Stiamo cercando poco la “variante inglese” del coronavirus
Ed è un problema per capire se e quanto si sia diffusa fuori dal Regno Unito, dove ha causato un grande aumento dei casi positivi
Martedì 19 gennaio, la cancelliera tedesca Angela Merkel ha concordato con i presidenti degli stati federati un’estensione del lockdown in Germania fino al prossimo 14 febbraio, con l’adozione di ulteriori limitazioni per provare a ridurre la diffusione della pandemia. La quantità di nuovi contagi è diminuita negli ultimi giorni, ma Merkel ha spiegato che non si possono correre rischi, soprattutto in questa fase di diffusione della cosiddetta “variante inglese” (B.1.1.7), che rende il coronavirus più contagioso. Le preoccupazioni sulla diffusione in Europa della variante sono condivise da esperti e virologi, che in questi giorni hanno segnalato la necessità di tracciarne meglio la circolazione per isolarla più efficacemente. Il problema riguarda anche l’Italia, dove finora sono stati eseguiti pochi sequenziamenti per rilevare l’eventuale presenza della variante.
B.1.1.7
B.1.1.7 è ritenuta tra le principali responsabili del marcato aumento di nuovi casi positivi rilevati nel Regno Unito nelle ultime settimane. Solo nell’ultima settimana nel paese sono stati rilevati oltre 300mila nuovi contagi, e ci sono stati oltre 8.200 decessi riconducibili alla COVID-19 (in Italia negli ultimi sette giorni ci sono stati circa 81mila nuovi casi e oltre 2.800 morti).
Si ritiene che la variante sia fino al 50 per cento più trasmissibile rispetto alle altre in circolazione. Questa circostanza sembra spiegare perché si sia affermata così velocemente nel Regno Unito, con il marcato aumento dei nuovi casi, ed è anche il motivo per cui si parla di un rischio crescente per gli altri paesi europei.
B.1.1.7 rende più contagioso il coronavirus, mentre non ci sono ancora elementi chiari per sostenere che causi forme più gravi di COVID-19, o che renda meno efficaci i vaccini finora autorizzati. La maggiore contagiosità è comunque un fattore da non trascurare: implica che si ammalino molti più individui e che di conseguenza aumentino i ricoveri, con il rischio di portare al collasso i sistemi sanitari. In alcune zone del Regno Unito gli ospedali sono ancora sotto forte stress, al punto da offrire una minore qualità nell’assistenza.
La variante era stata notata dai ricercatori lo scorso autunno grazie alle analisi delle caratteristiche genetiche del coronavirus prelevato da alcuni individui, con l’ormai classico test molecolare (quello che chiamiamo “del tampone”). Le analisi avevano portato alla scoperta di B.1.1.7, ricondotta poi all’aumento significativo di nuovi casi positivi rilevato nella parte sud-orientale dell’Inghilterra e a Londra a fine 2020. Nelle settimane successive, la variante si sarebbe diffusa molto velocemente, spingendo il governo a decidere nuove limitazioni e lockdown.
Il Regno Unito e il sequenziamento
Non è certo se B.1.1.7 abbia avuto origine direttamente nel Regno Unito, mentre è chiaro il motivo per cui sia stata rilevata così massicciamente nel paese: i laboratori britannici sequenziano un’enorme quantità di campione, rispetto agli altri paesi. Semplificando molto, “sequenziare” un campione significa analizzare un campione per rilevare le caratteristiche del materiale genetico del coronavirus. È un passaggio successivo a quello del test molecolare, che nella sua forma base si limita a rilevare la presenza del materiale genetico del virus, ma senza analizzarne tutte le caratteristiche.
Il Regno Unito riesce a sequenziare molti campioni grazie a un consorzio, il COVID-19 Genomics UK Consortium (COG-UK), istituito nell’aprile del 2020 quando era diventata evidente l’importanza di tracciare le mutazioni del coronavirus, in modo da ricostruirne velocemente le evoluzioni e la diffusione. Il consorzio è stato finanziato con 20 milioni di sterline (quasi 23 milioni di euro) con fondi pubblici e risorse fornite dalla fondazione Wellcome Trust. Comprende buona parte delle principali università del paese ed è diventato un importante punto di riferimento in questi mesi di pandemia.
I sequenziamenti in Europa
Da quando è stata rilevata B.1.1.7 la prima volta, il 20 settembre 2020, nel Regno Unito sono stati effettuati quasi 102mila sequenziamenti, che hanno portato a rilevare quasi 17mila sequenze della variante. È una marcata incidenza per una versione del coronavirus in circolazione da poco tempo, ma i dati indicano anche quanto sia prolifica l’attività di analisi nei laboratori britannici rispetto al resto del mondo. (I dati sono raccolti dal GRINCH, Global Report Investigating Novel Coronavirus Haplotypes e possono variare o essere parziali, a seconda della disponibilità di informazioni dai singoli paesi).
Il paese che ha svolto più sequenziamenti dopo il Regno Unito è la Danimarca, che aveva rilevato il primo caso di B.1.1.7 a inizio novembre del 2020. Da allora nel paese sono stati effettuati quasi 17mila sequenziamenti, rilevando 192 casi con la variante del coronavirus.
In buona parte degli altri paesi europei la quantità di sequenziamenti effettuata è molto più bassa, e rende quindi più difficile il tracciamento della diffusione di nuove varianti. In Italia dalla prima rilevazione di B.1.1.7, il 14 dicembre 2020, sono stati effettuati 466 sequenziamenti, che hanno portato a identificare 82 casi della variante.
Il problema è che in Italia, come in altri paesi europei, non si effettua un numero consistente di sequenziamenti e quelli realizzati sono quasi sempre legati ad attività di ricerca scientifica, e non per tracciare l’andamento delle varianti che via via emergono tra la popolazione. La minore quantità di analisi, legata anche alla minore capacità dei laboratori, fa sì che sia più difficile avere dati precisi sulla prevalenza di varianti che potrebbero influire sulla diffusione del contagio.
La Germania, che ha da poco deciso le nuove limitazioni, ha rilevato finora solo 12 casi legati alla variante, su 343 sequenziamenti dalla prima rilevazione il 30 novembre 2020. Nei Paesi Bassi sono stati rilevati 95 casi su 1.339 analisi svolte dal 29 novembre 2020. In Spagna l’incidenza sembra essere più alta, anche se su numeri ancora bassi per farsi un’idea precisa: 67 su 253 sequenziamenti dal 14 dicembre 2020.
Italia e focolai
Tornando all’Italia, le attività per rilevare B.1.1.7 si sono comunque intensificate nelle ultime settimane, con diversi laboratori che hanno iniziato a sequenziare più campioni risultati positivi ai test e a tenere sotto controllo gli arrivi dal Regno Unito. Una decina di casi è stata rilevata dall’Istituto zooprofilattico di Puglia e Basilicata, tra viaggiatori di ritorno dal Regno Unito nel periodo natalizio. Gli altri nove istituti zooprofilattici in Italia si stanno organizzando per migliorare le attività di controllo, anche se la loro capacità resterà lontana da quella britannica di analisi di grandi quantità di campioni.
A oggi il numero di casi da variante B.1.1.7 più significativo in Italia è stato riscontrato a Guardiagrele, un paese di circa ottomila abitanti in provincia di Chieti: 36, mentre nell’intera provincia sono stati 65. Un primo caso era stato rilevato il 18 dicembre scorso, poi erano stati avviati altri controlli portando all’identificazione di decine di casi riconducibili alla variante.
Gli esperti stimano che in generale dovrebbe essere effettuato un sequenziamento ogni 20 tamponi, per avere qualche dato sulla prevalenza di una variante sul territorio. Nel Regno Unito si è arrivati in alcuni periodi a sequenziare il 10 per cento dei tamponi risultati positivi.