7 cose su Sciascia
Per chi non lo conosce perché è troppo giovane o perché non gliel'hanno fatto leggere a scuola, oggi che sono passati 100 anni dalla sua nascita
L’8 gennaio 1921, cento anni fa, nacque Leonardo Sciascia, lo scrittore siciliano che fu tra gli intellettuali che ebbero un maggiore impatto sulla società italiana della seconda metà del Novecento. Per capire bene la sua importanza ci sarebbero molte cose da leggere: era uno scrittore molto prolifico, scrisse 11 romanzi, tra cui gialli e un romanzo storico, ma anche innumerevoli tra saggi, racconti, poesie, articoli e sceneggiature. Ebbe anche diversi incarichi in politica e fu più volte al centro del dibattito pubblico: l’ultima volta accadde nel 1987, due anni prima della sua morte, con la cosiddetta polemica sui «professionisti dell’antimafia». Per chi nel 1987 non c’era ancora e per chi non ne ha sentito parlare a scuola, dopo, abbiamo messo insieme 7 cose su Sciascia, di quelle da cui si può partire prima di andare a recuperare i suoi libri.
La cosa per cui Sciascia divenne importante
Con i suoi libri Sciascia ebbe il grande merito di far capire in tutta Italia cos’era davvero la mafia, cambiando la considerazione che l’opinione pubblica aveva di questa forma di criminalità organizzata. Infatti, fino al 1961, anno in cui uscì Il giorno della civetta, il romanzo più celebre e più venduto di Sciascia, nonché il primo a essere tradotto all’estero, molti consideravano la mafia come un fenomeno di folklore, mentre il governo diceva che non esisteva. Il giorno della civetta è un romanzo giallo ed è ispirato all’omicidio di Accursio Miraglia, un sindacalista comunista, avvenuto a Sciacca nel 1947. Racconta delle indagini su un omicidio in un paese siciliano, rese vane dall’omertà diffusa tra la popolazione per via dei legami con la mafia. Di fatto il romanzo spiegò come funzionano certi meccanismi ora noti a tutti, ma di cui allora non si parlava.
La classificazione dell’umanità in cinque categorie
Una delle citazioni più famose di Sciascia è quel passaggio di Il giorno della civetta in cui don Mariano Arena, capo mafioso del paese in cui è ambientato il romanzo, spiega come divide il mondo in cinque categorie di persone:
«Io» proseguì don Mariano «ho una certa pratica del mondo; e quella che diciamo l’umanità, e ci riempiamo la bocca a dire umanità, bella parola piena di vento, la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà… Pochissimi gli uomini; i mezz’uomini pochi, ché mi contenterei l’umanità si fermasse ai mezz’uomini… E invece no, scende ancora più in giù, agli ominicchi: che sono come i bambini che si credono grandi, scimmie che fanno le stesse mosse dei grandi… E ancora di più: i pigliainculo, che vanno diventando un esercito… E infine i quaquaraquà: che dovrebbero vivere come le anatre nelle pozzanghere, ché la loro vita non ha più senso e più espressione di quella delle anatre…»
La fama di Il giorno della civetta fu aumentata dall’omonimo film che ne fu tratto, con Franco Nero e Claudia Cardinale. Questo passaggio è presente anche nel film e contribuì a diffondere l’uso (e l’uso erroneo) dell’espressione siciliana “quaquaraquà”, usata per le persone che parlano molto ma non sono affidabili; da un punto di vista mafioso significa dunque anche “delatore”.
Era un maestro
Dal 1949 e fino al 1957, periodo nel quale già scriveva poesie e saggi, Sciascia insegnò nelle scuole elementari del suo paese natale Racalmuto, per questo è spesso chiamato “maestro” anche sui giornali. Rispondendo a Danilo Dolci, sociologo e attivista per la nonviolenza siciliano, disse di sé: «Sono un maestro delle elementari che si è messo a scrivere libri. Forse perché non riuscivo ad essere un buon maestro delle elementari». Dal 1957 e fino alla pensione nel 1970, lavorò invece per il ministero dell’Istruzione e poi all’interno di uffici amministrativi scolastici siciliani.
Fu europarlamentare, per poco
Nel 1979 Sciascia si candidò con i Radicali sia al Parlamento Europeo che alle elezioni politiche. Venne eletto in entrambi i casi, quindi a due soli mesi dall’inizio di mandato di europarlamentare lasciò l’incarico per diventare deputato a Roma. Fece il deputato fino al 1983 e come tale, tra le altre cose, fece parte della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla strage di via Fani, sul sequestro e l’assassinio di Aldo Moro. In precedenza, dal 1975 al 1977, era stato consigliere comunale a Palermo per il Partito Comunista Italiano.
Sellerio esiste anche per lui (che gli portò Andrea Camilleri peraltro)
E prima ancora contribuì alla nascita della casa editrice di Palermo. Era infatti amico di Elvira Giorgianni e di suo marito Enzo Sellerio, che decisero di diventare editori parlando proprio con Sciascia e con l’antropologo Antonino Buttitta. Anche se senza un incarico ufficiale, Sciascia diresse per anni le collane “La civiltà perfezionata” e “La memoria” e fu un suo libro a far diventare Sellerio una casa editrice nota in tutta Italia: L’affaire Moro, pubblicato nel 1978, un libricino riguardo all’omicidio di Aldo Moro che è sia un pamphlet critico, che uno studio delle lettere che Moro scrisse durante la sua prigionia. Sciascia fu anche la persona che presentò a Elvira Sellerio Andrea Camilleri, poi diventato il più importante autore della casa editrice.
La polemica sull’antimafia
Alla fine degli anni Ottanta Sciascia scriveva per il Corriere della Sera e il 10 gennaio 1987 uscì un suo articolo critico nei confronti dei magistrati che si occupavano di mafia. Nell’articolo Sciascia accusava alcuni giudici palermitani di aver approfittato dei processi contro i mafiosi per fare carriera. In particolare citava Paolo Borsellino – che sarebbe stato ucciso dalla mafia nel 1992 – che aveva ottenuto un incarico da procuratore non per la sua anzianità professionale ma per le competenze che aveva acquisito indagando sulle attività mafiose.
Dell’articolo, per cui Sciascia fu criticato duramente con l’accusa di essere contro la lotta alla mafia, rimase celebre in particolare il titolo, che non fu scritto né approvato da Sciascia: «I professionisti dell’antimafia». Sciascia non era ovviamente critico nei confronti delle indagini sulla mafia, ma non condivideva alcuni dei metodi usati dalla magistratura, che gli sembravano in contrasto con i principi del garantismo. Era anche critico nei confronti del “pentitismo”, cioè della pratica di promettere sconti di pena a mafiosi e terroristi in cambio di informazioni che potevano anche essere false.
«Ce ne ricorderemo, di questo pianeta»
È l’epigrafe sulla tomba di Sciascia ed è una citazione dello scrittore francese Auguste de Villiers de L’Isle-Adam. La ragione per cui Sciascia scelse questa frase per essere incisa sulla sua tomba è spiegata in alcuni appunti manoscritti conservati dalla sua famiglia: «Così partecipo alla scommessa di Pascal [quella per giustificare il credere in Dio, ndr] e avverto che una certa attenzione questa terra, questa vita, la meritano».