In Iran il governo vuole una legge sulla violenza contro le donne
È attesa da anni e arriva sulla spinta del movimento #MeToo ma deve essere votata dal parlamento e la cosa non è scontata
Domenica 3 gennaio, il governo iraniano del presidente Hassan Rouhani, di orientamento centrista e moderato, ha approvato un disegno di legge per punire la violenza contro le donne: la proposta deve ancora essere votata dal parlamento, che è controllato dai conservatori e dagli ultraconservatori, molto più a destra rispetto ai moderati su temi legati al libertà e diritti. La decisione di presentare il disegno di legge è nata sulla spinta del #MeToo e grazie alla pressione dei movimenti che nel paese lottano da decenni per i diritti delle donne. Questi gruppi sostengono che il disegno di legge sia un grande passo in avanti, ma che presenti numerose mancanze.
La bozza completa del disegno di legge non è stata ancora resa pubblica, ma sul sito del governo ne è stata pubblicata una sintesi. Dice che viene considerato un reato «qualsiasi atto che provochi danni fisici, emotivi o alla dignità» di una donna o qualsiasi atto che abbia come risultato la limitazione della sua libertà e dei suoi diritti legali. Il disegno di legge affronta anche la questione delle molestie sessuali e di altri tipi di violenze: l’invio a una donna di un messaggio o di una foto a sfondo sessuale non richiesta, pretendere rapporti sessuali o forzare ad atti sessuali una donna potrebbe comportare punizioni come il carcere da sei mesi a due anni, 99 frustate e multe.
Il disegno di legge chiede poi che venga offerto un concreto sostegno alle donne che hanno subito violenza attraverso la creazione di centri specifici; che i giudici ricevano una formazione sulla violenza di genere; che le forze di sicurezza debbano creare una speciale unità di polizia femminile; che, attraverso il ministero dell’Istruzione, vengano organizzati dei corsi per studenti, insegnanti e genitori; e che si lavori per la prevenzione e sull’identificazione delle giovani donne che sono a rischio di violenza. La proposta prevede anche che il ministero della Salute si assuma l’obbligo di aumentare i servizi medici e psicologici per le donne e di formare adeguatamente il personale per trattare le donne maltrattate.
In Iran non esiste alcun numero ufficiale sulle donne che vengono uccise da familiari o parenti per azioni percepite come violazioni delle norme islamiche o delle consuetudini sociali. Nel 2014 un funzionario della polizia di Teheran, Hadi Mostafayi, aveva detto a Le Monde che il 20 per cento degli omicidi in Iran erano crimini di questa natura. La percentuale fa riferimento solo ai casi che sono stati riportati dai media, ma è certo che ce ne siano molti altri che sono rimasti invisibili. Uno studio condotto sempre nel 2014 ha rilevato che il 66 per cento delle donne sposate che hanno partecipato all’indagine aveva subito violenza domestica almeno una volta nella vita.
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I movimenti che lavorano in Iran per i diritti delle donne chiedono da più di quindici anni l’approvazione di un progetto di legge contro la violenza di genere. Ma, secondo diverse attiviste come Tara Sepehri Far della ong Human Rights Watch, la recente attenzione mediatica internazionale su alcuni specifici casi e la nascita del #MeToo nel paese «hanno aumentato la pressione sul governo per approvare questo disegno di legge che era in preparazione da quasi un decennio». Era stato annunciato nel 2013, durante il governo dell’ex presidente Mahmoud Ahmadinejad, conservatore.
Lo scorso maggio, in Iran, c’erano state grandi proteste per un caso di femminicidio raccontato da tutti i giornali internazionali, quello di Romina Ashrafi, una ragazza di 14 anni decapitata nel sonno dal padre per essere scappata con l’uomo con cui aveva una relazione e aver “disonorato” la famiglia. Romina Ashrafi era stata fermata cinque giorni dopo la fuga ed era stata riconsegnata al padre, nonostante avesse chiaramente riferito alla polizia di temere per la sua vita se fosse tornata a casa. Il giorno successivo il padre aveva provato a strangolarla nel sonno, senza riuscirci, decidendo poi di usare una falce per decapitarla. Prima del crimine, il padre aveva consultato un avvocato ed era dunque a conoscenza delle conseguenze che avrebbe dovuto affrontare.
Secondo l’articolo 220 del codice penale islamico, il padre è il “guardiano” delle proprie figlie e in caso di cosiddetto “delitto d’onore” – un delitto perpetrato allo scopo di “riscattare” l’onore della famiglia – è previsto uno sconto di pena. Il padre di Romina Ashrafi sapeva dunque che non avrebbe rischiato la pena di morte come sarebbe accaduto per un altro omicidio in Iran, ma dai tre ai dieci anni di carcere e il pagamento di un indennizzo.
Sui social, nei movimenti femministi, sui giornali internazionali e su alcuni giornali locali, dove la vicenda era finita in prima pagina, si era parlato molto di violenza istituzionalizzata contro le donne da parte dello stato o legittimata dallo stato. E si era cominciato a protestare contro le leggi patriarcali in vigore nel paese e la mancanza di qualsiasi forma di protezione per donne e ragazze. Alcune attiviste femministe avevano detto che il vero assassino di Romina Ashrafi era la Repubblica Islamica dell’Iran.
Ad agosto, le donne iraniane avevano iniziato a prendere collettivamente parola contro la violenza subita e avevano accusato di cattiva condotta sessuale più di 130 uomini: tra loro c’era un artista molto conosciuto, Aydin Aghdashloo, l’ex manager di una società di e-commerce, un famoso professore di sociologia e il proprietario di una libreria. Alcune accuse erano state prese in considerazione e avevano avuto delle conseguenze. Keivan Imamvardi, il libraio accusato di aver stuprato 300 donne, 30 delle quali lo avevano formalmente accusato, è stato ad esempio condannato per «corruzione sulla terra», il crimine più grave nel codice penale iraniano.
Per Tara Sepehri Far di Human Rights Watch, così come per alcuni movimenti femministi, il disegno di legge non è comunque all’altezza degli standard internazionali contro la violenza di genere e non affronta tutti gli aspetti della violenza che le donne devono sostenere: è troppo generico nella definizione di “violenza”, non si occupa delle questioni dello stupro coniugale e del matrimonio infantile (in Iran le donne si possono sposare legalmente dai 13 anni, ma anche se una bambina ha meno di 13 anni suo padre può chiedere a un giudice il permesso di farla sposare). Ci sono dunque diverse richieste per renderlo più coraggioso e poi adottarlo con rapidità.
Altre attiviste pensano che il disegno di legge rappresenti un notevole passo avanti: «Lo aspettavamo da dieci anni», ha raccontato al New York Times Shima Ghoosheh, avvocata di Teheran che è stata consultata dal governo per la stesura della bozza: «Penso che questo sia un passo avanti perché ci fornisce una legge generale per la protezione delle donne che poi potremo costruire e modificare».
Masoumeh Ebtekar, vicepresidente dell’Iran con delega agli affari delle donne e della famiglia, ha twittato che il testo era il risultato di centinaia di ore di deliberazioni da parte di esperti legali e governativi. Leila Rahimi, avvocata che ha rappresentato pro bono diversi casi legati al #MeToo, ha detto che il nuovo disegno di legge aiuterà a sostenere le donne che si stanno facendo avanti con le loro storie e che intendono intraprendere azioni legali. Ha anche detto che, dallo scorso agosto, il numero di donne che la contattano per casi legati al #MeToo è costantemente aumentato: «Mi dicono che devono farlo per loro e per le altre donne. La speranza è che mentre le donne parlano, la legge le ascolterà».
La proposta del governo, per diventare effettivamente legge, deve essere approvata dal parlamento, controllato dai conservatori e ultraconservatori spesso in contrasto con il governo, che ha posizioni molto più centriste. Dopodiché il testo dovrà passare dal Consiglio dei guardiani, organo formato da 12 membri, sei religiosi e sei giuristi, tutti vicinissimi alla Guida suprema, l’ultraconservatore Ali Khamenei. E questo potrebbe rappresentare un ulteriore ostacolo.
L’avvocata Shima Ghoosheh e altre due legali sono comunque fiduciose che il parlamento approverà il disegno di legge, perché il testo stesso è stato modificato e mitigato per riflettere le opinioni della magistratura e dei legislatori.