Contro il coronavirus è la zona rossa a funzionare davvero
È ciò che emerge da uno studio dell'associazione italiana di epidemiologia, che ha misurato gli effetti delle misure restrittive nelle regioni
Negli ultimi tre mesi il comitato tecnico scientifico, il ministero della Salute e il governo hanno cercato diverse soluzioni per limitare il contagio e quindi provare a fermare l’epidemia da coronavirus. L’unica misura restrittiva efficace, almeno finora, è risultata la zona rossa: lo dicono i dati analizzati dall’associazione italiana di epidemiologia, che ha studiato gli effetti delle chiusure nelle undici regioni dove la seconda ondata ha avuto un impatto significativo.
I risultati di questo studio sono stati pubblicati da Scienza in Rete. C’è da dire che la questione è molto complessa, così come sono complessi i dati analizzati, soggetti a molte variabili e anche a ritardi. Il problema della tempestività è la conclusione più importante dell’analisi ed è stato più volte sottolineato dall’Istituto superiore di sanità e dal comitato tecnico scientifico, soprattutto per le conseguenze sul calcolo dell’indice Rt, uno dei principali parametri che servono per valutare a che punto è l’epidemia.
Come vengono decisi i colori
Una premessa sul metodo di attribuzione dei colori è importante per capire il punto di partenza dell’analisi svolta dall’associazione italiana di epidemiologia. Il sistema a colori è stato introdotto lo scorso 6 novembre e prevede tre livelli di restrizioni – giallo, arancione e rosso – a seconda della gravità della situazione.
Questa classificazione è stata temporaneamente superata dal “decreto Natale”, che ha introdotto colori identici per tutte le regioni italiane, con zone rosse e arancioni secondo il calendario del periodo natalizio. Il decreto Natale è scaduto il 6 gennaio e fino al 15 gennaio è stato reintrodotto il vecchio schema con l’aggiunta di un parametro: il numero di positivi ogni 100mila abitanti. La soglia per determinare le restrizioni è stata fissata a 50 positivi settimanali ogni 100mila abitanti. Le regioni possono essere sopra o sotto questa soglia, ma sono utilizzati comunque i vecchi indicatori previsti dallo scorso 6 novembre: i livelli di rischio e gli scenari.
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I livelli di rischio – medio, moderato e alto – vengono definiti dall’analisi dei 21 indicatori decisi dal comitato tecnico scientifico, cioè una serie di dati come il numero di focolai trovati ogni settimana, il numero di accessi al pronto soccorso per coronavirus, il tasso di occupazione dei letti nelle terapie intensive e nei reparti. Gli scenari, invece, sono quattro e dipendono dall’indice Rt: con indice Rt inferiore a 1 si va nello scenario 1, con un indice Rt tra 1 e 1,25 si va nello scenario 2, con indice Rt tra 1,25 e 1,5 si va nello scenario 3 e infine c’è lo scenario 4 con indice Rt superiore a 1,5.
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Il punto di partenza dell’analisi dell’associazione italiana di epidemiologia è capire come è andata da fine settembre a fine dicembre nelle undici regioni comprese nello studio: Piemonte, Lombardia, Veneto, Toscana, Emilia-Romagna, Marche, Umbria, Lazio, Campania, Puglia, Sicilia, per un totale di quasi 50 milioni di abitanti.
Nel grafico di Scienza in Rete, i tassi incidenza, standardizzati per età, per 100mila abitanti nelle 11 regioni dal 21 settembre al 27 dicembre
Le settimane considerate per la valutazione degli effetti delle misure restrittive sono state quattro, quindi l’analisi si basa sui dati di un intero mese. La valutazione non è partita dalla stessa settimana in cui scattano le misure, ma è stato lasciato un intervallo di due settimane per avere un’immagine più fedele degli effetti. Lo studio considera tante variabili, tra cui la più importante è l’omogeneità dei sistemi di rilevazione dell’incidenza della malattia, cioè le differenze nel numero di tamponi proporzionalmente fatti da ogni regione.
I risultati
Il valore che viene analizzato nei risultati è chiamato “Rischio Relativo” (RR), un indicatore molto utilizzato in epidemiologia: serve a determinare la probabilità che una persona appartenente a un gruppo esposto a determinati fattori sviluppi la malattia, rispetto alla probabilità che una persona appartenente ad un gruppo non esposto a determinati fattori sviluppi la stessa malattia.
In questa tabella viene mostrata la variazione del rischio relativo nelle quattro settimane analizzate dopo le misure restrittive.
Come si può vedere, in tutte le regioni in area rossa – Piemonte, Lombardia, Toscana e Campania – c’è una netta diminuzione del valore di rischio relativo. Nelle regioni in area arancione la diminuzione è meno marcata. Il Lazio, in area gialla, ha avuto una diminuzione paragonabile alle regioni in area arancione. Il Veneto, invece, non ha avuto nessuna diminuzione. Anzi, c’è stato un aumento del rischio relativo.
«Da una valutazione formale dell’efficacia degli interventi restrittivi emerge come solo le regioni in zona rossa abbiano mostrato un declino significativo ed omogeneo dell’incidenza di Covid-19 nelle quattro settimane successive al provvedimento», si legge nelle conclusioni dello studio. «Le regioni in zona arancione hanno mostrato un comportamento disomogeneo, mentre per le due regioni rimaste in zona gialla rimangono problemi interpretativi del dato, che potrebbe risentire di altri fattori che non è stato possibile considerare in queste analisi».
Rimangono comunque molti limiti, soprattutto legati ai criteri utilizzati per determinare il colore delle regioni. Secondo gli epidemiologi, per superare questi limiti servirebbe «un’analisi approfondita, in grado di tenere conto dei valori dei 21 parametri di ciascuna regione».
La conclusione più importante dello studio, però, riguarda il tempo. Gli epidemiologi infatti sottolineano la necessità di avere indicatori precoci per capire in tempi rapidi l’evoluzione dell’epidemia nelle singole regioni e così «consentire interventi di contenimento più immediati e come solo provvedimenti molto restrittivi possano garantire il drastico rallentamento della pandemia». Questo è uno dei problemi più rilevanti di tutti i sistemi adottati negli ultimi mesi – soprattutto nel calcolo dell’indice Rt – e lo sarà anche nelle prossime settimane. Per prendere decisioni tempestive, però, servono dati tempestivi: al momento i problemi relativi ai ritardi di notifica dei nuovi positivi rischiano di compromettere l’efficacia delle misure decise dal governo.