C’è una crisi politica in Nepal, e non è importante solo per il Nepal
Ma anche per la Cina e l'India, che da tempo si contendono l'influenza sul piccolo paese asiatico
Domenica la presidente del Nepal, Bidya Devi Bhandari, ha sciolto la Camera bassa del parlamento accogliendo una richiesta del primo ministro nepalese, K. P. Sharma Oli, che aveva provocato grandi proteste sia all’interno del suo stesso partito di governo, sia tra i membri dell’opposizione. L’instabilità politica del Nepal è una questione importante perché è seguita con interesse dalle due grandi potenze dell’area, Cina e India, che da tempo si contendono l’influenza sul paese, storicamente più vicino all’India ma dipendente da qualche anno dai grandi investimenti economici cinesi ottenuti anche grazie al primo ministro Oli.
Con lo scioglimento della Camera, la presidente Bhandari ha anticipato alla prossima primavera le elezioni parlamentari, che si sarebbero dovute tenere nel novembre del 2022.
Oli è stato eletto per un secondo mandato nel 2017 (era già stato primo ministro dal 2015 al 2016) ed è a capo del Partito comunista nepalese, nato nel 2018 dall’unione dei due partiti comunisti che avevano vinto in coalizione le elezioni del 2017. Oltre a Oli, che veniva dal partito comunista marxista-leninista, era stato concordato che il nuovo partito avesse un altro leader, Pushpa Kamal Dahal, che era capo dei comunisti centro maoisti e che era stato determinante nella formazione della coalizione del 2017. Anche Dahal, che è conosciuto come Prachanda (“il fiero”, in nepalese), è già stato primo ministro, dal 2008 al 2009 e dal 2016 al 2017.
Le distanze tra le fazioni all’interno del partito non sono mai state colmate e negli ultimi tempi è cresciuto il malcontento verso il lavoro di Oli, che aveva iniziato il suo governo con la promessa di reprimere la corruzione, senza riuscirci. Il ministro della Salute, Bhanu Bhakta Dhakal, molto vicino a Oli, è stato accusato di corruzione da uno dei leader dell’opposizione, Ramesh Paudyal, nell’ambito dell’acquisto di attrezzature mediche dalla Cina per contenere il coronavirus.
Messo sostanzialmente in minoranza nel suo partito, Oli ha consigliato alla presidente di sciogliere la Camera per evitare un voto di sfiducia nei suoi confronti che probabilmente avrebbe portato Dahal a diventare primo ministro. Non appena lo ha fatto, sette dei 25 ministri del governo (tutti vicini a Dahal) si sono dimessi per protesta. Molti esperti però hanno sollevato dubbi di costituzionalità sull’azione di Oli, dato che la Costituzione nepalese, in vigore dal 2015, non permette a un primo ministro della maggioranza di consigliare uno scioglimento della Camera, tanto più se governa con due terzi della maggioranza. Se la decisione fosse giudicata incostituzionale, potrebbe essere impugnata dalla Corte Suprema del Nepal.
Oli si è giustificato dicendo di non avere altra scelta, visto che l’altra fazione del partito non collaborava. Il Comitato permanente del partito ha proposto un’azione disciplinare nei suoi confronti, ma lui stesso l’ha respinta in quanto capo della formazione politica. Lo scioglimento della Camera ha anche portato a numerose proteste, soprattutto davanti al parlamento nella capitale Katmandu.
Un’eventuale fine del governo di Oli, per mano del suo partito o attraverso elezioni, scontenterebbe la Cina e farebbe contenta l’India.
Quando Oli è stato eletto, tra i suoi obiettivi dichiarati c’era quello di rinforzare i legami economici con la Cina, per diversificare i suoi accordi commerciali e non dipendere solo dall’India. Da parte sua, la Cina ha effettivamente investito molto negli ultimi anni nell’economia del Nepal, soprattutto da quando al governo c’è la nuova coalizione comunista: la Cina vorrebbe portare il Nepal sotto la propria influenza, sia per ragioni di egemonia sulla zona rispetto all’India, sia perché lo considera un territorio di importanza strategica sotto molti punti di vista, di difesa e di transito. Ad esempio la Cina vorrebbe far passare dal Nepal una nuova ferrovia transfrontaliera nell’ambito del progetto “Belt and Road Initiative”, che vorrebbe collegare la Cina al subcontinente indiano.
Oli ha cercato in tutti i modi di entrare nelle grazie del presidente cinese Xi Jinping. Ha organizzato un evento di due giorni dal titolo “Xi Jinping Thought” (“Il pensiero di Xi Jinping”), sulla teoria politica alla base del suo governo in Cina, e lo ha ospitato nella prima visita di un presidente cinese in più di vent’anni in Nepal. Inoltre, i due leader hanno da poco deciso insieme l’altezza convenzionale del monte Everest.
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Dall’altra parte, ultimamente i rapporti del Nepal con l’India non sono stati altrettanto buoni, nonostante i due paesi siano sempre stati legati dalla religione (entrambi sono a maggioranza induista) e dall’economia (sia per gli investimenti, sia perché molti nepalesi lavorano in India).
Nel 2015, dopo una sanguinosa insurrezione maoista e decenni di monarchia, il Nepal approvò una nuova Costituzione democratica e l’India, che forse voleva essere maggiormente coinvolta nella stesura, impose per mesi un blocco di fatto lungo il confine. Per quanto non ufficiale, il blocco arrivò dopo il disastroso terremoto in Nepal di quell’anno, che causò la morte di circa 9mila persone, e portò quindi a una grave crisi umanitaria, dato che il paese non poteva ottenere forniture fondamentali per la ricostruzione, ma nemmeno cibo, medicine e carburante. A settembre dello scorso anno molte persone in Nepal incolparono l’India per aver costruito argini che avevano peggiorato alcune inondazioni sul lato nepalese del confine.
Mentre si deterioravano i rapporti del governo di Oli con l’India, si rafforzavano quelli con la Cina.
L’instabilità politica del Nepal si inserisce in un più grande quadro di tensioni fra le due grandi potenze asiatiche, culminato a giugno di quest’anno nello scontro al confine tra i due paesi che ha portato alla morte di 20 soldati indiani e di un numero sconosciuto di soldati cinesi.
Tra le questioni che dividono India e Cina c’è il Kashmir, un territorio del subcontinente indiano su cui India e Pakistan vogliono imporre la propria sovranità, e del quale anche la Cina rivendica una parte, quella che è già attualmente sotto il suo controllo. In generale sono diverse le zone di confine contese tra Cina e India. Un’altra questione riguarda proprio il Pakistan: l’India vorrebbe che la Cina si unisse alle accuse di sostegno al terrorismo rivolte contro il Pakistan, mentre la Cina sta continuando a finanziare il governo pakistano, facendolo diventare dipendente dal suo sostegno.
Il dialogo tra Cina e India è diventato sempre più difficile, visto che i rapporti di forza negli ultimi anni sono molto cambiati: l’economia cinese è cinque volte quella indiana e l’India importa dalla Cina molto più di quanto non avvenga il contrario. Mentre la Cina è diventata leader mondiale dell’industria manifatturiera, l’India è rimasta per larga parte legata all’agricoltura. Jonathan Holslag, un professore di politiche internazionali all’università di Bruxelles, ha detto al New York Times, pensando ai rapporti commerciali degli Stati Uniti, che «l’India potrebbe diventare il Messico della Cina».
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