Mauro Bellugi non ha più le gambe
L'ex calciatore dell'Inter è ricoverato per COVID-19 all'ospedale Niguarda di Milano, da dove «piange e ride» della malattia e delle sue terribili conseguenze
L’ex calciatore Mauro Bellugi, già difensore dell’Inter e della Nazionale, è ricoverato dal 4 novembre all’ospedale Niguarda di Milano, dopo essere risultato positivo al coronavirus. Recentemente gli sono state amputate entrambe le gambe: il 13 novembre la prima, il 20 la seconda. La doppia amputazione è stata decisa dai medici in seguito al peggioramento di altre patologie che Bellugi aveva prima di contrarre il COVID-19.
La notizia della sua malattia e delle amputazioni è stata data ieri dallo stesso Bellugi in un’intervista al giornalista Luca Serafini. Bellugi, che giocò anche nel Napoli e nel Bologna, vinse il campionato di Serie A con l’Inter nel 1971 e partecipò con la Nazionale ai Mondiali del 1974 e del 1978. Nell’Inter segnò una sola rete, in Coppa dei Campioni nel novembre 1971. Proprio riferendosi a quel gol, Bellugi ha detto a Serafini: «Hanno persino tagliato la gamba con la quale ho segnato contro il Borussia Monchengladbach». In compenso, Bellugi ha detto che prenderà «protesi come quelle di Pistorius, quindi potrò sorpassarti nei corridoi degli studi televisivi». Conclusa la carriera da calciatore, infatti, dopo una breve esperienza da allenatore Bellugi era diventato opinionista per varie emittenti televisive locali.
Oggi la storia di Bellugi e delle sue condizioni di salute trova molto spazio sui giornali italiani. La moglie Lory ha detto al Corriere che resta ottimista. «La strada è lunga ma piano piano ne verrà fuori. Il virus gli ha procurato delle ischemie. L’unica soluzione era amputare le gambe». Carletto Muraro, che nell’Inter giocò dal 1973 al 1975, ha raccontato: «L’ho conosciuto quando Mauro stava finendo con l’Inter e io cominciavo. In panchina Helenio Herrera, il ritorno del Mago. La prima volta insieme a San Siro. Contro il Cagliari. E Mauro a mettere la museruola a Gigi Riva. Come giocatore non gli mancava niente. Gran difensore. E sempre pronto alla pacca sulla spalla al compagno che sbagliava».
Maurizio Crosetti di Repubblica ieri ha parlato con Bellugi al telefono, in un’intervista in cui – dice – l’ex calciatore «piange e ride». Dopo un ricordo di Paolo Rossi («penso a Paolino, la cosa più brutta di quest’anno, povero caro amico mio»), Bellugi ha raccontato del suo ultimo mese: «Avevo male dappertutto, le gambe, la schiena. Una sera, anche ai piedi e non mi era mai successo. Mi levo i calzini e vedo che sono diventati neri come la pece. Così corro all’ospedale Monzino dal mio amico Piero Montorsi, interista matto, che mi guarda e mi dice: Mauro, inutile girarci intorno, se vuoi vivere bisogna tagliare, altrimenti puoi pure morire in due ore. Avevo la cancrena fino all’inguine e un male, no, davvero, non puoi capire che male».
Bellugi ha poi spiegato come da tempo soffra di «una malattia mediterranea» che però «aveva bisogno di un socio, di un compagno di merende, e insieme al COVID si sono trovati e hanno fatto baraonda, un macello proprio, quei due insieme si sono scatenati». Poi ha scherzato ricordando che il medico che l’ha operato, interista, prima di amputarla ha toccato la gamba che ha fatto quel gol al Borussia, l’unico della sua carriera. «E io gli ho risposto: Piero, ma se amputavi Messi che facevi? Gli toccavi la gamba seicento volte, una per gol?».
A proposito di quel gol Bellugi ha ricordato: «Mi arriva questa palla spiovente, rinviata una decina di metri oltre la loro area: la stoppo con il petto e la calcio al volo di destro, sotto la traversa. Un numero da attaccante vero! Ho sempre pensato che se fai una cosa soltanto nella vita, poi quella cosa se la devono ricordare tutti per l’eternità. Sono sincero, perdere la gamba del gol al Borussia mi ha fatto girare le balle, senza offesa per quell’altra gamba, la sinistra, poverina…».
Poi Bellugi è tornato sull’argomento protesi dicendo che pensa «all’automobile che guiderò senza le gambe», alle protesi con i sensori che è «come avere una specie di piede». Ha detto che vorrebbe «ricominciare a trottare», ma che da «vecchio calciatore in pensione» gli basterebbe «camminare da casa al ristorante e dal ristorante a casa». Per Bellugi l’esempio da seguire è quello di Alex Zanardi, anche se «lui è un triplo supereroe, io sono solo un uomo con un po’ di palle che si ispirerà ad Alex».
Bellugi arrivò alla prima squadra dalle giovanili dell’Inter. Dal 1969 al 1974 giocò 90 partite, poi 81 con il Bologna dal 1975 al 1979. In quegli anni giocò anche il Mondiale del 1978 in Argentina. Di quel Mondiale, lo stesso Bellugi raccontò: «Dicevano, lo so, che Bellugi ha una gamba più corta, che era una pazzia farmi giocare in nazionale, che Bearzot si era… innamorato di me. Ho letto, ho ascoltato, ho taciuto. Io preferisco rispondere sul campo. Il calcio è il mio mestiere: non l’ho mai tradito, non lo tradirò mai. Bellugi è un uomo».
Bellugi era un difensore atipico per la sua generazione, perché sapeva giocare bene con i piedi e contribuire al gioco della squadra, ma era anche rude quanto era necessario nel calcio di allora. Del Mondiale del 1978, ancora Bellugi in passato raccontò ad Alfeo Biagi della marcatura del tedesco Klaus Fischer: «Credeva di intimidirmi entrando a catapulta, scalciando, colpendomi come e non appena poteva. Lo hai visto come è finita: in una entrata volante, ho allargato il gomito, c’è finito contro con il viso, è piombato il medico a cucirgli il labbro che penzolava sul mento, lì sul campo di gioco… io non cerco la rissa, ma se mi cercano mi trovano sempre».