Isolare il Regno Unito serve contro la nuova variante del coronavirus?
Molti governi hanno sospeso voli e chiuso i confini, ma la variante potrebbe essere già in circolazione altrove e non è detto che peggiori le cose
Da lunedì 21 dicembre diversi paesi, compresa l’Italia, hanno interrotto i collegamenti aerei da e verso il Regno Unito, in seguito alle notizie su una variante del coronavirus identificata nel paese e che si sospetta riesca a diffondersi più rapidamente, rispetto alle varianti finora circolate. I blocchi hanno anche comportato grandi disagi nel porto britannico di Dover, con centinaia di camion diretti verso la Francia bloccati. La situazione è migliorata nelle prime ore di oggi, ma in molti si sono chiesti se le limitazioni nei confronti del Regno Unito decise dai governi possano servire davvero a fermare la diffusione della nuova variante.
Come abbiamo raccontato più estesamente qui, ci sono ancora molte cose da chiarire sulla “variante inglese”, a cominciare dalla sua presunta capacità di diffondersi più rapidamente o di causare casi di COVID-19 con sintomi più gravi (dalle prime analisi appare poco probabile). I virus mutano di continuo e da quando è iniziata la pandemia lo ha fatto anche il coronavirus SARS-CoV-2, portando a diverse varianti che diventano prevalenti in alcune aree geografiche, si spostano altrove a seconda dei flussi di chi si muove per lavoro o turismo, e infine evolvono in ulteriori varianti. Nella maggior parte dei casi, le mutazioni non cambiano il comportamento di base di un virus, né lo rendono più pericoloso.
Oltre a non conoscerne ancora tutte le caratteristiche, non sappiamo nemmeno quanto la variante identificata nel Regno Unito sia già presente altrove. E non è una differenza da poco nel decidere se imporre o meno blocchi ai confini, come ha spiegato piuttosto categoricamente Peter Kremsner, responsabile della clinica universitaria di Tubinga in Germania: “È da idioti. Se questa variante fosse solo sull’isola, allora avrebbe senso chiudere i confini con Inghilterra, Scozia e Galles. Ma se si è già diffusa, allora dobbiamo affrontare la variante ovunque”.
Kremsner, come altri esperti, ritiene improbabile che la variante non si sia già diffusa per lo meno in alcuni paesi europei, considerato che era in circolazione da mesi. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ritiene che sia comunque “prudente” mantenere le limitazioni per gli spostamenti da e verso il Regno Unito, in attesa di avere qualche dettaglio in più. Alcuni paesi hanno adottato vie intermedie, richiedendo un test negativo al coronavirus come prerequisito per poter superare il confine.
Il primo caso positivo alla variante del coronavirus era stato identificato nel Kent, nel sud-est dell’Inghilterra, lo scorso 20 settembre. Ora è ritenuta predominante nell’area metropolitana di Londra e, considerata la quantità di visitatori internazionali che ha la città, appare improbabile che la variante non si sia diffusa altrove. L’annuncio del primo ministro britannico, Boris Johnson, sul coronavirus che aveva raccolto quasi 20 mutazioni è stato fatto alla fine della scorsa settimana, ma la variante del coronavirus era in circolazione già da mesi.
Le autorità sanitarie di alcuni paesi europei hanno del resto confermato in questi giorni di avere rilevato casi positivi, riconducibili alla “variante inglese”. Tra questi ci sono Francia, Germania, Danimarca, Islanda, Paesi Bassi e Italia. I governi di questi e di altri paesi ritengono che comunque la chiusura dei voli possa consentire di mantenere basso il numero di nuovi casi, riducendo il rischio che la variante si diffonda tra le loro popolazioni.
La Commissione Europea ha intanto invitato gli stati membri a evitare blocchi generalizzati nei confronti del Regno Unito, soprattutto per evitare problemi nella catena di spedizione e distribuzione delle merci. L’invito è stato formulato anche in seguito alla situazione di Dover, con centinaia di camion fermi, molti dei quali con consegne di beni deperibili o da effettuare entro le feste di Natale.
Il Regno Unito ha uno dei sistemi più accurati di analisi per il SARS-CoV-2, e rileva quindi con frequenza mutazioni, che accumulandosi portano poi a varianti del coronavirus che finiscono in circolazione tra la popolazione. I ricercatori ipotizzano che varianti simili a quella inglese possano essersi presentate già altrove, e che siano passate inosservate in mancanza di attività di analisi più accurate.
Da qualche giorno si parla per esempio di un’altra variante, identificata in Sudafrica, che sembra comportare una maggiore carica virale tra gli infetti (semplificando, una maggiore concentrazione di particelle virali per individuo). Le analisi sono ancora in corso per valutare se questa variante comporti sintomi più gravi da COVID-19, come avviene talvolta con i virus che fanno sviluppare un’alta carica virale.
La chiusura dei collegamenti aerei verso specifici paesi ricorda i provvedimenti che assunsero diversi governi all’inizio della pandemia, quando si rilevavano i primi casi di coronavirus. In quel caso le limitazioni si rivelarono tardive, perché evidentemente il virus era già ampiamente in circolazione tra la popolazione, anche se non ne era stata rilevata strumentalmente la presenza tramite i test.
Le attuali limitazioni potrebbero rivelarsi inefficaci nel rallentare la diffusione della nuova variante che, è bene ricordarlo, al momento non sappiamo se possa peggiorare o meno l’andamento della pandemia.