Cosa vuole fare adesso Conte
Con i suoi alleati di governo ha deciso di cercare di allargare la maggioranza, e circolano ipotesi su chi vorrebbe convincere
Se la crisi di governo non è mai stata formalmente aperta, quella politica non sembra ancora essersi risolta. La maggioranza ottenuta da Giuseppe Conte alla Camera, ma soprattutto quella ottenuta al Senato, è troppo risicata per garantire all’attuale esecutivo la stabilità e la concreta operatività. Cosa può succedere da qui in poi? E che cosa se ne sta dicendo?
Fino a qui, molto brevemente
Italia Viva, il partito di Matteo Renzi che aveva accettato di sostenere Conte nel 2019, ha ritirato due ministre, un sottosegretario e il sostegno al governo, che ha rischiato di perdere la maggioranza. Il presidente del Consiglio non si è dimesso, ma ha scelto di parlamentarizzare la crisi, di andare cioè alle Camere e di verificare, attraverso un voto di fiducia, la sussistenza o meno di una maggioranza.
Conte ha ottenuto la fiducia alla Camera e poi al Senato dove però non ha raggiunto la maggioranza assoluta, fermandosi a 156 voti su 161. Di conseguenza, rischierà di andare in minoranza in ogni momento e avrà diversi problemi nelle commissioni. Mercoledì Conte ha discusso con i propri alleati la strategia da seguire nei prossimi giorni, ed è andato al Quirinale per riferire al presidente della Repubblica Sergio Mattarella sulla crisi politica.
Nel frattempo
Nel frattempo, la risoluzione che autorizza uno scostamento di bilancio di 32 miliardi di euro è stata approvata: alla Camera e anche al Senato, con 291 sì, nessun contrario e un astenuto. Lo scostamento di bilancio permette al governo di indebitarsi più del previsto nel triennio 2020-2022, per finanziare il quinto decreto sugli aiuti economici per contrastare gli effetti della pandemia, il cosiddetto “Ristori”, che dovrebbe essere approvato la prossima settimana.
Non sono comunque una sorpresa i numeri ottenuti in aula sullo scostamento, e non dicono molto su come potrebbero andare le cose nei prossimi giorni: sia le opposizioni che Italia Viva avevano già annunciato il loro voto a favore. Indicativo sarà invece il voto sulla relazione annuale in materia di Giustizia previsto per il 26 gennaio alla Camera e per il giorno dopo al Senato. Matteo Renzi ha già fatto sapere che voterà contro.
Cosa vorrebbe Conte
La strada che Conte sembra aver scelto per tentare di proseguire con l’attuale legislatura è quella di rafforzare la maggioranza, considerando i 156 voti ottenuti con la fiducia al Senato solo una base di partenza. Vorrebbe insomma convincere a sostenere il governo altri deputati e senatori tra quelli che lunedì e martedì hanno votato la sfiducia o si sono astenuti. L’operazione, per riuscire, dovrebbe però avere una certa solidità e concretizzarsi nella costituzione di un gruppo, con il quale poter trovare un accordo su un nuovo patto di legislatura. Conte insomma vorrebbe dei patti chiari per un’amicizia lunga, almeno nelle sue ambizioni, per ridurre il rischio che questi nuovi parlamentari tolgano tra un po’ la fiducia al governo. I giornali, in queste ore, stanno usando l’espressione “quarta gamba”. Sui tempi necessari a costruire e chiudere quest’operazione circolano ipotesi che vanno da cinque a dieci giorni o fino alle due settimane.
Secondo cronisti e agenzie, sarebbe proprio questa la strategia presentata ieri da Conte al presidente della Repubblica. L’incontro (che è stato “di cortesia” e informativo, ma che avrebbe anche potuto non avere luogo) è durato meno di un’ora, e non è stato seguito da alcun comunicato da parte del Quirinale. Sul Corriere della Sera, Marzio Breda – considerato il quirinalista più vicino a Mattarella – scrive oggi che «data la consegna quirinalizia del silenzio, è più facile mettere in fila domande che suggerimenti, da parte di Mattarella. Che è di sicuro assillato dal problema della governabilità del paese».
Chi, dunque?
Conte, intervenendo negli ultimi giorni in Parlamento, ha fatto esplicito riferimento alla nascita di un’area moderata di stampo europeista, capace di accogliere socialisti, centristi e popolari. Si tratta però di famiglie politiche che sono poco numerose in Parlamento e che sembrano difficilmente conciliabili. Il Corriere della Sera scrive oggi che «il perno centrale di questa formazione potrebbe essere il Centro democratico di Bruno Tabacci. Alla Camera — dove sono necessari almeno 20 deputati per costituire un gruppo — ha già 13 membri. Al Senato non c’è ancora, ma il simbolo potrebbe essere messo a disposizione». Ma chi ne farebbe parte?
Conte potrebbe cercare il consenso di singoli parlamentari del Gruppo Misto che decideranno apertamente di sostenerlo, o potrebbe cercarlo nel centrodestra più moderato, dall’UDC a “Cambiamo”, il partito del presidente della Liguria Giovanni Toti, fino ad arrivare alla stessa Forza Italia. Sui giornali circolano vari nomi e voci, ma nessuna è stata per ora confermata: si citano Barbara Masini (che continua a smentire), Luigi Vitali, Anna Carmela Minuto e Maria Virginia Tiraboschi, per Forza Italia, ma anche Paola Binetti e Antonio Saccone per l’UDC.
A sostegno di Conte potrebbero anche arrivare alcuni “dissidenti” di Italia Viva (alcuni retroscena dicono che Renzi è sicuro di perdere «tre o quattro» senatori e anche più deputati). Il nome che si fa di più in queste ore è comunque quello del senatore Eugenio Comincini, che si era astenuto sulla fiducia al governo Conte, in linea con il partito, ma che subito dopo aveva fatto sapere di non essere disposto ad andare all’opposizione.
Conte potrebbe far leva su due questioni, per cercare di allargare la maggioranza. Potrebbe sfruttare la delega ai servizi segreti (che ha deciso di lasciare) e i posti di governo lasciati liberi dalle dimissioni delle ministre Teresa Bellanova, Elena Bonetti e del sottosegretario Ivan Scalfarotto. E potrebbe anche sfruttare, scrivono i giornali, qualche possibile spacchettamento dei singoli ministeri, in modo da creare nuovi incarichi da assegnare a chi passerà alla maggioranza. Inoltre, durante i suoi discorsi in Parlamento, Conte ha più volte citato una nuova legge elettorale in senso proporzionale, che alcuni osservatori hanno definito un “gancio politico” proprio per quei piccoli partiti a cui il presidente del Consiglio sta chiedendo aiuto, e che alle prossime elezioni verrebbero penalizzati da un sistema maggioritario.
Ieri in un’intervista a Repubblica il ministro della Cultura Dario Franceschini, del Partito Democratico, aveva invitato esplicitamente i parlamentari più moderati del centrodestra a sostenere Conte, dicendo di avere in mente «diversi moderati di centrodestra, dall’UDC a Forza Italia alla componente di Romani e Quagliariello. In tutta Europa i leader del PPE non capiscono questa anomalia, che vede solo in Italia le forze che aderiscono alla loro famiglia politica alleate dei sovranisti antieuropei». E ancora, riferendosi a Forza Italia: «Credo, anzi so, che ci sono molti forzisti interessati».
Franceschini aveva infine precisato che se si raggiungessero 161 voti al Senato, la soglia per la maggioranza assoluta, «la sostanza non cambierebbe. Un governo è forte se può contare almeno su 170 senatori». In base a questa cifra, Conte dovrebbe dunque raccogliere più o meno quindici senatori, oltre a quelli che hanno votato la fiducia dopo la prima operazione di convincimento in vista del voto dell’altro ieri.
E il centrodestra?
Dopo il voto di fiducia al Senato, i leader dell’opposizione di centrodestra (Matteo Salvini, Lega; Giorgia Meloni, Fratelli d’Italia; Antonio Tajani, Forza Italia) hanno chiesto l’intervento di Mattarella, e un colloquio. Saranno ricevuti al Quirinale giovedì pomeriggio alle 17.
Ieri, dopo essersi confrontati in una riunione, hanno pubblicato una nota in cui parlano di «situazione insostenibile» e di «una minoranza di governo che continua la sfacciata e scandalosa compravendita di parlamentari, e che non si fa scrupoli a imbarcare chi, eletto col centrodestra, ha tradito l’impegno preso con gli elettori».