Il governo riuscirà ad avere la maggioranza al Senato?
Le cronache e i retroscena sembrano indicare che la ricerca dei cosiddetti “responsabili” non vada molto bene, ma potrebbero bastare quelli che ci sono
Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, le forze politiche a lui più vicine – il Movimento 5 Stelle e il Partito Democratico – e alcune figure politiche più o meno vicine al governo stanno cercando di convincere abbastanza senatori a passare alla maggioranza in modo da evitare la caduta del governo, dopo la crisi aperta in settimana dal leader di Italia Viva Matteo Renzi. La scadenza per questa operazione è martedì, quando è previsto un discorso di Conte al Senato e un successivo voto, in cui si capirà se il governo ha ancora la maggioranza.
Nel weekend i giornali e le agenzie di stampa hanno descritto le difficoltà di Conte e dei suoi alleati, scrivendo che le trattative e gli sforzi per trovare i senatori necessari – circa una decina – non stanno ottenendo grandi risultati. È complicato farsi un’idea di quale sia davvero la situazione, visto che gli unici elementi a disposizione sono le dichiarazioni dei politici coinvolti, spesso vaghe e destinate a essere smentite, e le ricostruzioni dei retroscena politici, in cui non è sempre facile distinguere i fatti dalle supposizioni, gli elementi concreti da quelli romanzati. Bisogna insomma usare molte premure, tenendo presente che anche le cose certe sono piuttosto volatili, e potrebbero cambiare da qui a martedì.
Con Italia Viva, il governo aveva tra i 165 e i 170 voti al Senato. Dopo l’uscita del partito dal governo, la maggioranza dovrebbe essere scesa a 151 voti, dieci in meno della maggioranza assoluta di 161, quella che garantirebbe l’uscita dalla crisi e la prosecuzione del governo. Al momento, sembra che Conte sia lontano da questo obiettivo, e l’ipotesi più accreditata è che non lo raggiungerà. Ma secondo i retroscena, Conte e i suoi alleati di governo si accontenterebbero di arrivare alla maggioranza relativa, cioè di prendere un voto in più dell’opposizione, un obiettivo molto più alla portata ma che garantirebbe assai meno legittimazione politica, e secondo molti salverebbe solo temporaneamente il governo.
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I voti che il governo è sicuro di avere al Senato dovrebbero essere attualmente intorno ai 155-156: cioè quelli che aveva prima, senza Italia Viva, più un paio di senatori a vita che normalmente non ci sono in aula ma che parteciperebbero al voto di martedì, e due o tre senatori che avrebbero già accettato di passare alla maggioranza («tra renziani e berlusconiani» dice Repubblica). In un’intervista al Corriere della Sera, oggi Renzi ha anticipato che probabilmente Italia Viva si asterrà dal voto (secondo i retroscenisti per evitare che qualche senatore si rifiuti di votare contro, spaccando il partito). In questo modo, 155 voti al Senato basterebbero e avanzerebbero al governo per avere la maggioranza relativa. Ma sarebbe un risultato debole, e peraltro diverso da quello che auspicava il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che vorrebbe una soluzione più stabile.
A essere poco chiaro è quale sia a questo punto il piano del governo, cioè di Conte e del PD, visto che il M5S sembra abbastanza escluso da questa fase di strategie e trattative. L’idea originale e preferita sembra fosse quella di trovare una maggioranza sufficientemente solida, presentare le dimissioni di Conte al Quirinale, farsi riassegnare l’incarico e ottenere la fiducia del Parlamento. L’idea è che per un nuovo governo – il Conte III – sarebbe più facile coinvolgere abbastanza senatori da sostituire i voti di Italia Viva, rispetto a farlo rocambolescamente nel giro di un weekend per sopravvivere a un voto. Ma visto che quella decina di senatori non sembra essere stata trovata, le cose si complicano: un’alternativa sembra poter essere di superare martedì, anche precariamente, per poi tentare di consolidare la maggioranza successivamente, con maggiore calma. Non è chiaro se in questo scenario Conte presenterebbe comunque le dimissioni, sempre con l’obiettivo di riottenere il mandato da Mattarella.
La principale notizia per quanto riguarda le trattative per trovare i cosiddetti “responsabili”, o “costruttori”, come sono definiti i senatori disposti a passare alla maggioranza, è che il partito di centrodestra dell’UDC – corteggiato dal governo in questi giorni, e di cui si ipotizzava un passaggio alla maggioranza – ha detto di non essere disponibile, e di voler rimanere insieme a Forza Italia. «I nostri valori non sono in vendita», ha detto in una nota.
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Secondo i cronisti parlamentari, Conte sperava che l’UDC sostenesse il governo, oltre che per i suoi tre voti al Senato, anche perché avrebbe potuto fornire il proprio simbolo all’ipotetico gruppo parlamentare che avrebbe dovuto riunire i “costruttori”. I regolamenti parlamentari infatti consentono la formazione di gruppi soltanto dietro a simboli presentati alle ultime elezioni: altrimenti si confluisce nel Gruppo Misto. Il governo, sembra, vorrebbe fortemente che i nuovi senatori che lo sosterranno avessero un proprio gruppo, per avere più credibilità politica. L’alternativa era il simbolo del Partito Socialista Italiano, quello a cui fa riferimento peraltro Italia Viva. Ma sembra che il leader del PSI Riccardo Nencini voglia continuare a concederlo a Renzi.
Dopo che per giorni si era parlato di lui come «regista» delle trattative per trovare i “responsabili”, oggi i giornali scrivono che avrebbe ridotto il suo impegno Clemente Mastella, accusato peraltro da Calenda di avergli offerto il sostegno del PD nella sua candidatura a sindaco di Roma in cambio dell’appoggio a Conte (ne è seguito un bisticcio).
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Non è chiaro quale sia l’umore delle forze di governo riguardo alla riapertura di una trattativa con Italia Viva. I membri del PD continuano a escluderlo categoricamente e a diffondere comunicati piuttosto duri riguardo al comportamento di Renzi, così come il M5S, che i retroscena però descrivono come un po’ tentennante e diviso sull’argomento. Si è detto spesso che il M5S è il partito che più avrebbe da perdere dal voto anticipato, visto che ha perso molti consensi rispetto alle ultime elezioni e visto che, dopo il referendum dello scorso settembre, al prossimo giro saranno eletti circa un terzo dei parlamentari in meno. Una parte considerevole degli attuali deputati e senatori del M5S, insomma, non ci sarà nella prossima legislatura: e questo potrebbe spingerli a riconsiderare l’ostilità verso Renzi pur di evitare il voto anticipato a giugno.