La travagliata storia del vaccino di AstraZeneca
L'approvazione da parte delle autorità britanniche ha sollevato qualche perplessità fra gli esperti: c'entra soprattutto la fase di sperimentazione, che è stata molto accidentata
Mercoledì 30 dicembre l’Agenzia regolatrice dei farmaci britannica (MHRA) ha autorizzato la somministrazione di massa nel Regno Unito del vaccino contro il coronavirus prodotto dalla società britannica AstraZeneca e dall’Università di Oxford. Al momento il Regno Unito è l’unico paese ad avere approvato questo vaccino: né l’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) né la Food and Drug Administration (FDA), le due agenzie regolatrici che operano rispettivamente nell’Unione Europea e negli Stati Uniti, prevedono di farlo a breve.
La mossa sta generando domande e perplessità soprattutto in Europa, dove le istituzioni comunitarie e i governi nazionali avevano fatto moltissimo affidamento sul vaccino di AstraZeneca, per diverse ragioni: perché era il più economico e il più facile da conservare, e perché a differenza della maggior parte degli altri vaccini era stato sviluppato e prodotto interamente in Europa. Al di là dell’autorizzazione da parte di EMA ed FDA ancora da definire, gli esperti fanno notare come la fase di sperimentazione di questo vaccino sia stata molto accidentata, al punto che l’approvazione da parte di altre agenzie regolatrici nel mondo non sembra così scontata.
A differenza di quelli sviluppati da Pfizer-BioNTech e Moderna, il vaccino di AstraZeneca non si basa sulla produzione di RNA messaggero (mRNA), cioè la molecola che si occupa di codificare e portare le istruzioni contenute nel DNA nelle cellule, ma utilizza invece un metodo più convenzionale, partendo da uno dei virus che causano il raffreddore comune negli scimpanzé. Il materiale genetico della proteina che il coronavirus sfrutta per legarsi alle cellule umane e replicarsi è stato trasferito nel virus degli scimpanzé e reso innocuo per gli esseri umani. In questo modo il sistema immunitario degli esseri umani, esposto tramite il vaccino al virus degli scimpanzé, impara ad attaccare la proteina, così da potere affrontare le eventuali infezioni causate dal coronavirus vero e proprio.
I ricercatori di AstraZeneca e dell’Università di Oxford hanno impiegato poche settimane per sviluppare il vaccino, e una prima fase di sperimentazione sugli esseri umani era iniziata già il 23 aprile, a circa due mesi di distanza dalla diffusione di massa del coronavirus in Europa. Nella seconda fase di sperimentazione, che era iniziata il 28 maggio, gli scienziati decisero di somministrare ai pazienti un dosaggio sperimentale di due dosi da circa 50 miliardi di particelle virali l’una, a distanza di 4 settimane. E qui sono iniziati i guai.
Per produrre il vaccino nelle quantità necessarie alla sperimentazione, AstraZeneca aveva fatto affidamento su alcune aziende esterne. Una di queste, la Advent, che ha sede a Pomezia (Roma), per misurare l’esatta quantità delle particelle virali nel nuovo vaccino si era affidata alla PCR quantitativa, un metodo che in estrema sintesi permette l’analisi di una sostanza amplificando il suo DNA. A Oxford, però, fino a quel momento avevano usato una tecnica di misurazione diversa, che prevedeva l’utilizzo dei raggi ultravioletti.
Una volta ricevute le dosi di vaccino da Advent – il lotto era identificato col numero di serie K.0011 – gli scienziati di Oxford avevano ritenuto che la concentrazione delle particelle virali fosse eccessiva, pensando ci fosse stato un errore di calcolo nei dosaggi da parte del produttore. A quel punto avevano chiesto e ottenuto dalla MHRA di somministrare a poche centinaia di persone un dosaggio minore del vaccino prodotto da Advent, per ridurre i rischi e nel frattempo non interrompere la fase di sperimentazione: mezza dose per la prima iniezione, e una dose intera per la seconda. La MHRA aveva dato il proprio consenso e il vaccino con il dosaggio dimezzato era stato somministrato a 1.367 persone, come attestato da un aggiornamento sulla sperimentazione del vaccino pubblicato da AstraZeneca e Oxford sulla rivista scientifica Lancet.
Alla fine di questa fase di sperimentazione sono successe due cose, non è chiaro esattamente in quale ordine. Per prima cosa, gli scienziati di Oxford si sono accorti di avere sbagliato. Come spiega una lunga e dettagliata inchiesta pubblicata il 27 dicembre da Reuters sul vaccino AstraZeneca, «un comune emulsionante, il Polisorbato 80, usato nei vaccini per facilitare il mescolamento delle sostanze, aveva interferito col rilevatore a raggi ultravioletti che misura la quantità di particelle virali, come dimostrato dai documenti forniti a Lancet».
Insomma: AstraZeneca aveva ridotto la quantità di particelle virali nel vaccino prodotto in Italia perché pensava fosse troppo concentrato; in realtà i calcoli degli esperti italiani erano esatti, e si era scoperto che alle 1.367 persone coinvolte era stata somministrata una dose di vaccino che conteneva circa 22 miliardi di particelle virali, meno della metà rispetto a una dose intera.
La seconda cosa che era emersa è che il dosaggio ritenuto errato, cioè mezza dose a una prima iniezione e una dose intera a distanza di quattro settimane, risultava più efficace rispetto a quello standard, che prevedeva due dosi intere ed era stato somministrato a 4.440 persone. Il primo aveva un’efficacia intorno al 90 per cento, mentre il secondo intorno al 62 per cento, notevolmente più bassa.
In un’intervista data al New York Times a fine novembre, il capo di AstraZeneca Menelas Pangalos ha definito «un errore utile» quello che aveva portato alla scoperta del dosaggio più efficace: altri scienziati coinvolti nel progetto hanno negato che sia stato un errore, e l’hanno definita una scelta consapevole (AstraZeneca ha preferito non commentare l’inchiesta di Reuters). L’aggiornamento pubblicato su Lancet sottolineava comunque come fossero necessari «maggiori approfondimenti per capire i meccanismi della superiore efficienza» del dosaggio inferiore a quello standard.
Arriviamo a oggi. Un po’ a sorpresa l’MHRA ha approvato la somministrazione del vaccino di AstraZeneca non nel dosaggio dimezzato, che ha ottenuto risultati migliori, ma in quello standard: nel sito dell’agenzia si legge infatti che ogni dose contiene 50 miliardi di particelle virali, e che la prassi approvata prevede l’iniezione di due dosi a una distanza compresa fra 4 settimane (quella standard) e 12 settimane (sperimentata durante una fase dei test realizzata in Brasile).
Reuters faceva notare che il dosaggio dimezzato non era ancora stato testato su persone di età superiore ai 55 anni – nessuno dei 1.367 era più anziano – mentre su Twitter lo scienziato dell’Imperial College di Londra Giorgio Gilestro ha ipotizzato che l’MHRA non se la sia sentita di autorizzare il dosaggio dimezzato per via delle poche persone coinvolte nella sperimentazione, a differenza di quello standard (l’MHRA non ha ancora spiegato la decisione).
Ad ogni modo, l’MHRA si è trovata davanti a una scelta molto complicata: da un lato aveva un dosaggio sperimentato su più persone – anche sugli anziani – con un’efficacia piuttosto bassa rispetto ai vaccini di Pfizer-BioNTech e Moderna; dall’altro un dosaggio che garantiva un’efficacia paragonabile, ma sperimentata su molte meno persone, e soprattutto nessuno sopra i 55 anni. In tutto questo, il governo di Boris Johnson ha fatto di tutto per mettere pressione sia ad AstraZeneca sia all’Università di Oxford – a un certo punto ha persino telefonato agli scienziati per complimentarsi per il lavoro che stavano facendo – e anche sulla stessa MHRA, dato che aveva fatto più volte intendere di aspettarsi un’autorizzazione nelle prime settimane del 2021.
Non è ancora chiaro se nelle prossime settimane il vaccino di AstraZeneca riuscirà a ottenere l’autorizzazione dell’EMA e dell’FDA: i funzionari di EMA hanno fatto sapere di non avere ancora ricevuto alcuna richiesta formale e che per il momento AstraZeneca si è limitata ad aggiornare i dati sulle proprie sperimentazioni. Contattata dal Post, un portavoce di EMA ha riferito ogni questione a un comunicato stampa piuttosto interlocutorio pubblicato il 30 dicembre.
Per l’Unione Europea e l’Italia, in particolare, la mancata approvazione del vaccino di AstraZeneca in tempi brevi sarebbe un grosso problema: secondo i dati diffusi dal ministero della Salute il governo italiano aveva previsto di ricevere e somministrare entro giugno del 2021 40,3 milioni di dosi del vaccino AstraZeneca, cioè poco meno della metà degli 85,4 milioni di dosi totali dei sei vaccini prenotati.
Una fonte vicina alla sperimentazione statunitense del vaccino (distinta dalle altre effettuate, per via di un’interruzione in autunno) ha invece detto al Wall Street Journal che entro febbraio arriveranno i risultati da presentare alla FDA.