I totani sanno volare, tipo
O meglio planare in aria, a velocità elevatissime e per decine di metri: un comportamento ancora assai misterioso
Ci sono molluschi che sanno volare. O planare, secondo alcuni scienziati: lo fanno alcune specie di calamari, che vivono un po’ in tutti gli oceani. Come fanno, e perché lo fanno, è spiegato in uno degli ultimi video di TED-Ed, il canale di video animati divulgativi dell’organizzazione che organizza le conferenze TED. Lo ha curato Robert Siddall, un ricercatore britannico che si occupa di sistemi robotici ispirati agli esseri viventi. Comincia raccontando di come gli esploratori del Kon-Tiki, la zattera con cui nel 1947 l’antropologo norvegese Thor Heyerdahl attraversò l’oceano Pacifico, si accorsero che sul tetto della loro cabina c’erano spesso piccoli calamari, appunto. Successivamente osservarono che questi animali erano in grado di spingersi fuori dall’acqua per poi planarvi al di sopra anche per 50 metri.
In inglese flying squid, letteralmente “calamaro volante”, è il nome comune dei totani, quel tipo di calamari che in Italia è noto soprattutto per ragioni culinarie. Anna Di Cosmo, professoressa ordinaria di zoologia dell’Università Federico II di Napoli, spiega che dal punto di vista morfologico, cioè dell’anatomia, la caratteristica principale che differenzia i totani dagli altri calamari è la forma delle pinne: nei totani sono triangolari e più corte, mentre negli altri calamari si allungano lungo tutto il “mantello”, la parte del loro corpo al di sopra della testa.
Le specie più note di totani sono il Todarodes sagittatus, che si trova anche nel mar Mediterraneo, e il Todarodes pacificus, che invece vive nell’oceano Pacifico ed è noto come “totano giapponese”. Non è detto però che tutte le specie di totani siano in grado di volare.
Non lo sappiamo bene perché nonostante questo comportamento sia noto da tanto (i primi aneddoti di marinai su calamari volanti di cui abbiamo tracce risalgono alla fine dell’Ottocento), per molto tempo è stato impossibile studiarlo. Solo quando hanno cominciato a esserci fotografie e video, ha chiarito Di Cosmo, è stato possibile fare degli studi. Tuttora comunque le immagini di totani in volo sono rare. Tra le migliori disponibili ci sono quelle fatte nel 2009 dal fotografo australiano Geoff Jones a un totano giapponese: come questa. Altre immagini molto citate nella bibliografia riguardo ai calamari volanti sono quelle scattate da Bob e Deb Hulse al largo delle coste del Brasile: secondo alcuni scienziati mostrano degli esemplari di Sthenoteuthis pteropus, un tipo di calamaretti lunghi circa 6 centimetri.
Multiple squid species can use their siphon to jet into the air and fly/glide.
They are known for modifying their airborne behaviours so that it isn't just gliding like flying fish.
1st photo:Robert Harding
2nd photo: Bob and Deb Hulse pic.twitter.com/EVZBZJhSWE— The Doctor (@Drstevenhobbs) February 20, 2020
In questo breve video girato da alcuni appassionati di pesca vicino alle coste del New England, nel nord degli Stati Uniti, si vedono dei totani uscire dall’acqua per fuggire a un predatore, anche non si può dire che stiano volando.
Di fotografie scattate nel mar Mediterraneo non ce ne sono anche se, proprio quest’estate, il biologo croato Rino Stanić ha raccontato di aver avvistato una coorte di totani volanti tra le isole Lesina e Curzola, nel mar Adriatico.
Anche se esistono poche prove fotografiche del volo di totani e calamari, non ci sono dubbi sul fatto che siano in grado di volare o planare. Alcuni biologi hanno studiato il fenomeno partendo dalla loro anatomia e dal comportamento in laboratorio: per decenni Ronald O’Dor, biologo marino della Dalhousie University di Halifax, in Canada, tenne dei totani atlantici (Illex illecebrosus) in una piscina di 15 metri e studiò il modo in cui erano capaci di saltare fuori dall’acqua.
Il “mantello” dei totani è una specie di tubo di muscoli. L’acqua entra al suo interno attraverso dei piccoli buchi attorno alla testa: i totani si spostano nell’oceano chiudendo questi buchi e spingendo fuori l’acqua che hanno fatto entrare attraverso un sifone. In pratica il loro sistema di propulsione somiglia a quello di un jetpack, sfruttando i getti d’acqua per darsi la spinta. Muovendosi in questo modo i totani possono raggiungere una velocità in acqua di 10 chilometri all’ora. Se però si lanciano al di fuori dell’acqua possono arrivare a velocità molto maggiori, dato che l’attrito nell’aria è assai inferiore. «Senza la resistenza dell’acqua», dice il video di TED-Ed, «l’accelerazione di un totano è la stessa di quella di un’automobile che va da 0 a 100 chilometri all’ora in poco più di un secondo».
Una volta al di fuori dell’acqua i totani riescono a rimanere in aria per un certo tempo grazie alla cosa più simile alle ali di cui dispongono: tendono i muscoli dei loro tentacoli espandendoli in orizzontale, e così stabilizzano la loro posizione in aria. Le pinne che hanno in fondo al corpo, in posizione opposta rispetto ai tentacoli, diventano un secondo paio di ali. Ritraendole, i totani possono cambiare la direzione, e reimmergersi.
Dato che le osservazioni del volo dei totani sono ancora poche, non si sa bene quale sia la loro tipica traiettoria di volo, ma basandosi sulla velocità che possono raggiungere in aria sono state fatte delle stime sul tragitto massimo percorribile in aria: «Un totano di 10 centimetri potrebbe ipoteticamente lanciarsi fino a 6 metri al di sopra del livello dell’acqua». La maggior parte delle osservazioni però suggerisce che i totani non siano interessati a raggiungere altezze così elevate: sembra che preferiscano tenersi vicini alla superficie del mare, per percorrere la maggior distanza orizzontale possibile in pochi secondi e poter tornare in acqua velocemente.
Per quanto riguarda le ragioni di questo comportamento, ci sono due teorie principali. La maggior parte degli studiosi ritiene che il volo sia una strategia difensiva, per fuggire dai predatori. Il fatto che si siano visti totani volare quasi sempre in presenza di predatori o di navi pare una prova a sostegno di questa teoria. Ronald O’Dor – che è morto lo scorso maggio a causa del COVID-19 – riteneva invece che il volo servisse ai totani soprattutto per migrare più rapidamente. Alcune specie di totani infatti si spostano ogni anno per raggiungere i siti di riproduzione. È il caso ad esempio dei totani atlantici che migrano per più di mille chilometri lungo le coste dell’Atlantico settentrionale. «È del tutto logico che queste specie usino il volo per risparmiare energia», aveva detto O’Dor nel 2012 a Nature: «Prima non riuscivo a spiegarmi come facessero a trovare l’energia per fare questo viaggio. Ma non appena abbiamo considerato l’ipotesi che fossero capaci di volare, è diventato plausibile che usassero il volo per ridurre il dispendio di energia».
«Entrambe le ipotesi sono valide», ha commentato Anna Di Cosmo: «Non è raro che una specie evolva un comportamento che poi viene utilizzato per diverse ragioni. È anche questo un modo di ottimizzare le risorse». In generale, tutti i cefalopodi, la classe di molluschi di cui i calamari fanno parte insieme a polpi e seppie, hanno dimostrato di avere ottime capacità di adattamento, e infatti vivono in tutti i mari e a tutte le profondità. «Hanno sviluppato caratteristiche evolutive straordinarie», spiega Di Cosmo, «grazie in particolare al ricorso ad enzimi che gli permettono di modificare alcuni dei loro geni senza ricorrere alle mutazioni darwiniane tradizionali, quelle che avvengono all’interno DNA e richiedono più tempo: le modifiche avvengono invece nell’RNA messaggero, prima che il DNA venga trascritto. Per questo i cefalopodi si adattano in modo più veloce ad ambienti diversi».
Un’altra ipotesi sul volo dei totani citata nel video di TED-Ed è che questo comportamento serva ai totani più giovani per sopravvivere fino all’età adulta: spesso capita che i totani adulti mangino quelli giovani e dato che gli esemplari più leggeri possono volare più lontano e più a lungo, il volo potrebbe essere una strategia di difesa dal cannibalismo.
Quale che sia la ragione per cui i totani volano, questo loro comportamento è interessante per scienziati come Robert Siddal anche perché può permetterci di studiare nuovi metodi di propulsione. Nel 2019, insieme a un gruppo di colleghi dell’Imperial College di Londra, Siddal ha realizzato un piccolo robot che si muove in acqua e in aria proprio grazie a un sistema simile.