ha ormai una grande importanza culturale per la Sassonia-Anhalt, il Land dove si trovano Nebra e Halle, le opinioni critiche riguardo al suo luogo di ritrovamento non ricevono abbastanza credito.

I principali esponenti della teoria dell’Età del Bronzo sono invece Ernst Pernicka dell’Università di Tubinga e Harald Meller, che è il direttore del museo dove il disco è conservato e guidò gli scavi sulla collina di Nebra. Hanno confutato la teoria di Gebhard e Krause in un articolo uscito a novembre sulla rivista Archaeologia Austriaca, e sottolineano prima di tutto che le voci secondo cui il disco sarebbe stato trovato in un diverso sito archeologico vanno contro le testimonianze dei tombaroli durante il processo a loro carico.

Pernicka e Meller hanno anche una teoria sul perché il disco sarebbe stato trovato insieme ad altri oggetti di vario genere: non furono gettati via come rifiuti, ma sarebbero stati sepolti insieme durante una cerimonia di sepoltura rituale senza il corpo del morto o come offerta alle divinità. Esistono numerose prove archeologiche secondo cui nell’Età del Bronzo venivano fatte simili deposizioni di oggetti, anche se non sappiamo bene perché.

Comunque le prove a sostegno dell’origine del disco di Nebra nell’Età del Bronzo sono varie. Quella più “scientifica” è l’esame della datazione con il carbonio 14 fatto su un piccolo pezzo di corteccia di betulla trovato nell’impugnatura di una delle spade che sarebbero state trovate insieme al disco di Nebra – la datazione con il carbonio 14 si può eseguire solo su materiali di origine organica, come ossa e legno, dunque non direttamente sul disco. Questo pezzo di corteccia risale al 1600 a.C., dunque all’Età del Bronzo. «A meno che non si possa provare che i tombaroli assemblarono un insieme di oggetti scelti con l’intenzione di generare una disputa intellettuale tra gli specialisti, l’interpretazione più verosimile è che i due oggetti [la spada e il disco, ndr] furono trovati insieme», ha commentato al New York Times Bettina Arnold, archeologa dell’Università del Wisconsin che non è coinvolta nella disputa tra i colleghi tedeschi.

Un’altra analisi scientifica fatta per confermare che il disco fu trovato a Nebra è lo studio di campioni di terra raccolti nel sito archeologico. Nel terreno sono state trovate particolari concentrazioni di oro e rame, che secondo Pernicka sono dovute al fatto che per millenni il disco rimase sepolto lì, diffondendo nel suolo parte delle sue componenti. Per Gebhard e Krause però bisognerebbe fare studi più accurati per confermare quest’idea.

Il disco di Nebra esposto nel museo di Halle, il 30 settembre 2013 (EPA/HENDRIK SCHMIDT, ANSA)

I due gruppi di archeologi comunque sono in disaccordo anche sul significato delle figure rappresentate sul disco, e su questo aspetto ci sono meno certezze. Ad esempio, ci sono diverse idee su cosa rappresenti il semicerchio nella parte inferiore del disco, che fu aggiunto sull’oggetto in un momento successivo alla sua realizzazione. Secondo molti archeologi, rappresenta la “barca solare”, un vascello mitologico presente nella religione degli antichi egizi – la cui civiltà ebbe origine intorno al 3900 a.C. Il fatto che sia rappresentata su un disco trovato in Germania sarebbe una prova della diffusione delle idee delle civiltà mediterranee nell’Europa dell’Età del Bronzo.

Secondo Gebhard e Krause invece il semicerchio non rappresenta la barca solare, perché ha una forma arrotondata: altre rappresentazioni di questa figura trovate in diversi siti archeologici, dall’Egitto alla Scandinavia, mostrano barche più piatte. I due studiosi ritengono inoltre che il cerchio nella parte centrale del disco non sia il Sole, ma la Luna piena: l’accostamento di Luna piena e Luna crescente in mezzo a un cielo pieno di stelle sarebbe coerente con la visione del cielo che le culture europee avevano nell’Età del Ferro.

Altri archeologi hanno un’opinione del tutto diversa e ritengono che invece la rappresentazione del cielo sul disco sia simile a quella di altri reperti archeologici dell’Età del Bronzo. C’è poi chi pensa che sia difficile ricondurre le forme sul disco di Nebra sia a quello che sappiamo dell’Età del Bronzo sia a quello che sappiamo dell’Età del Ferro: per Maikel Kuijpers, studioso di preistoria dell’Università di Leida, nei Paesi Bassi, il problema con il disco di Nebra è che non è possibile ricondurlo a un preciso periodo storico solo guardandolo, perché non esistono oggetti simili con cui confrontarlo.

Per questo, anche a prescindere dalla sua vera età, ci sono ancora molte cose che non sappiamo del disco. L’unica cosa certa è l’importanza che ha assunto come reperto archeologico. Dal 2013 fa parte del patrimonio mondiale dell’Unesco ed è stato una fonte d’ispirazione per il logo della futura missione spaziale di Matthias Maurer, astronauta tedesco, che quest’anno andrà sulla Stazione Spaziale Internazionale.

(ESA)