L’economia della Corea del Nord non andava così male da decenni
La pandemia sta facendo più danni delle sanzioni internazionali, e sta facendo saltare i piani del dittatore Kim Jong-un
La pandemia da coronavirus sta provocando una delle peggiori crisi economiche in Corea del Nord da decenni, molto probabilmente la peggiore. Le restrizioni imposte dal governo guidato dal dittatore Kim Jong-un hanno praticamente bloccato le importazioni, complicato le esportazioni e chiuso il settore del turismo, una delle ultime fonti di entrate del paese, duramente colpito dalle sanzioni internazionali e dalle difficoltà nei viaggi. Secondo le stime di Kim Byung-yeon, professore all’Università Nazionale di Seul, in Corea del Sud, nel 2020 l’economia della Corea del Nord potrebbe crollare del 10 per cento, una percentuale anche superiore a quella registrata nel 1992, quando il paese fu colpito da una gravissima carestia.
Come la maggior parte delle notizie che riguardano la Corea del Nord, anche le stime sull’andamento dell’economia vanno prese con cautela. I numeri messi insieme da Kim Byung-yeon, che studia l’economia nordcoreana da vent’anni, sono basati su dati raccolti dalla banca centrale della Corea del Sud e non direttamente da informazioni ufficiali e affidabili diffuse dal governo nordcoreano, che non esistono; ma sono ugualmente indicativi per valutare una tendenza, e aiutano a capire quale sia l’attuale situazione della Corea del Nord e del suo regime.
Nonostante la Corea del Nord abbia sostenuto di non avere casi di coronavirus – affermazione ritenuta poco credibile da molti esperti – negli ultimi mesi il regime ha imposto dure restrizioni e prolungati lockdown sul suo territorio: «Pyongyang [la capitale della Corea del Nord] non aveva altra scelta che mettere in piedi una difesa pesante», ha scritto il Wall Street Journal, perché un’epidemia da coronavirus avrebbe messo in estrema sofferenza un sistema sanitario già estremamente debole e vulnerabile.
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Le misure restrittive imposte a causa del coronavirus hanno però provocato conseguenze economiche enormi, che sono andate a sommarsi a quelle legate alle sanzioni economiche internazionali (decise per il programma nucleare e missilistico nordcoreano) e a devastanti tifoni e alluvioni che hanno colpito il paese nel corso del 2020.
Uno dei crolli più netti si è verificato nel commercio con la Cina, l’unica grande potenza amica della Corea del Nord. Secondo i dati diffusi dall’ufficio della dogana cinese, nel 2020 il commercio con la Cina è crollato del 75 per cento rispetto a quello dell’anno precedente. Solo a ottobre il crollo è stato del 99 per cento rispetto allo stesso mese del 2019, a causa del blocco delle esportazioni di alcuni beni, come scarpe e orologi, e dell’importazione di cibo e medicine. Anche il traffico illegale di beni – che è un pezzo significativo delle importazioni della Corea del Nord, sviluppato soprattutto per aggirare le sanzioni internazionali – si è ridotto in maniera significativa. Il regime ha ordinato alle guardie di frontiera di prendere ulteriori precauzioni per disinfettare le merci e di aumentare le sanzioni contro i trafficanti che fanno entrare beni non in sicurezza.
Le misure restrittive e la riduzione degli scambi hanno quadruplicato il prezzo di alcuni beni alimentari di base, ma non solo. Il valore del won nordcoreano è aumentato due volte quest’anno in relazione al dollaro statunitense (l’ultimo aumento è stato del 20 per cento), probabilmente come risultato del tentativo del regime di prevenire un suo deprezzamento. Le autorità hanno provato a limitare l’uso del dollaro e dello yuan cinese, minacciando sanzioni molto dure per chi non avesse rispettato le regole. Secondo l’intelligence sudcoreana, almeno un importante commerciante di valuta straniera sarebbe stato condannato a morte e ucciso.
Diversi analisti sostengono che l’apprezzamento della valuta locale sarebbe stato deciso proprio a seguito di un giro di vite contro le transazioni basate sul dollaro: l’obiettivo del regime sarebbe rafforzare il proprio controllo sull’economia, dopo anni di liberalizzazioni. Andrei Lankov, esperto di Corea del Nord della Kookmin University di Seul, ha detto al Financial Times che da ottobre ci sono stati «cambiamenti significativi» nella situazione della valuta nordcoreana dopo anni di «notevole stabilità finanziaria».
Non sembra comunque che le nuove difficoltà economiche della Corea del Nord spingeranno Kim Jong-un a riprendere i negoziati con gli Stati Uniti sul suo programma nucleare, almeno per ora. I negoziati erano ricominciati nel 2018, quando Kim e il presidente statunitense Donald Trump si erano incontrati per la prima volta a Singapore, ma si erano arenati piuttosto in fretta per la troppa distanza tra le posizioni delle due parti, che avevano ottenuto l’unico risultato alla portata di entrambi: un riconoscimento di legittimità internazionale per Kim Jong-un e un risultato apparentemente promettente in politica estera per Donald Trump. Non sembra nemmeno che la situazione possa provocare il crollo del regime nordcoreano, che negli ultimi decenni ha mostrato di poter sopravvivere a gravi crisi e all’imposizione di dure sanzioni internazionali.