La morte della contessa Vacca Agusta, 20 anni fa
Fu archiviata come morte accidentale, ma la vicenda innescò grandi e talvolta morbose attenzioni di televisioni e giornali
Vent’anni fa, l’8 gennaio 2001, scomparve a Portofino, in Liguria, la contessa Francesca Vacca Agusta. Da subito si pensò che potesse essere finita in mare scivolando, saltando o venendo spinta giù dalla scogliera di Villa Altachiara, dove viveva: il suo corpo fu infatti ritrovato il 22 gennaio sulla costa di Cap Benat, in Francia, a circa 300 chilometri da Portofino, dove era stato trasportato dalla corrente marina. Di quella morte, che in seguito sarebbe stata archiviata come accidentale, si parlò tanto e a lungo. La contessa Vacca Agusta, infatti, era un personaggio noto a molti, e le circostanze della sua fine – insieme con un certo protagonismo di alcune persone a lei vicine – attirarono le attenzioni talvolta morbose di televisione e giornali.
Vacca Agusta era diventata – non nata – contessa. Alla nascita, nel 1942 a Genova, si chiamava Francesca Vacca Graffagni e negli anni Sessanta aveva lavorato da commessa. Il cognome Agusta e il titolo nobiliare arrivarono nel 1974, quando sposò il conte Corrado Agusta, titolare della nota azienda aeronautica di famiglia. Un paio di giorni dopo la morte della contessa, su Repubblica Wanda Valli sintetizzò così il suo arrivo nella ricca Portofino e il suo incontro con il conte, che aveva vent’anni più di lei:
Si chiama Francesca Vacca, ha un corpo statuario, un viso stupendo. Nessuno la conosce. Le inventano subito un passato da indossatrice a Milano, in realtà fa la commessa a Genova. Corradino Agusta, conte avanti d’età e di grandi ricchezze – è il re degli elicotteri – la vede e se innamora. Per lei lascia la moglie e il figlio Rocky.
Con riferimento agli anni insieme del conte e della contessa Valli parlò di «nottate folli, giri intorno al mondo sul mega yacht “Mau Mau” e cene in casa dello Scià di Persia, per cui il conte lavora insieme con Vittorio Emanuele di Savoia».
Nel 1984 i due si separarono e nel 1989 lui morì e a lei – dopo vicende complicate, che la videro contrapporsi soprattutto a Riccardo “Rocky” Agusta – restò, tra le altre cose, la proprietà di Villa Altachiara. Nella quale iniziò a vivere con Maurizio Raggio, ristoratore e figlio di colui che, sempre secondo il raccontò di Valli, «inventò la “Gritta”, l’american bar più famoso del Tigullio negli Anni Sessanta».
Villa Altachiara si chiama così per una sorta di citazione/traduzione della residenza inglese Highclere Castle, che in anni recenti ha fatto da set per la serie tv Downton Abbey e che per secoli è stata di proprietà della famiglia Carnarvon. Uno dei Carnarvon, George Edward Stanhope Molyneux, finanziò la spedizione che portò alla scoperta della tomba di Tutankhamen e per un periodo visse a Villa Altachiara. Una residenza da mille metri quadrati in un parco di oltre 30mila, con decine di stanze (secondo certe versioni 30, secondo altre 40), una piscina, un prato sul mare e, scrisse Valli, da quando ne divenne proprietario il conte Agusta «un eliporto voluto dal conte per poter ospitare al meglio il suo amico Bettino Craxi».
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Più che per le sue relazioni, però, negli anni Novanta si parlò della contessa Vacca Agusta per via delle sue vicende giudiziarie. Nel periodo di Tangentopoli, infatti, fu accusata insieme a Raggio di ricettazione e nell’ottobre 1994 venne emesso un ordine di custodia cautelare nei loro confronti. Molto in breve, erano accusati di aver contribuito a spostare soldi all’estero per conto di Craxi (che oltre che il conte Agusta si dice fosse in ottimi rapporti anche con Raggio, secondo alcuni il suo “factotum”).
Raggio e Vacca Agusta riuscirono però a scappare in Messico, dove – scrisse Valli – lei aveva «una delle tante, miliardarie, dimore» ereditate dal suo ex marito. Nel 1997 Vacca Agusta decise però di tornare in Italia e, dopo un patteggiamento, fu condannata ad alcuni mesi di detenzione domiciliare. Più o meno in quel periodo, Vacca Agusta iniziò anche una relazione con il messicano Tirzo Chazaro.
La sera dell’8 gennaio 2001, il giorno in cui Vacca Agusta scomparve e presumibilmente morì, Raggio era in Florida e a Villa Altachiara con lei c’erano Chazaro e Susanna Torretta, che gli articoli di quel periodo descrivevano perlopiù come “dama di compagnia” della 58enne Vacca Agusta. A quanto pare, la contessa fu vista per l’ultima volta mentre, intorno alle 19, in pantofole e accappatoio si allontanava dalla villa e si dirigeva verso la scogliera.
Dopo l’8 gennaio, dopo il ritrovamento in mare del suo accappatoio e ancor più il 22 dopo il ritrovamento del corpo (a quanto si scrisse senza acqua nei polmoni, prova del fatto che la morte non fosse avvenuta per annegamento, ma prima di arrivare in mare), ci furono congetture, teorie e ipotesi di ogni tipo. Nel 2011, la prima frase dell’articolo con cui il Secolo XIX ricordava i dieci anni dalla morte di Vacca Agusta, fu questa: «La droga, i gioielli, le dame di compagnia, i fidanzati, gli amanti, la maledizione di Tutankhamen». L’articolo ricordava anche una condanna, presso il tribunale di Genova, di quelli che definiva i «pusher di cocaina» della contessa.
Si parlò, tra le altre cose, di una possibile morte in qualche modo conseguente all’assunzione di alcol e farmaci (ne parlò Calandri e ne parlano anche diversi articoli più recenti). Ma è stato anche scritto che la presenza di farmaci e alcolici non fu rilevata nell’autopsia fatta dopo il 22 gennaio. Si parlò anche di diversi testamenti e, quindi, eventuali moventi. E già nel novembre 2011 Massimo Calandri aveva scritto su Repubblica «il caso è chiuso», spiegando che secondo «i primi risultati di una perizia psichiatrica postuma» era stato determinato che «la contessa era affetta da una forma di “regressione infantile” che si scatenava nei momenti di difficoltà» e che «come una bambina si nascondeva, nella speranza che qualcuno venisse a cercarla».
E parlarono molto anche Chazaro, Torretta e Raggio, senza però mai rivelare granché di davvero utile. Caratterizzati dalla stampa come “faccendiere”, “dama di compagnia” o, nel caso di Raggio, a volte “playboy” e altre “faccendiere” o “factotum” (di Craxi), i tre furono al centro, insieme a Vacca Agusta (“la contessa”, vedova del “re degli elicotteri”), di grandi attenzioni mediatiche, che partivano dalla cronaca rosa e giudiziaria di cui era stata protagonista Vacca Agusta per arrivare alla cronaca nera e alle varie congetture sulla sua morte. E chi indagava fece arrivare spesso e volentieri dettagli di ogni tipo sulle indagini in corso.
«Fu il primo caso che portò la cronaca nera nei salotti tv» ha scritto Marco Imarisio sul Corriere della Sera, che ha parlato di una vicenda durante la quale furono «condivisi in pubblico sentimenti, dolori e finzioni, da esprimere comunque in favore di telecamera».
Sempre Imarisio ha scritto:
A Portofino ricordano con una punta di malizia la mattina del 5 febbraio, quando i dirigenti del Ris di Parma si esibirono in una discesa in corda doppia dalla sommità della scogliera assieme ad altri consulenti dell’accusa. Le telecamere del TG1 riprendevano la scena da una pilotina appostata al largo della baia. Fu in quella occasione che nacque una compagnia di giro composta da esperti e psicologi di vario genere, usa a ritrovarsi sui luoghi dei delitti più o meno celebri, e soprattutto nei salotti televisivi.
Dopodiché, come succede quasi sempre, successe che con il passare delle settimane l’interesse verso la vicenda sfumò e gli spazi occupati dalla morte della contessa Vacca Agusta furono presi da altro. Per esempio dal delitto di Novi Ligure, il 21 febbraio 2001, e poi da quello di Cogne, il 30 gennaio 2002.
Qualche anno fa si parlò del furto del “tesoro della contessa“: dei gioielli, perlopiù, che a quanto pare erano nella casa di un amico di Raggio, che sembra glieli avesse dati per evitare che venissero pignorati. Di Chazaro non si sa granché e già nel 2003 Torretta partecipò alla prima edizione dell’Isola dei Famosi.
Nel 2015, parlandone con Michele Masneri del Foglio, Raggio – che nel frattempo era diventato proprietario di Villa Altachiara – disse di averla venduta per venticinque milioni di euro a un russo con un nome «di quelli difficili, da russo», che Masneri spiegò essere Eduard Khudaynatov, amministratore delegato della società petrolifera Rosneft. Altri scrissero che l’acquirente era invece Andrej Melnichenko, il «79esimo uomo più ricco del mondo».
A fine 2020, il sito dell’emittente ligure Primo Canale aveva scritto senza avere conferme ufficiali che la villa «arrampicata su un picco che si tuffa in mare» e da mesi «fasciata dalle impalcature» era vicina a essere venduta al «braccio destro di Putin».