I problemi coi visoni in Danimarca non sono finiti
Milioni di esemplari abbattuti e sepolti saranno riesumati e inceneriti per evitare contaminazioni dell'acqua e del terreno
Domenica il parlamento danese ha deciso di riesumare circa 4 milioni di visoni che erano stati abbattuti a metà novembre, per precauzione, dopo che nel paese erano stati riscontrati contagi da coronavirus sia tra questi animali sia tra alcuni allevatori. In certe zone i visoni sono stati sepolti in maniera frettolosa e adesso la loro decomposizione fa temere il rischio di nuove contaminazioni. Questo però non è l’unico problema legato alla vicenda che sta facendo discutere nel paese, e che si somma al grosso danno per un settore economico importante: l’abbattimento dei visoni fu ordinato dalla prima ministra, Mette Frederiksen, senza sufficienti basi legali che glielo consentissero e senza il consenso del parlamento; in più adesso anche alcuni funzionari ed esperti hanno riconosciuto che è stato un provvedimento troppo drastico e non risolutivo.
A inizio novembre il ministro della Salute danese, Magnus Heunicke, aveva spiegato che metà dei 783 casi di COVID-19 accertati tra gli abitanti del nord dello Jutland – l’area della Danimarca centrale dove si concentra la maggior parte degli allevamenti per la produzione delle pellicce – «era legata» ai visoni. Inoltre, si temeva che una mutazione del coronavirus SARS-CoV-2 riscontrata nei visoni avrebbe reso meno efficaci i futuri vaccini contro il virus negli umani. Da giugno a novembre erano già stati uccisi gli animali di molti allevamenti, ma l’intervento non era servito per fermare l’epidemia. Per queste ragioni, Frederiksen aveva annunciato che tutti i 15,5 milioni di visoni da allevamento del paese sarebbero stati abbattuti.
La maggior parte dei visoni era stata uccisa con l’impiego di gas, ma non tutti erano stati cremati. Il problema è che quelli che erano stati sepolti nei pressi degli allevamenti oppure in altre zone del paese – come aree militari – ora stanno “emergendo” dalle fosse per via del processo di decomposizione: la stampa locale ne parla come di “visoni zombie”, che fanno impressione alla gente, tuttavia il rischio più temuto è che i cadaveri possano contaminare l’acqua e il terreno circostanti e che quindi l’abbattimento dei visoni non sia stato del tutto efficace. In più, secondo i funzionari citati dal Washington Post, mancherebbero all’appello circa 5mila tonnellate di visoni morti di cui non si hanno notizie precise nei documenti ufficiali.
Per far fronte a questa emergenza il governo ha annunciato che 4 milioni di visoni saranno riesumati e bruciati negli inceneritori. Questo verrà fatto dopo sei mesi dalla loro sepoltura – pertanto a maggio –, ovvero trascorso il tempo dopo il quale si stima che nei loro corpi non ci saranno più tracce di coronavirus e si ritiene che potranno essere gestiti in sicurezza.
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Secondo Kim Christensen, un allevatore che lavora nell’azienda di famiglia nei pressi di Jyllinge, una quarantina di chilometri a nord-ovest di Copenhagen, adesso il governo «sta tornando sui suoi passi». Molti critici infatti sostengono che nessuno vuole assumersi la responsabilità di ciò che è stato fatto.
Una delle cose che hanno fatto più discutere è che Frederiksen aveva dato l’ordine di abbattere tutti i visoni quando la legge danese avrebbe permesso di uccidere soltanto i visoni infetti e quelli che si trovavano nel raggio di 8 km da loro, ma non quelli sani. Inoltre, ogni proposta di legge di emergenza prevede comunque il consenso di almeno due terzi dei parlamentari: consensi che al momento dell’annuncio non c’erano. Nel giro di pochi giorni il ministro dell’Agricoltura, Mogens Jensen, si dimise e il quotidiano danese Berlingske scrisse che il paese stava attraversando «uno scandalo democratico che non si era mai visto in tempi recenti». La prima ministra si difese dicendo che aveva agito per tutelare la salute dei danesi e che non sapeva che la sua decisione fosse stata illegale; aveva poi aggiunto che avrebbe fatto la stessa cosa anche se lo avesse saputo.
Frederiksen però è stata criticata duramente anche perché il provvedimento è stato giudicato troppo affrettato e inefficace.
Già da prima dell’estate il governo danese aveva avviato un esteso programma di analisi e controllo degli allevamenti di visoni, sia per ridurre il rischio di nuovi contagi, sia per evitare che il passaggio del coronavirus tra specie diverse (visoni da una parte, esseri umani dall’altra) portasse a mutazioni del virus, con conseguenze difficili da prevedere. Secondo gli esperti le condizioni degli animali negli allevamenti, stipati in grandi quantità, potevano essere una variabile importante nella diffusione del virus.
La variante del virus riscontrato nei visoni (Cluster 5) aveva mostrato di essere un poco più resistente ai nostri anticorpi neutralizzanti, ma secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) non era tale da rendere inutili i vaccini già sviluppati. Oltre alla Danimarca, altri cinque paesi avevano comunicato all’OMS di aver rilevato casi da coronavirus tra i visoni di allevamento: Paesi Bassi, Svezia, Spagna, Italia e Stati Uniti. Nessuno di loro però aveva preso provvedimenti così drastici come la Danimarca.
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In un’intervista sulla televisione nazionale, l’epidemiologo dell’Istituto danese che si occupa di malattie contagiose (Statens Serum Institut), Kåre Mølbak, ha detto di essere stato «troppo drastico» nell’aver enfatizzato il rischio che i visoni avrebbero potuto creare nuovi pericolosi focolai in alcune zone della Danimarca, a inizio novembre. Mølbak ha spiegato che l’Istituto era molto sotto pressione e che «semplicemente non aveva il tempo» di verificare in maniera dettagliata i dati, soprattutto in una fase così delicata della pandemia.
Molti esperti, tra cui Allan Randrup Thomsen, professore di virologia sperimentale all’Università di Copenhagen, hanno concordato sul fatto che bloccare subito una possibile fonte di mutazioni e di ulteriori contagi sia stata la strada più prudente. Allo stesso tempo, però, secondo Thomsen l’abbattimento dei visoni ha «eroso la fiducia da parte dei cittadini» nel governo e non è stato risolutivo, anche perché nelle ultime settimane la Danimarca ha registrato quasi il 72 per cento dei casi in più rispetto alle due precedenti. Secondo uno studio dell’Università di Århus citato dal Financial Times, la fiducia nella strategia del governo per combattere la pandemia da coronavirus è scesa dal 76 per cento dello scorso luglio al 56 per cento di metà novembre.
Come ha spiegato il professore di diritto costituzionale dell’Università della Danimarca del Sud, Frederik Waage, oltretutto, c’è un altro motivo per cui il parlamento avrebbe dovuto essere coinvolto nella decisione: avrebbe potuto «fare la differenza per salvare l’industria dei visoni».
La Danimarca è il secondo più grande esportatore di pellicce di visone del mondo dopo la Cina e il mercato danese attira compratori soprattutto dalla Cina e dalla Russia. Per dare l’idea, la Kopenhagen Fur, che è la casa d’aste dedicata alle pellicce animali più grande del mondo, l’anno scorso aveva venduto più di 25 milioni di pellicce di visone. Prima degli abbattimenti di novembre, negli allevamenti danesi vivevano tra i 15 e i 17 milioni di visoni: quasi tre volte la popolazione del paese, che ha meno di 6 milioni di abitanti. Secondo le stime del governo l’abbattimento di tutti i visoni inciderà sui circa 4mila lavoratori che erano occupati nel settore e costerà fino a 785 milioni di euro, a cui si dovranno sommare i risarcimenti promessi agli allevatori. Tra le altre cose, in questi giorni il parlamento dovrebbe votare per approvare una legge che legalizzi retroattivamente l’abbattimento di massa dei visoni.