La concorrenza secondo Amazon
L'azienda usa pratiche molto dure contro i suoi avversari ma anche contro alcuni venditori che lavorano sulla sua piattaforma, scrive il Wall Street Journal
Pochi giorni fa il Wall Street Journal ha pubblicato un lungo articolo sulle molte tecniche usate da Amazon per combattere (e in alcuni casi eliminare) la concorrenza, elencando diverse aziende che sono entrate in crisi o hanno subìto gravi difficoltà a causa dell’atteggiamento aggressivo di Amazon. Le storie di alcune di queste aziende sono note da anni, altre sono inedite, e mostrano come Amazon e il suo fondatore, Jeff Bezos, non abbiano mai abbandonato un atteggiamento da startup, da compagnia agli inizi che attribuisce a ogni sfida, anche piccola, un’importanza decisiva.
Bezos ha codificato questo atteggiamento in numerose dichiarazioni pubbliche e in comunicazioni ai dipendenti, dicendo che è sempre «il giorno uno», cioè che Amazon, anche se esiste da 26 anni ed è una delle più grandi aziende del mondo, non deve mai smettere di comportarsi come se fosse agli inizi. La filosofia del «giorno uno», scrive il Wall Street Journal, ha dato enorme impulso ad Amazon, ma al tempo stesso l’ha spinta ad adottare contro la concorrenza pratiche aggressive e controverse, che sono diventate oggetto di indagini da parte delle autorità antitrust e della politica sia negli Stati Uniti sia in Europa.
A volte la concorrenza è sui prezzi, e questi sono i casi più noti: nel 2009, Amazon creò un team interno per contrastare Quidsi, un’azienda di e-commerce che possedeva il sito Diapers.com e che aveva ottenuto enorme successo vendendo pannolini e altri prodotti per neonati. Diapers.com aveva diversi servizi migliori di Amazon, ma Amazon ridusse i prezzi dei pannolini del 30 per cento. Secondo un ex dirigente di Quidsi sentito dal Wall Street Journal, Amazon perdeva 7 dollari per ciascuna confezione di pannolini venduta, ma mise Diapers.com fuori mercato: un anno dopo Quidsi fu venduta ad Amazon per 500 milioni di dollari.
Un altro esempio è Wayfair, un sito americano che vende mobili online e che, a partire dal 2016, fu oggetto di una campagna di Amazon volta a imitare gli aspetti di maggior successo del suo business. Amazon istituì internamente una squadra di 100 persone dedicata allo scopo, il “Wayfair Parity Team”, che rintracciò i principali fornitori di mobili di Wayfair e cominciò a vendere su Amazon gli stessi prodotti. I risultati economici di Wayfair, in quella circostanza, non ne risentirono.
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In altri casi Amazon non si limita a contrastare la concorrenza dei siti di e-commerce, ma secondo il Wall Street Journal usa tecniche controverse contro produttori di successo che vendono sul suo stesso sito, con l’obiettivo di favorire le merci a marchio Amazon, che hanno margini maggiori e fidelizzano i clienti. Uno degli esempi citati è Allibirds, una famosa marca americana che vende scarpe da ginnastica fatte di lana. Allbirds ha avuto molto successo, soprattutto nella Silicon Valley, ma si è sempre rifiutata di vendere i suoi prodotti su Amazon: a un certo punto sul sito di Amazon sono cominciate ad apparire in vendita delle copie fatte da altre aziende, poi Amazon ha creato la sua, a marchio Galen. La scarpa non ha molte delle caratteristiche di Allbirds, come i materiali ecosostenibili, ma è esteticamente molto simile e costa un terzo. Amazon ha detto al Wall Street Journal che nessun copyright è stato violato per la produzione delle scarpe Galen.
Uno dei casi più notevoli è quello di Pirate Trading, una società che, circa un decennio fa, vendeva treppiedi per macchine fotografiche su Amazon, ottenendo 3,5 milioni di dollari l’anno. Nel 2011, però, Amazon rintracciò i produttori che Pirate Trading usava per i suoi treppiedi e cominciò a rifornirsene, vendendo gli stessi oggetti con il marchio AmazonBasics a prezzi stracciati: Dalen Thomas, il proprietario di Pirate Trading, calcolò che avrebbe guadagnato di più a comprare i treppiedi AmazonBasics e a rivenderli su Amazon piuttosto che a comprarli dal fornitore, che a quel punto serviva entrambe le aziende, tanto era basso il prezzo chiesto. Amazon, inoltre, cominciò a sospendere periodicamente la vendita dei prodotti di Pirate Trading, adducendo varie ragioni, come la violazione della proprietà intellettuale, per periodi di tempo anche prolungati.
Secondo alcune aziende, Amazon utilizza a suo vantaggio le informazioni dei venditori che operano sul suo sito, come l’elenco dei fornitori che i venditori sono tenuti a rivelare come garanzia che le loro merci non siano contraffatte: se un prodotto ha successo, Amazon può andare dallo stesso fornitore e farselo fare per sé. Per questo alcuni venditori usano espedienti per rivelare meno informazioni possibili ad Amazon: per esempio, usano degli intermediari per spedire i loro prodotti, per evitare che Amazon possa risalire ai fornitori. Altre aziende accusano Amazon di usare il proprio algoritmo e la propria piattaforma per penalizzare i prodotti altrui e valorizzare i propri. Per esempio, scrive il Wall Street Journal, nel 2017 ha cominciato a vendere un marchio di vestiti simile per stile alla marca americana J.Crew e, approfittando del fatto che J.Crew non vendeva su Amazon, ha dirottato le ricerche che citavano J.Crew sul proprio marchio.
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L’ultima mira di Amazon, molto recente, è Shopify, un sito che vende prodotti online per consentire alle aziende di creare il proprio sistema di e-commerce, dal sito ai sistemi di pagamento. Negli ultimi anni, e soprattutto in seguito alla pandemia da coronavirus, Shopify è diventato estremamente popolare: non è un concorrente diretto di Amazon, perché non ha un servizio di e-commerce proprio, ma fornisce ai venditori servizi e infrastrutture forniti anche da Amazon (tra questi ha da poco inaugurato un sistema di consegne), con commissioni inferiori. Il piano per contrastare Shopify si chiama “Project Santos”.
Anche se Amazon nega tutte le accuse, diverse istituzioni hanno avviato indagini per pratiche anticompetitive. Tra queste la Commissione europea, che a novembre di quest’anno ha accusato Amazon di usare i dati dei venditori per favorire i propri prodotti e di usare metodi impropri per spingerli a usare le sue infrastrutture, per esempio nei servizi di consegna. A ottobre, invece, una commissione del Congresso americano ha paragonato Amazon e altre aziende tecnologiche americane a monopoli.