La situazione nel campo migranti di Lipa sta peggiorando
Nella zona del campo profughi in Bosnia sono arrivati neve e freddo, e le autorità locali non hanno ancora trovato una soluzione per i circa mille migranti senza alloggio
Da quasi due mesi circa mille migranti provenienti soprattutto da Afghanistan, Pakistan e Bangladesh stanno vivendo in una situazione di estrema emergenza nei pressi del campo profughi di Lipa – nella città bosniaca nordoccidentale di Bihać – che lo scorso 23 dicembre era stato distrutto da un incendio. Da allora i migranti sono rimasti senza alloggio e senza nulla: nonostante di recente siano state montate alcune tende riscaldate, che bastano soltanto per poche centinaia di persone, la neve e le temperature molto rigide stanno complicando la situazione. Sebbene l’Unione Europea e le organizzazioni umanitarie stiano facendo pressione sul governo bosniaco per risolvere la situazione, non è ancora stata trovata una soluzione efficace.
Il campo di Lipa era stato costruito lo scorso aprile per gestire in maniera temporanea un massimo di 1.600 migranti durante l’emergenza della pandemia da coronavirus. Dal momento che è molto vicino al confine con la Croazia, che fa parte dell’Unione Europea, il campo ospitava numerosi migranti che erano arrivati in Bosnia-Erzegovina da altri paesi e cercavano di entrare nei paesi dell’Unione attraverso la Croazia. Dopo che il campo era stato distrutto dall’incendio, divampato in circostanze ancora poco chiare, alcuni migranti erano andati nelle foreste vicine, mentre altri si erano accampati in quel che rimaneva della struttura, arrangiandosi come meglio potevano.
La situazione è peggiorata notevolmente nell’ultima settimana per via dell’arrivo della neve e delle temperature rigide, che di notte possono scendere anche a -20 °C. Nicola Bay, responsabile del Consiglio danese per i rifugiati – associazione che assieme alla Croce Rossa ha aiutato i migranti fornendo abiti invernali, cibo e assistenza medica –, ha spiegato che il campo è «un posto invivibile», «che non rispetta nemmeno gli standard umanitari minimi». Muhammad Khan, un migrante proveniente dall’Afghanistan, ha detto a Euronews che nei pressi del campo «non c’è acqua, che fa molto freddo ed è tutto molto sporco». Molti migranti inoltre hanno contratto la scabbia o si sono ammalati, mostrando sintomi influenzali.
Sotto pressione e con il contributo dell’Unione Europea, di cui la Bosnia-Erzegovina non fa parte, le autorità locali hanno montato alcune docce e tende riscaldate, che però sono sufficienti per ospitare solo poche centinaia delle persone che prima vivevano nel campo profughi. L’Unione Europea sta continuando a inviare aiuti umanitari, ma a livello locale le autorità bosniache non hanno dato una risposta chiara alla gestione dell’emergenza e molte persone stanno ancora vivendo all’aperto, al freddo.
EU experts arrived in Bosnia and Herzegovina 🇧🇦 to assess the needs of refugees and migrants, many of whom are sleeping outside in the cold.
The EU continues to provide technical and financial support.
The authorities must find immediate solutions to this humanitarian crisis. pic.twitter.com/V4l3RrpRy9
— EU Civil Protection & Humanitarian Aid 🇪🇺 (@eu_echo) January 11, 2021
Dopo l’incendio, le persone rimaste senza alloggio dovevano inizialmente essere trasferite in una ex caserma delle forze armate a Bradina, a sud di Sarajevo, ma i piani poi sono cambiati a seguito delle proteste delle autorità e della popolazione locali. Il governo bosniaco aveva dunque deciso il trasferimento nel centro di accoglienza di Bira, sempre nella città di Bihać, che è stato ristrutturato con 3,5 milioni di euro provenienti dall’UE, ma che è ancora vuoto. Anche in questo caso, davanti all’intransigente rifiuto delle autorità locali e dei residenti di Bihać di ospitare anche in via temporanea i profughi, non è stato fatto nulla.
Selmo Cikotic, il ministro della Sicurezza bosniaco, ha riconosciuto che la situazione è insostenibile e ha detto che i migranti stanno subendo le conseguenze del disordine politico del paese.
Secondo la Costituzione della Bosnia-Erzegovina, sia il governo centrale che le amministrazioni locali, cioè i cantoni, sono responsabili di mettere in atto e far rispettare i diritti umani di base; tuttavia la gestione dei territori dipende dalle autorità regionali, che controllano anche le forze di polizia e a cui, secondo Cikotic, «manca il senso di solidarietà». In un’intervista al New York Times Cikotic ha detto che le autorità del cantone di Una-Sana – quello dove si trovano Bihać e il campo profughi di Lipa – «non aderiscono ai valori europei e universali a cui noi ci siamo detti vicini» e ha spiegato che il governo centrale «non ha un meccanismo efficiente per cercare di risolvere la resistenza delle autorità del cantone».
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A inizio mese Janez Lenarcic, responsabile dell’Unione Europea per la gestione delle crisi, aveva detto che «questo disastro umanitario si sarebbe potuto evitare se le autorità locali avessero creato nel paese abbastanza strutture di accoglienza in grado di superare l’inverno, utilizzando anche quelle già esistenti». Questo però è stato fatto soltanto in parte e, come ha osservato il coordinatore dei servizi di emergenza della Croce Rossa in Bosnia-Erzegovina, Aleksandar Panic, tra le altre cose alcuni migranti hanno perso le speranze di poter raggiungere l’Unione Europea entrando in Croazia e adesso si stanno spostando verso l’est della Bosnia, per provare a raggiungere l’Unione Europea arrivando in Romania, passando dalla Serbia.
Secondo l’Organizzazione internazionale delle migrazioni (IOM), attualmente in Bosnia ci sarebbero circa 8mila migranti e rifugiati, 6mila dei quali sono ospitati in apposite strutture di accoglienza; secondo l’Unione Europea almeno a circa 1.700, tra cui quelli che stavano nel campo profughi di Lipa e diverse donne con bambini, mancano un riparo stabile e i servizi di base.