Ci siamo, con la crisi di governo?
Dopo settimane di discussioni e ipotesi, Renzi potrebbe aprirla dopo il Consiglio dei ministri di martedì sera: cosa succede e quali sono gli scenari
Dopo settimane di discussioni, retroscena e ipotesi, l’annunciata e anticipata crisi di governo potrebbe essere infine formalizzata tra martedì e mercoledì, se Italia Viva – il partito di Matteo Renzi – deciderà di ritirare il proprio sostegno al presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. L’eventuale crisi potrebbe aprirsi concretamente nelle prossime ore, in parte a seconda delle decisioni del Consiglio dei ministri di martedì sera e di come si comporterà Renzi.
Dopo molti annunci e temporeggiamenti, le difficoltà del governo sembrano essere vicine a uno sviluppo concreto, ma c’è poco di certo su quello che succederà. L’ipotesi di una risoluzione con un semplice rimpasto sembra sempre più remota, anche se martedì sono state diffuse dichiarazioni contrastanti dalle parti coinvolte.
L’atteso Consiglio dei ministri di martedì sera è quello in cui si valuta la nuova bozza del Piano nazionale di ripresa e resilienza da cui dipendono le risorse del Recovery Fund, il principale strumento dell’Unione Europea per bilanciare la crisi economica provocata dalla pandemia da coronavirus. L’ultima bozza, dopo una serie di modifiche, è stata inviata lunedì sera dal ministero dell’Economia ai componenti del governo. Dopo l’approvazione, il testo dovrebbe passare all’esame del Parlamento, che potrà emendarlo.
Le attenzioni sono rivolte principalmente su quello che potrebbe accadere dopo il Consiglio dei ministri, e che potrebbe portare infine all’apertura formale della crisi del governo Conte di cui si parla da settimane. Italia Viva, che oggi fa parte della maggioranza parlamentare e che ha due ministre (Elena Bonetti alle Pari opportunità, Teresa Bellanova alle Politiche Agricole), da giorni minaccia di ritirare la propria delegazione al governo. Il problema per Conte è che senza Italia Viva il governo potrebbe non avere una maggioranza al Senato.
Al di là della scelta di Italia Viva di votare a favore o astenersi sulla nuova bozza nel Consiglio dei ministri di martedì, Renzi potrebbe ritirare la propria delegazione al governo aprendo, di fatto, la crisi. Lo ha fatto intendere durante un’intervista con Bianca Berlinguer nella trasmissione televisiva di RaiTre Carta Bianca.
Se Renzi aprirà la crisi, gli scenari di cui si parla di più sono tre. Il primo, le cui probabilità sono calate nella giornata di martedì, è che Giuseppe Conte decida di dimettersi e di andare al Quirinale, dove potrebbe ricevere un nuovo incarico da Sergio Mattarella per formare un terzo governo diverso da quello attuale, ma guidato sempre da lui: un Conte-ter (perché sarebbe il terzo, dopo quello con Matteo Salvini e quello attuale). Si tratterebbe di quella che i giornali chiamano “crisi pilotata”, che potrebbe però concretizzarsi soltanto con un accordo preventivo con Renzi, che dovrebbe garantire l’appoggio di Italia Viva in Parlamento. Renzi però non sembra volere questo scenario, e lo stesso Conte martedì ha fatto sapere di non essere disponibile. Sembra quindi uno scenario per il momento escluso.
Senza questo accordo, si aprirebbe quella che viene definita “crisi al buio”. Dopo le dimissioni di Conte, l’esito delle consultazioni tra Mattarella e i partiti potrebbe infatti portare alla formazione di un governo con la stessa maggioranza, ma con un presidente del Consiglio diverso, ipotesi che Matteo Renzi ha più volte citato. Diversi giornali sostengono da tempo che la scelta di dare le proprie dimissioni al buio potrebbe essere molto rischiosa per Conte: una volta presentate, Renzi potrebbe appunto lavorare a soluzioni che non prevedano Conte alla presidenza del Consiglio.
Questo rischio – e arriviamo alla terza ipotesi – potrebbe essere evitato esponendosi alla richiesta di fiducia alle Camere. Ma se Italia Viva non votasse a favore, a Conte non resterebbe che cercare una maggioranza numerica e non più politica: potrebbe cioè ottenere la maggioranza se qualche parlamentare di Italia Viva o di altri partiti si disallineasse dal proprio gruppo (si tratterebbe di quelli che in queste ore vengono definiti “responsabili”). I numeri al Senato dicono che la maggioranza oscilla fra 166 e 170. Ma se dovesse mancare il voto di Italia Viva si scenderebbe a quota 152: servirebbero, dunque, almeno 9 cosiddetti “responsabili” per la maggioranza assoluta (pari a 161).
Se Conte venisse sfiduciato in Senato sarebbe per lui molto difficile ottenere il reincarico per la formazione di un nuovo governo. Ma anche una maggioranza raggiunta con il voto di qualche “responsabile” sparso costituirebbe un risultato fragile: creerebbe problemi nelle commissioni e avrebbe conseguenze sulla legittimazione politica di Conte. C’è un’ultima possibilità: se in Parlamento non esistesse una maggioranza (la stessa di ora o una diversa) a sostegno di un nuovo governo, si andrebbe a elezioni. Ma diversi partiti, compreso il Partito Democratico, non sono favorevoli a un’ipotesi di questo tipo.
Di una possibile crisi di governo causata dal ritiro di Italia Viva si è parlato per settimane, e intorno alle reali intenzioni di Renzi circolano da giorni ipotesi e retroscena. Renzi ha argomentato i contenuti delle sue critiche lo scorso 17 dicembre in una lettera inviata al presidente del Consiglio e poi in diverse interviste: vanno dalla gestione del piano vaccini all’utilizzo del MES (su cui però non è chiaro come andrebbe in caso di voto in Parlamento), dalla delega ai servizi segreti mantenuta da Conte (e che Conte stesso sarebbe disposto a lasciare per evitare la crisi) al ruolo del commissario straordinario per l’emergenza COVID-19 Domenico Arcuri.
Ma le critiche di Italia Viva hanno avuto soprattutto a che fare con il piano italiano per il Recovery Fund. La prima bozza del Piano era infatti finita al centro delle principali contestazioni di Italia Viva, ma anche altri partiti avevano chiesto delle modifiche al governo. La nuova bozza sembra accogliere le principali richieste fatte, a partire da quella di aumentare la spesa per la sanità e l’istruzione, fino a quella di concentrare gli investimenti non sui bonus fiscali ma sugli investimenti.
I problemi riguardavano anche la gestione operativa dei fondi, oltre che le indicazioni generali sulla loro destinazione. L’idea iniziale di Conte era creare una «cabina di regia», composta da presidenza del Consiglio, dal ministro dell’Economia Roberto Gualtieri e da quello dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli del Movimento 5 Stelle, affiancati da manager che a loro volta avrebbero dovuto sovrintendere a dei «tecnici», ma questo piano non era stato condiviso da Italia Viva. Quella forma di gestione, dicevano i critici e Italia Viva innanzitutto, avrebbe creato una struttura parallela che, anziché snellire l’iter di realizzazione dei progetti, si sarebbe sovrapposta ai ministeri esistenti.
Per ora la questione della gestione dei fondi è stata rinviata e sarà contenuta in un successivo decreto. Nel testo che arriverà al Consiglio dei ministri, di cui circolano alcune bozze, si dice semplicemente che «il governo, sulla base delle linee guida europee per l’attuazione del Piano, presenterà al Parlamento un modello di governance che identifichi la responsabilità della realizzazione del Piano, garantisca il coordinamento con i ministri competenti a livello nazionale e gli altri livelli di governo, e monitori i progressi di avanzamento della spesa».