L’unico paese sviluppato la cui economia sia cresciuta nel 2020
È la Cina: e non era affatto detto che andasse a finire così, visto come era iniziato l'anno
Malgrado alcuni analisti avessero previsto una contrazione dell’economia cinese a causa della pandemia da coronavirus, che ha colpito la Cina prima di ogni altro paese al mondo, secondo le previsioni condivise dai maggiori giornali finanziari la Cina chiuderà il 2020 con una crescita economica stimata superiore al 2 per cento. La Cina sarà quindi l’unico paese sviluppato al mondo a chiudere l’anno con l’economia in crescita invece che in calo: dopo il prevedibile declino della prima metà dell’anno, infatti, l’economia cinese si è ristabilita in fretta soprattutto grazie alle esportazioni, ma anche attraverso i progetti con cui il governo punta ad aumentare l’influenza della Cina all’estero. Tuttavia, gli analisti prevedono comunque qualche rischio per i prossimi mesi.
Novembre è stato il mese migliore del 2020 per l’economia cinese. Come ha spiegato il Financial Times, la produzione industriale è aumentata del 7 per cento rispetto allo stesso mese dell’anno precedente e del 6,9 per cento rispetto al mese di ottobre: un dato che supera anche le previsioni degli economisti intervistati dal Wall Street Journal e che secondo l’Ufficio nazionale di statistica cinese ha rappresentato la crescita più grande dal febbraio del 2018. Per dare l’idea, a novembre del 2020 le esportazioni sono aumentate del 21,1 per cento rispetto allo stesso periodo del 2019, soprattutto grazie alla vendita di dispositivi di protezione individuale e vari articoli legati alla pandemia da coronavirus: per quel periodo gli economisti citati da Bloomberg avevano previsto una crescita dell’export del 12 per cento.
Gli esperti hanno stimato che l’economia cinese continuerà a crescere anche nel 2021, stimando un aumento dell’8,4 per cento: secondo le previsioni citate da Axios a fine 2021 l’economia cinese sarà cresciuta del 10,6 per cento rispetto all’inizio del 2020. Come hanno osservato gli analisti Brian Coulton e Pawel Borowski in un report di inizio dicembre per la società di rating Fitch, è un aumento che «sarebbe ben al di sopra delle nostre stime di potenziale crescita sul lungo periodo del 5,5 per cento». La Banca Mondiale ha scritto che l’economia cinese «si è normalizzata più velocemente del previsto, grazie a strategie di controllo della pandemia efficaci, a leggi forti e a esportazioni ottimiste».
In Cina oggi le industrie sono aperte e lavorano a pieno regime, ha spiegato ad Axios Kai-Fu Lee, amministratore delegato di una società che si occupa di fondi ad alto rischio, Sinovation Ventures. Secondo Kai-Fu le aziende cinesi stanno recuperando il tempo perduto durante la pandemia e sopperendo alla produttività ridotta degli altri paesi, sfruttando anche le misure introdotte dal governo, come tassi agevolati sui prestiti e l’esenzione dal pagamento delle tasse, in alcuni casi. Per fare un confronto, stando a quanto ha ricostruito Axios, quest’anno l’economia degli Stati Uniti si è contratta del 3,6 per cento e l’anno prossimo dovrebbe crescere del 4 per cento, concludendo però il 2021 con un margine di crescita dello 0,25 per cento rispetto all’inizio del 2020.
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In Cina non è cresciuta soltanto la produzione industriale, ma sono aumentati anche i consumi (+5 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso), in particolare nel settore della ristorazione e in tutti quelli che riguardano le attività sociali. Le spese nel commercio al dettaglio sono peraltro state trainate anche dal Singles’ Day, che è una sorta di Black Friday orientale che ricorre l’11 novembre. Secondo Fitch i consumi aumenteranno anche nella seconda metà del 2021, a mano a mano che sempre più persone saranno vaccinate.
Ci sono però anche altri modi in cui la Cina sta rafforzando la propria economia.
Da qualche anno, infatti, il governo ha promosso la cosiddetta “Belt and Road Initiative”, cioè un enorme progetto di realizzazione di infrastrutture finanziate dalla Cina in altri paesi dell’Asia e anche in Europa, che permette alla Cina di espandere le proprie vie di comunicazione e di aumentare la propria influenza economica e politica all’estero.
Inoltre, la Cina è una delle grandi nazioni ad aver voluto il Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP), il trattato firmato a metà novembre tra 15 stati della regione Asia-Pacifico che tra le altre cose stabilisce nuove regole sul commercio di beni e servizi e sugli investimenti transfrontalieri. Il trattato deve ancora essere ratificato da tutti gli stati firmatari, ma per esempio prevede che non sia più necessario fare ogni volta accordi specifici tra due stati firmatari per togliere dazi sui beni commerciati. Per questa ragione, il RCEP modellerà il futuro del commercio in Asia e con ogni probabilità spingerà Cina, Giappone e Corea del Sud – tre paesi molto forti nel settore manifatturiero e tecnologico – ad accelerare i negoziati su un accordo di libero scambio.
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Secondo uno studio della rivista medica Lancet, la velocità con cui il governo cinese ha agito per contenere la pandemia da coronavirus e le durissime restrizioni imposte sono state cruciali per impedire la diffusione dei contagi, e in questo senso hanno anche agevolato la rapida ripresa dell’economia. Ciononostante, secondo l’economista di ING esperta di Cina, Iris Pang, ci sono dei «rischi nascosti» che potrebbero compromettere la crescita economica nei prossimi mesi: uno è la cosiddetta “guerra fredda tecnologica” tra Cina e Stati Uniti, vale a dire i tentativi americani di impedire l’espansione all’estero delle aziende tecnologiche cinesi. Secondo Pang le limitazioni e le dispute continueranno anche nel 2021, anche se alla presidenza degli Stati Uniti non ci sarà più Donald Trump, che aveva avviato una guerra commerciale con la Cina.
Secondo Forbes, inoltre, la Cina dovrà anche affrontare il problema del calo demografico, che potrebbe tradursi nella riduzione della forza lavoro disponibile e avere conseguenze sulla capacità di crescita economica dell’industria. Secondo una stima delle Nazioni Unite citata da Forbes, nei prossimi decenni la forza lavoro in Cina si ridurrà del 6,8 per cento.
C’è poi la questione dell’indebitamento. Nell’ultimo anno, il debito complessivo della Cina (privato e pubblico) è cresciuto molto a causa di investimenti poco remunerativi, arrivando a più del 300 per cento del PIL. Per questa ragione il responsabile del settore asiatico della società di analisi economica Oxford Economics, Louis Kuijs, ha detto al Financial Times che per l’anno prossimo gli economisti si aspettano che la Cina frenerà le proprie politiche di espansione economica per concentrarsi di più sul risolvere i problemi interni.