Come sarà la CIA di William Burns
L'uomo scelto da Joe Biden per guidare l'agenzia di intelligence più famosa al mondo è un ex diplomatico con l'incarico di "ricostruire", dopo gli anni di Trump
Joe Biden, che si insedierà alla presidenza degli Stati Uniti il 20 gennaio, ha annunciato che il prossimo direttore della CIA sarà William Burns, ex diplomatico molto rispettato sia negli ambienti dell’intelligence sia tra i funzionari del dipartimento di Stato. Per certi versi, la scelta di Biden è stata eccezionale: nei suoi 73 anni di storia, la CIA non era stata mai guidata da un diplomatico di professione come Burns, uno che nel corso degli anni è riuscito a farsi un nome riconosciuto e rispettato nella politica estera americana, settore dove CIA e mondo diplomatico entrano spesso in conflitto tra loro.
La scelta di Burns, 64 anni, è stata molto commentata sulla stampa americana, e non solo perché la nomina del direttore della CIA è una delle più importanti che si trova a fare un presidente eletto.
Burns, 64 anni, iniziò la sua carriera diplomatica nel 1979, una settimana dopo l’inizio della crisi degli ostaggi a Teheran, quando per 444 giorni 53 persone che lavoravano all’ambasciata statunitense in Iran furono prese in ostaggio da studenti iraniani vicini al nuovo regime della Repubblica Islamica, quello guidato dall’ayatollah Ruhollah Khomeini. Nel corso della sua carriera, Burns si occupò soprattutto di Iran e Russia. Nel 2013, quando in Iran fu eletto presidente il moderato Hassan Rouhani, Burns vide l’opportunità di raggiungere un accordo sul delicato tema del nucleare iraniano, e insieme ad altri diplomatici avviò negoziati segreti che sfociarono poi nei colloqui ufficiali tra le parti, che a loro volta portarono allo storico accordo del 2015 (quello da cui Trump si ritirò unilateralmente nel 2018).
Burns fu ambasciatore in Russia dal 2005 al 2008, periodo durante il quale ebbe modo di osservare da vicino il presidente Vladimir Putin, e capire molte dinamiche interne del regime di Mosca. Fu anche ambasciatore in Giordania e ricoprì diversi incarichi di prestigio a Washington.
Il fatto che Burns sia un diplomatico con una lunghissima e ricca carriera alle spalle, ha scritto l’Economist, suggerisce che Biden voglia rimettere la diplomazia alla guida della politica estera americana, una scelta che si discosta sensibilmente dalla gestione Trump, che riteneva la diplomazia e il multilateralismo due ostacoli al progetto di rendere l’America grande di nuovo. Lo stesso Burns aveva criticato molto il modo di Trump di trattare i diplomatici americani, e in generale il “servizio pubblico” degli Stati Uniti.
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Gli obiettivi di Burns saranno soprattutto due: assicurarsi che il lavoro d’intelligence dell’agenzia non venga più influenzato dalla politica, come invece succedeva sistematicamente durante la presidenza Trump, e ricostruire le relazioni degli Stati Uniti con i loro alleati, incrinate in modo profondo nel corso degli ultimi quattro anni.
Burns sembra la persona giusta per ricoprire questo incarico, nonostante per la maggior parte della sua carriera sia stato più “consumatore” di intelligence che “produttore”, come succede a moltissimi diplomatici di professione. Secondo John Brennan, direttore della CIA sotto Obama, Burns «ha una profonda conoscenza delle cose, una vasta esperienza nel lavorare con la CIA, e capisce molto bene le missioni di intelligence». Ex funzionari della CIA citati dal New York Times hanno comunque sostenuto che la qualità migliore per un direttore dell’agenzia non sia tanto la sua esperienza nel mondo dell’intelligence, quanto la sua relazione con il presidente e con il team che si occupa della sicurezza nazionale.
In questo senso, Burns sembra avere entrambe le cose: ha un rapporto molto stretto con Biden, perché i due avevano già lavorato insieme per molti anni su temi di politica estera, sia durante l’amministrazione Obama sia quando Biden guidava la commissione Esteri del Senato; e aveva già collaborato in maniera stretta con Jake Sullivan, consigliere per la sicurezza nazionale di Biden, nel periodo dei colloqui segreti con l’Iran che portarono poi all’accordo sul nucleare finalizzato durante la presidenza Obama.
Inoltre, come ha scritto Tim Weiner, giornalista esperto di storie sull’FBI e sulla CIA, «Burns ha un legame di fratellanza con il candidato a essere il prossimo segretario di Stato americano, Tony Blinken», il quale sei anni fa succedette proprio a Burns nel ruolo di vicesegretario di Stato. Secondo Weiner, i due potrebbero lavorare insieme in un modo che non si vedeva dai tempi di Allen Dulles e John Foster Dulles, rispettivamente capo della CIA e capo del dipartimento di Stato americano sotto la presidenza di Dwight Eisenhower: «invece di combattere la guerra al comunismo internazionale, [Burns e Weiner] dovranno combattere contro gli stessi dittatori che Trump ha cercato di imitare e ha ammirato».
Qualche incertezza in più riguarda il rapporto che potrà avere Burns con Avril Haines, la persona scelta da Biden per guidare l’intelligence americana (la CIA non è la sola agenzia di intelligence negli Stati Uniti, anche se è la più famosa).
Haines sarà direttrice dell’Intelligence nazionale, la carica più alta in tutto il settore dell’intelligence americano, che sovrintende anche al lavoro della CIA. Burns e Haines avevano già lavorato insieme, nel periodo che Haines trascorse al dipartimento di Stato, e secondo Brennan, ex direttore della CIA, non avranno particolari problemi. In passato, comunque, è successo spesso che si creassero tensioni tra il direttore dell’Intelligence nazionale e il direttore della CIA.
Nei prossimi anni, Burns potrebbe cambiare la CIA riguardo alle due principali attività svolte dall’agenzia: le operazioni segrete, soprattutto in zone di guerra o dove agiscono gruppi terroristici, e la raccolta di informazioni di intelligence, che passa anche dal reclutamento di spie. Da parecchi anni la prima attività ha superato di gran lunga la seconda, ma Burns potrebbe riportare un maggiore equilibrio tra le due, rafforzando la tradizionale ricerca di informazioni riservate, fondamentale soprattutto per i diplomatici.
Di nuovo, la sua lunga carriera da diplomatico, e i suoi stretti rapporti con il dipartimento di Stato americano, potrebbero influenzare il futuro ruolo della CIA nello sviluppo della politica estera sotto Biden.
Burns, comunque, non potrà limitarsi a rafforzare le attività di raccolta di intelligence e ridurre l’intervento americano all’estero sotto forma di operazioni segrete. Il modo di fare spionaggio è infatti molto cambiato negli ultimi anni e oggi l’elemento tecnologico ha preso il sopravvento su tutto. Se un tempo una falsa identità richiedeva un passaporto o al massimo alcuni documenti falsi, oggi le cose sono più complicate. Per esempio per essere credibile una spia ha bisogno di una lunga “coda digitale”, fatta da profili dei social network, cronologie di navigazione, e così via. Una delle novità che stanno avendo maggiore impatto è l’introduzione del riconoscimento facciale, tecnologia che permette a telecamere e altri dispositivi di sorveglianza remota di identificare automaticamente i volti delle persone inquadrate e associarli con quelli registrati in un database.
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Un’altra importante novità degli ultimi anni riguarda il tipo di minacce che un’agenzia come la CIA deve affrontare: non si parla più solo di minacce per così dire “familiari”, come il terrorismo e la proliferazione nucleare, ma anche di minacce nuove, come il cambiamento climatico e la sicurezza sanitaria globale (come peraltro si è visto con la pandemia da coronavirus). Sono tutti cambiamenti a cui la CIA dovrà prestare particolare attenzione, per non rimanere indietro rispetto alle principali agenzie di intelligence di paesi rivali e avversari.
La CIA, infine, dovrà guardarsi le spalle da un paese in particolare: la Cina, la cui intelligence sembra avere raggiunto livelli di penetrazione degli Stati Uniti molto rilevanti, come hanno dimostrato le quattro spie americane accusate negli ultimi due anni di avere “tradito” gli Stati Uniti passando informazioni riservate al governo cinese.