Perché il vaccino è importante anche se non dovesse fermare totalmente il contagio
Per ora sappiamo che protegge dalla malattia, mentre non è chiaro se riduca il rischio di contagio: ci sono ottime ragioni per farlo lo stesso
Tra la fine del 2020 e le prime settimane di quest’anno in tutto il mondo sono stati somministrati oltre 40 milioni di dosi di vaccini contro il coronavirus, considerati essenziali per ridurre la diffusione della pandemia, evitare il collasso dei sistemi sanitari e tornare a una vita relativamente normale. I vaccini per ora più diffusi, come quelli di Pfizer-BioNTech e di Moderna, sono altamente efficaci nel prevenire la COVID-19, mentre non sappiamo ancora se siano in grado di ridurre la trasmissione del coronavirus (SARS-CoV-2) che causa la malattia, semplicemente perché è troppo presto per saperlo.
Questa circostanza è stata usata strumentalmente da chi è contrario ai vaccini e da alcuni gruppi dei cosiddetti “no vax”, e ha generato qualche esitazione in chi aveva qualche comprensibile dubbio sul vaccino. In realtà, i vaccini sono e saranno estremamente utili, anche nell’eventualità in cui non dovessero influire sulla contagiosità di chi sviluppa un’infezione da coronavirus. Lo ha spiegato bene un recente articolo di Scientific American, una delle più longeve riviste di divulgazione scientifica negli Stati Uniti, con numerosi esempi sui vaccini sviluppati nell’ultimo secolo e mezzo e che hanno contribuito a salvare centinaia di milioni di vite.
In linea di massima, un vaccino serve per insegnare al nostro sistema immunitario a riconoscere e affrontare una minaccia (come un virus o un batterio), esponendolo a una sua versione depotenziata o solo ad alcuni suoi componenti. L’organismo sviluppa poi una memoria immunitaria, che può sfruttare nel caso in cui entri in contatto con la minaccia vera e propria. Con alcuni vaccini, il sistema immunitario impara a non farci ammalare, ma non sviluppa invece la capacità di impedire che avvenga un’infezione tale da renderci comunque contagiosi: non avviene quella che viene chiamata “immunità sterilizzante”.
Per comprendere il ruolo dell’immunità sterilizzante, può essere utile pensare al vaiolo, una malattia infettiva che ha funestato la nostra esistenza per migliaia di anni. Si stima che il virus che la causa avesse iniziato a diffondersi su scala globale intorno al primo secolo dopo Cristo, diventando via via una sorta di pandemia a lungo termine. Solo tra il 1900 e il 1980, il vaiolo fu la causa di 300 milioni di morti stimate. Grazie a una campagna di vaccinazione globale senza precedenti, il vaiolo fu dichiarato eradicato nel 1980, un risultato mai ottenuto prima nella storia dei vaccini.
Il processo di eradicazione si rivelò efficace anche grazie alle caratteristiche del virus e del vaccino per contrastarlo, la cui prima versione era stata sviluppata alla fine del Settecento da Edward Jenner, un pioniere nella storia delle vaccinazioni. Il vaccino faceva sviluppare un’immunità sterilizzante, rendendo quindi impossibile che un vaccinato potesse sviluppare un’infezione e contagiare qualcun altro. Semplificando, gli anticorpi prodotti in risposta al vaccino erano in grado di distruggere ogni particella virale, eliminando il virus del vaiolo dall’organismo.
Il vaccino contro il vaiolo non fu l’unico a produrre un’immunità sterilizzante, diversi altri la offrono ancora oggi. Il vaccino contro il morbillo, malattia che ogni anno causa molti morti tra i bambini, induce un’importante immunità sterilizzante consentendo di tenere sotto controllo la malattia, a patto che si mantenga alto il tasso di vaccinati. Altri vaccini, come quello contro l’epatite B, non danno questo effetto: il sistema immunitario impara a proteggere dalla malattia, ma ciò che la causa (patogeno) può continuare a esistere nell’organismo, portando in alcune circostanze al contagio di altri.
In mancanza dell’immunità sterilizzante, il patogeno continua a circolare tra la popolazione, e può causare nuove infezioni e la comparsa della malattia negli individui non vaccinati. In alcune circostanze può anche mutare nel corso del tempo, diventando più resistente alle difese immunitarie.
Come in molte cose della vita, anche in medicina non è comunque tutto bianco o tutto nero, e occorre fare attenzione nell’attribuire troppo valore all’immunità sterilizzante: possono esserci vie di mezzo, comunque utili.
Il vaccino contro il rotavirus, che causa vomito e diarrea con esiti molto pericolosi per i bambini piccoli, limita la replicazione del virus anche se non riesce a fermarla completamente; si può quindi sviluppare una forma lieve della malattia. La riduzione della carica virale dovuta al vaccino riduce comunque il rischio di trasmissione. Da quando è stata introdotta la vaccinazione contro il rotavirus negli Stati Uniti una quindicina di anni fa, i test positivi alla malattia si sono ridotti dell’80 per cento circa.
Le variabili che rendono un vaccino in grado di prevenire o meno la diffusione di un patogeno sono numerose, e non dipendono solo dalle sue caratteristiche, ma anche da quelle del patogeno, dalle modalità in cui viene contratto e da eventuali interazioni. Per questo a oggi non è possibile dire se i vaccini già disponibili impediscano al coronavirus di diffondersi, oltre a proteggere dalla COVID-19.
Scientific American fa l’esempio dell’influenza per farsi un’idea di che cosa potrebbe accadere nei prossimi mesi. Il vaccino antinfluenzale più diffuso utilizza virus inattivati, ma non porta a una immunità sterilizzante vera e propria, perché non induce una risposta immunitaria localizzata nelle vie respiratorie (attraverso le quali il virus si diffonde contagiando poi altri individui). Questo e il fatto che il tasso di immunizzazione sia relativamente basso (solitamente poco meno del 50 per cento tra gli adulti), oltre alla capacità del virus di adattarsi facilmente ad altre specie, fa sì che i virus influenzali cambino di continuo sfuggendo in parte al controllo del nostro sistema immunitario. Ciò fa sì che a seconda degli anni le campagne vaccinali si rivelino più o meno efficaci, consentendo comunque di ridurre enormemente il carico di lavoro per gli ospedali e di salvare milioni di vite.
Il SARS-CoV-2 potrebbe seguire un comportamento simile a quello dei virus influenzali, evolvendo nel corso del tempo per eludere le difese immunitarie sviluppate naturalmente o tramite il vaccino, anche se probabilmente con maggiore lentezza rispetto ai cambiamenti annuali dell’influenza. Anche in questo scenario, comunque, la vaccinazione rimarrebbe estremamente importante per proteggerci dalla COVID-19.
La storia dei vaccini ci ha insegnato che, anche nel caso in cui non faccia sviluppare un’immunità sterilizzante, un vaccino può comunque contenere la diffusione di una malattia. Siamo per esempio diventati piuttosto abili nel tenere sotto controllo malattie come la pertosse, la poliomielite e l’epatite B, anche se i vaccini non sono efficaci al 100 per cento nel ridurre la trasmissione dei patogeni che le causano, e anche se non tutta la popolazione è vaccinata.